Linea d'ombra - anno VI - n. 31 - ottobre 1988

avanza. Ciò che l'uomo cerca non può dunque essere lì. L'uomo si sente gli occhi velati, come se le pupille fossero coperte da innumerevoli altre pupille, accumulate negli anni. Ogni pupilla aderisce perfettamente a quella sottostante, la luce non trova ostacoli al suo cammino, forse mutano solo i colori e le forme del paesaggio. L'uomo si rallegra della sua scoperta, ma ne è anche spaventato. Non è più certo che ciò che vede siano l'erba, gli alberi, il ponte. Solo del cielo gli sembra di essere certo, perché da lì viene la paura. •Ora gli sembra di ricordare che bisogna cercare dentro la casa. L'uomo rientra, percorre il corridoio, scruta negli angoli. Una dopo l'altra, visita le camere vuote, attraversa le penombre spesse e incrociate del tramonto·. Dalle finestre il panorama lo segue fedele, assistendo àlla ricerca. L'uomo sa che deve cercare una cosa int,ricata e rotonda, di colore perso, un lungo filamento avvolto su se stesso,innumerevoli vofte, un gomitolo p~sante e compatto. Ricorda bene che si tratta di un gomitolo. Finalmente, al cadere del giorno, nel palpitare silenzioso delle prime stelle sul limitare dell'ora, l'uomo trova, sul nudo pavimento, il gomitolo grave che userà per costruire il mondo. Le tende si gonfiano silenziose alla brezza notturna, sul vasto paesaggio passano lontani pianeti. L'uomo si sdraia sull'impiantito e si addormenta tenendo quel mondo stretto a sé, dandogli il calore del proprio corpo, abbracciandolo e carezzandolo come si fa con chi si ama, con chi tiene in mano il filo della nostra vita. L'uomo ora gioca con il gomitolo. Passa le sue giornate a svolgere il filo, poi lo dipana con cura incessante. Nei giorni e nelle stagioni cerca di misurare col braccio la lunghezza del filo, ma il conto gli sfugge. Il gomitolo è grosso come il ginocchio dell'uomo, ma il filo sembra infinito. L'uomo siede sulla soglia, tiene il gomitolo in mano. I suoi occhi seguono per un tratto il percorso intricato del filo, poi si smarriscono. Allora l'uomo solleva lo sguardo e osserva il paesaggio ondulato che ha davanti, gli alberi allineati che stormiscono, lo scintillio dei grattacieli. Ma torna subito al filo, comincia a tirarlo, lo piega, costruisce simboli e funzioni, le lettere di tutti gli alfabeti, accenna a vaghe periodicità. Poi si stanca, disfa tutto e ricomincia da capo. · Infine intravvede una strada, le pieghettature si fanno più. fitte, il filo segue docile la pressione delle dita, l'uomo contempla la sua creazione, in lui si sfrangiano ricordi confusi. Gli sembra di aver già visto formarsi tra le sue mani la creatura di filo, innumerevoli volte. I ricordi si accavallano e s'intrecciano come la trama di questo filo che inesauribile esce dal gomitolo. Via via che la struttura si forma, i ricordi si precisano, l'uomo procede più spedito, qua e là introduce varianti delicate e preziose, delle quali si compiace. Di giorno l'uomo tesse il suo filo, lo piega e lo adatta alle sinuosità del suo progetto. Di notte si abbandona a sonni convulsi, inquietati da visioni stratificate e frammentarie. Non contempla più i cieli neri pieni di fosforici astri, non tende più l'orecchio al sospiro del vento che gli porti rumori lontani, gli ansiti del tempo, non si aspetta più che all'improvviso il treNARRARE LA SCIENZA/LONGO no passi sul ponte di ferro. Sempre più l'uomo s'immerge nel gioco del filo, se ne lascia assorbire, vi concentra la sua attenzione, abbandona via via 'il paesaggio. Ora capisce che dalle sue mani sta nascendo una macchina intrecciata e complessa che potrà, forse, dare risposta alle sue domande. Lavora febbrile, traendo dal gomitolo il filo inesauribile, piegandolo e tessendolo in minuscoli nodi, in sensibili trame, in cui entrano a misura i suoi sguardi, il suo respiro, la sua vita. Le. molte pupille.dei suoi occhi stratificati sèguonò con acuità indicibile e presaga l'intreccio del filo che .tesse le membra di una macchina inaudita. La macchina cresce. La macchina si sviluppa. La macchina, infine, lo guarda. In quello sguardo l'uomo trovala stessa profondità vacua del cielo cupo e sgombro che un tempo inquietava le sue contemplazioni. Trova i ricordi frammentari della sua vita: anteriore. Trova l'ansia delle domande che si affollano. Trova, anche, il senso di una lontana prigionia, di un oscuramento del mondo dietro occhi diversi. L'uomo è sgomento, e per un attimo guarda il paesaggio sereno che lo circonda. Sulle erbose autostrade e sulla distesa del fiume passano lievi le ombre delle nuvole in una lenta disperazione. Lo sguardo dell'uomo contiene un'ansia prolungata di addio, i grattacieli drizzano immutabili il loro profilo contro il cielo azzurro. Quel cielo che, un tempo, dev'essere stato di un altro colore, verde, forse, o sulfureo come i fiori di stagioni dimenticate. Il vento si abbassa a sfiorare, tra le mani dell'uomo, là macchina. La macchina contempla stupita il mondo che le si spalanca davanti. La macchina è grande, intorcigliata, ricca di cavità oscure che esprimono un'attesa suadente. Nella grana finissima della sua superficie si aprono innumerevoli pori, alveoli delicati e sensibili formano un tessuto innervato che le copre di mucose azzurrine l'interno e l'èsterno del corpo. La macchina vive, la macchina sente. Ora apre la bocca. Comincia a parlare con l'uoino. L'uomo dimentica le sue lontane sofferenze, la sua lunga ricerca. Dimentica l'ampio paesaggio, i grattacieli, la voce del fiume. L'uomo è tutto teso alla macchina, concentrato del mondo. La tocca, ne accare~za le membra, a lungo le parla, ne ascolta la voce. Poi aderisce al suo corpo con tutto il proprio corpo. La macchina sorride, un lieve sorriso come un rimpianto, sospira e socchiude gli occhi. Poi la macchina allarga le braccia, apre le sue cavità, si offre all'uomo come rifugio. L'uomo guarda gli alberi, il ponte, guarda ancora una volta il cielo con gli occhi dell'abbandono, il suo cuore è pieno di un segreto scoraggiamento perché quello è il suo mondo, a quel mondo il suo essere si è adeguato negli anni, i suoi occhi l'hanno contemplato. Quel mondo è lui, con le sue ansie, i suoi slanci stupiti, i suoi muti ricordi. I grattacieli lontani iscrivono sempre nel cielo il loro profilo enigmatico e dolce. Tutto sembra, in quest'attimo, all'uomo, di una dolcezza implacabile e unita. Ma il cielo è ridiventato sereno e nella sua profondità si smarrisce lo sguardo. L'uomo ha di nuovo perduto ogni riferimento. La macchina gli dà sicurezza: un luogo più oscuro, · 71

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