LASTORIACENTRALE Giuseppe O. Longo L a casa·è bianca, alta sul promontorio, immersa nella luce del giorno. Un corridoio l'attraversa da un capo all'altro, per le finestre spalancate si vedono le stanze vuote, le pareti a calce. Dal fiume salgono le brezze, s'ingolfano nel corridoriò, gonfiano le tende. La casa respira. L'uomo sta seduto sulla soglia e guarda le distese ondulate della terra, dalle quali sembra vaporare nel giorno una lieve foschia. Più in là vi sono alcuni alberi, forse i relitti di.un viale ormai cancellato, poi un'antica autostrada che si copre d'erba negli anni. Tutta questa parte del paesaggio richiama attese e pomeriggi lontani. L'uomo, da questo lato, si è pian piano staccato da tutto ciò che un tempo gli pareva importante: da ultimo si è staccato anche da quella pietà per se stesso che gli altri distacchi gli procuravano. Non soffre, ha solo ricordi fugaci di sofferenza, che gli mettono dentro una pigra rassegnazione. Gli resta, ora, solo un corpo da nutrire e proteggere. A sinistra un ponte di ferro nero nel sole attraversa il fiume immenso. Per quel ponte si potrebbe raggiungere il cùore della città. Sull'altra riva del fiume i grattacieli si stagliano argentei. Da lontano sembrano nuovi, operosi, abitati ancora. All'uomo quel ponte dà un senso di solidità, anchè se la ruggine ormai lo divora coi suoi grandi fiori bruni e irregolari. Nel vasto silenzio del fiume un piccolo vento va e viene, portando gli odori della ferrovia che corre sul ponte e un profumo più sottile e lontano, un composito odor di città. L'uo-. mo contempla i grattacieli luminosi, ina dopo un po' deve ripararsi gli occhi con la mano, nell'aria tersa il riverbero del sole è eccessivo. Da anni sul ponte non passano treni, molti bulloni sono certo allentati, le rotaie dure ossidate non brillano più. A volte l'uomo si aspetta che passi un treno. Da questa parte del paesaggio l'uomo sente ancora qualche legame, che resiste con un tenue stridore d'angoscia, poi tutto passa e resta solo quel grande chiarore del giorno, incomprensibile. All'uomo piacé avere una casa lì, sul promontorio, sospesa tra il fiume e la vasta radura. Gli piace che porte e finestre siano aperte al vento e gli consentano di passare senza fatica dalle stanze al paesaggio. Gli piace vedere da una finestra la distesa del fiume, da un'altra il grande scheletro del ponte e, lontanissimi, i profili scintillanti dei grattacieli. I grattacieli sono densi e squadrati come in una diapositiva. Nel loro profilo è certo scritto un messaggio, che procede per allusioni e metafore, narrando una storia comune, tormentosa. L'uomo cerca infinite volte di leggere questa storia e infinite volte scopre una storia diversa e inattendibile. A volte l'uomo crede che i.grattacieli narrino col loro profilo la sua storia, quindi vorrebbe conoscerla, ma Iie ha anche paura. Di notte l'uomo esce dalla casa bianca e si avventura nel paesaggio per breve spazio. Contempla le costellazioni, riconosce a lungo le stelle, si sforza di ricordare i loro nomi. A sinistra il nero profilo del ponte rende più buia la notte, ma i grattacieli invisibili non raccontano più la loro storia, hanno cessato di inquietare i ricordi dell'uomo, che ora prova una qualche serenità. Di notte il cielo fa meno paura. Anche di giorno, ·quando ci· 70 sono le nubi, il cielo non fa tanta paura. Fa invece paura quando è sereno: allora è veramente tropp.o lontano. E irraggiungibile. La sua trasparenza è come il soffio infinito del vuoto che anima il mondo. Dietro, non si può immaginare più niente, neppure il mistero. Questa sua vacuità cristallina e vaporica si spalanca davanti all'uomo e lo rende prigioniero del deserto luminoso e impassibile che sta dentro la sua vita, dentro i suoi ricordi confusi, dentro lui stesso. Allora neppure la casa, con le sue stanze sonore, con il lungo corridoio ventoso, riesce a consolarlo. Neppure la finestra sul ponte, né i grattacieli minuscoli e argentei sotto quel cielo che invece è grande, smisurato. Non lo consolano neppure le erbose autostrade. Negli occhi ha solo l'azzurro sgombro e cupo del cielo, un cielo sereno senza sole. In quel limpidore profondo l'uomo non riesce a tracciare alcun sistema di riferimento. Le coordinate affondano in quella turbolenza serena e scompaiono senza un sospiro. Allora l'uomo dispera di sé e del suo passato: cerca di trovare nella sua vita una ragione qualunque, una direzione, ma ricorda solo frammenti disordinati e confusi di azioni quotidiane. · Ricorda l'ombra spigolosa del ponte nelle diverse ore del giorno, le scaglie di luce sulla superficie assolata del fiume, il breve corteo degli alberi lungo il viale scomparso. Ricorda di ricordare e, talvolta, ricorda di non ricordare la luminescenza spettrale dei grattacieli sotto le lune d'agÒsto che gonfiano il cielo di vapori biancastri. A volte, dopo molta tensione e molto struggimento, gli sembra di capire, ma subito il terrapieno dell'autostrada, l'erba piegata dal vento e quei pochi alberi in fila lo distolgono e gli spazi interiori si chiudono. L'uomo torna a guardare il cielo insondabile e capisce con meraviglia che è solo un caso che esso sia azzurro. Allora finge di essere altrove, finge di vedere un altro cielo, anche se identico, un ponte identico anche se diverso, un orizzonte di identici grattacieli. Tutto collocato altrove, in modo che la sofferenza svanisca. Quando ci sono le nuvole il cielo è·più benigno. Ne bastano poche, anche piccole e bianche, sfioccate come bambagia magari immobili. Allora le distanze rinascono e acquistano un senso e, volendo, l'uomo può misurare il mondo e trovare per sé una collocazione, sia pur periferica e provvisoria, nel paesaggio. In questa periferia l'uomo può resistere molto più a lungo, il passato si ricompone e si placa, si riferisce a un centro, si dispone in un ordine apparente ma confortevole che consente di vivere e di cercare. Il centro non si vede, naturalmente, ma la sua presenza si diffonde per invisibili raggi da cui nascono quelle nuvole bianche e filamentose. Da quei raggi l'uomo si sente sostenuto e guidato, riesce a trarne qualche indicazione, anche minima, per la sua ricerca. L'uomo si mette dunque a cercare. Sa che la cosa cercata è un sogno che può generare il mondo e, come il mondo, è sferica e tenace, aggrovigliata. Cerca prima con gli occhi, nella radura, ma l'erba alta che si piega al vento ha un colore d'estate e il suo fruscio riempie l'aria che passa sopra le vecchie autostrade. A sinistra il ponte e i grattacieli sono immutati, tranne forse un lieve scolorimento prodotto dal giorno che
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