QUATTRO-SPETTATORI Eugenio Barba I confini naturali La natura del teatro è effimera. Quali conseguenze possiamo trarre da questa affermazione banalm~nte vera? Possiamo tuffarci nella cultura dell'effimero. Possiamo, al contrario, opporre resistenza all'ineliminabile carattere pa~seggero del teatro. Questa opposizione ci fa scoprire il senso. È il tentativo di dilatare i confini del teatro, di non accettare il ruolo predeterminato che esso assume nella nostra cultura. Quindi: negare il teatro facendolo. Questo vuol dire saper nascondere )a negazione nel cuore di un lavoro che deve essere innanzitutto "ben fatto". Possiamo trasmettere il senso della rivolta senza nominarla, attraverso principi tecnici e prese di posizioni professionali. "Effimero" significa "che dura Uf! sol giorno". Ma anche "che muta giorno per giorno". Il primo significato evoca l'idea della morte. Il secondo, al contrario, evoca il fluire mai uguale a se stesso che caratterizza l'essere-in-vita. Ciò che dura poco è lo spettacolo, non il teatro. Il teatro è fatto di tradizioni, di convenzioni, di istituzioni, di abitudini che permangono nel tempo. Il peso della loro permanenza è così forte che spesso impedisce alla vita di emergere e la sostituisce con la routine. La routine è un altro confine naturale del teatro. Battersi contro la natura effimera-del teatro non vuol dire proteggere ciò che permané: la tradizione. Non vuol dire neppure battersi per la conservazione degli spettacoli. Le "ombre elettriche" (come i cinesi hanno chiamato il cinema) e le '.'ombre elettroniche" non minacciano il teatro. Rischiano di sedurlo. Cinema e elettronica realizzano ciò che è stato impensabile fino al nostro sècolo: spettacoli che si conservano praticamente immutabili nel tempo. Così oscurano la consapevolezza che la dimensione essenziale dello spettacolo teatrale resiste al tempo non fissandosi in una registrazionè, ma trasformandosi. Il limite estremo di queste trasformazioni sta nelle singole memorie dei singoli spettatori. Quella parte di noi che vive in esilio Che vuo1 dire lavorare tenendo presenti gli spettatori e non il pubblico? Il pubblico decreta il successo e l'insuccesso, cioè qualcosa che ha a che vedere con l'estensione. Gli spettatori, nella loro unicità, decidono ciò che riguarda la profondità: fino a che punto lo spettacolo ha piantato radici in alcune memorie individuali. G'è una parte di noi che vive in esilio, che noi o gli altri (gli altri in noi) non riteniamo accettabile o sufficientemente importante. In questa parte razionalmente, moralmente o emotivamente esiliata certi spettacoli germogliano. Lo spettatore non li consuma. Spesso non li capisce, o nòn sa come valutarli. Ma continua a dialogare con i ricordi che essi hanno seminato profondamente nel suo spirito. Dico questo non da regista, ma per la mia esperienza .di spettatore. La necessità di distinguere tra pubblico e spettatori deriva dalla volontà di sfruttare consapevolmente una condizione ineliminabile: benché alcune o molte reazioni possano 64 essere unanimi e comuni (sono le reazioni del "pubblico") la co_munione è impossibile. Possono stabilirsi relazioni intense, ma basate sulla reciproca estraneità. Questa estraneità non è solo fonte di difficoltà, ma può essere sfruttata come una preziosa fonte d'energia teatrale. Invece di tentare di costruire lo spettacolo come un organismo che parli a tutti gli spettatori con la stessa voce, lo si può pensare come composto di più voci, che parlano insieme, senza che necessariamente ognuna si rivolga a tutti. Da diversi anni, negli spettacoli dell'Odin Teatret vi sono dei frammenti (a volte delle intere sequenze) che sono indirizzati a certi spettatori precisi, che sentiamo vicini e a cui ci rivolgiamo personalmente. Ciò non vuol dire che agli altri spettatori quelle sequenze o quei frammenti debbano apparire incongrui. Si tratta di creare un tessuto di azioni con una coerenza del livello pre-espressivo, con una precisione del ritmo drammatico e con nodi di immagini capaci di risvegliare l'attenzione di ogni spettatore. L'azipne (o la sequenza) che per la maggioranza degli spettatori è viva, ma impenetrabile, oppure semplicemente non noiosa, per almeno uno spettatore deve contenere un valore chiaro e centrale. La parola "spettatore" non deve far pensare solamente a coloro che sono raccolti attorno allo spettacolo. Anche gli attori e il regista sono in parte spettatori: attivi nella composizione dello spettacolo, non sono però padroni del suo senso. Ho accennato a un caso estremo. Vi è una vasta gamma di possibilità fra questo e l'estremo opposto costituito dall'insieme di ciò che vogliamo che sia decodificabile in modo simile dal maggior numero di persone. Quando si è in grado di esplorare ampiamente questa gamma, allora si è anche in grado di attraversàre la barriera della lingua, delle divisioni sociali e culturali, dei diversi gradi di istruzione: non perché lo spettacolo sia ''universale'' e dica qualcosa che va bene per tutti, ma perché in alcuni momenti parla a tutti, mentre in altri parla a ognuno diversamente. Lo spettacolo danza non solamente al livello dell'energia, ma anche a livello semantico. È il suo senso a danzare: a volte esplicito, altre voi-· te nascosto o segreto, aperto alle libere associazioni di alcuni spettatori, mentre per altri è univoco e riconoscibile. La vera difficoltà non consiste nel garantire la presenza di voci molteplici, ma nel salvaguardare l'integrità organica dello spettacolo. Occorre una tecnica che impedisca il frantumarsi della rappresentazione o il suo degradarsi in messaggio cifrato, insensato e inerte per chi non ne possiede la chiave. Permettère allo spettatore di decifrare una storia non significa fargli scoprire il "vero senso", ma creare le condizioni affinché possa interrogarsi sul senso. Si tratta di denudare i nodi della storia, quei punti in cui gli estremi si abbracciano. Vi sono spettatori per i quali il teatro è essenziale proprio perché non presenta loro soluzioni, ma nodi. Lo spettacolo è l'inizio di una esperienza più lunga. È il morso dello scorpione che fa ballare. Il ballo non si arresta all'uscita del teatro. I valori este-
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