Linea d'ombra - anno VI - n. 31 - ottobre 1988

Disegno di Llllian Hoban per la copertina di // topo e suo figlio (Adelphi). tuisce un enigma, ha detto fan MacKillop in un saggio sulla sua opera, e credo lei voglia rimanga tale... non preferirebbe che fosse vista in termini più chiari? No, non desidero che il leone sia riducibile a una definizione qualsiasi. Rappresenta qualsiasi cosa. Ci sono due aspetti centrali nel romanzo, il tempo e la rabbia del figlio verso il padre. Può dirci in che modo e perché lei ha associato questi due elementi? Non credo di aver adottato alcun principio scientifico a questo riguardo. Nel libro ho affermato che l'unico luogo è il tempo e l'unico tempo è il presente. Mentre lavoravo al romanzo la figura del leone è diventata una forza sempre meno definita; è divenuta simbolo di qualunque tipo di forza vitale ci sia bisogno. Sarebbe probabilmente riduttivo considerare il leone come una meta/ ora della coscienza, del pensiero e della telepatia? Sì, lo sarebbe. C'è un capitolo molto breve, il ventitreesimo, in cui si dice che il.leone era "inconsap,evole della nonesistenza che viveva". Jachin-Boaz, ilpadre, allafine condivide la stessa rabbia grazie alla quale in precedenza suo figlio aveva fatto rivivere l'animale. Ci può spiegareperché in quel momento, un estraneo - il poliziotto - vede veramente il leone? Il leone aveva un'esistenza effettiva, non era solo frutto di una fantasia privata o di una visione soggettiva. Era q~alcosa che, in un modo o nell'altro, poteva manifestarsi alle altre persone. Dopo che il padre si era adirato abbastanza, quando egli si era effettivamente reso conto dell'esistenza del leone, allora quest'ultimo divenne visibile a qualcun altro. Una delle immagini più importanti in La ricerca del leone è la carta geografica. Ho ragione se dico che, per lo meno nel romanzo, lei allafine ha rifiutato di progettare ed essere a conoscenza di qualsiasi cosa e ha invece preferito confidare nell'esperienza ... proprio come Boaz-Jachin e Jachin-13oaz i quali rifiutano le conoscenze che avrebbero potuto ricavare dalla ricerca scientifica? · Sono un appassionato di mappe, adoro guardarle e nello stesso tempo mi rendo conto che una cartina è qualcosa di antirealistico. È un'illusione, un ordine apparente di cose che non possono essere ordinate; è il miraggio di poter prevedere e controllare realtà che non possono essere né previste, né controllate. Nell'ultima scena del libro, quando padre e figlio si uniscono e si lanciano sul leone, in un certo senso il loro intento è quello di esorcizzare l'animale e di riconoscere l'uno l'autenticità dell'altro? Sì, vengono assorbiti nel leone e lo assorbono in se stessi. Questo purtroppo non è accaduto tra me e mio figlio. INCONTRI/HOBAN Crede allora che questo finale sia stato del tutto fittizio? No, credo che il romanzo potesse finire proprio in questo modo. Quel che è accaduto tra mio figlio ventiseienne e me è dipeso dalla manipolazione che c'è stata. È stato obbligato a fare una scelta poiché sua madre gli ha detto che non poteva avere me e lei contemporaneamente. Ci separano tremila miglia e lei rapprensentava la fonte cui attingere per qualunque cosa; così lui l'ha preferita a me. Sarebbe giusto affermare che - per lo meno in La ricerca del leone - lei era meno interessato alla caratterizzazione dei personaggi che alla stària, che alla metafora, alle relazioni Jormali e ai problemi ontologici affioranti in•Kleinzeit? Sì, sono d'accordo. Credo di aver fatto questo preferendo l'ontologia ai personaggi. · Ma non crede che ciò costituisca una carenza del libro? No, non lo penso. Devo raccontarle un episodio che è stato per me molto importante, anche se mi ci sono voluti molti anni per capirne il significato. Poco dopo aver iniziato la carriera di illustratore, era più o meno il '57, avevo un ufficio a New York City che dividevo con un collega; talvolta mi fermavo in città e dormivo proprio nello studio. A volte andavamo a un club. chiamato "Five Spot" dove suonavano jazz. Una sera piovosa di novembre Omette Coleman e il suo gruppo suonava quello che credo fosse una sorta di jazz proustiano, molto sinuoso ... Coleman faceva affiorare qualcosa, la faceva scomparire per poi ripescarla di nuovo. Durante uno degli intervalli parlai con un membro del gruppo e gli dissi: "Mi piace veramente la musica che suonate, perché sa rischiare". ·Mi rispose: ''Senti, fratello, noi non rischiamo assolutamente nulla. In qualunque modo suoniamo, lo facciamo qui e stasera". Mi ci vollero molti anni per capire il significato di quest'affermazione. All'inizio pensai che fosse indicativa per descrivere il declino dei modelli artistici. Ma ripensai per molto tempo a quelle parole e a quella scena - ancora oggi ci ripenso - e cominciai a comprendere che era la dimostrazione che si poteva operare solo da dove si operava e non si poteva essere in un altro luogo. Mancava il rischio, neJ senso che essi esprimevano la loro arte non perché essa fosse approvata in rapporto a un certo modello, ma in risposta a quel preciso momento. Quell'esperienza mi ha aiutato molto. Riconosco in essa una verità primordiale: l'opera è espressione di dove ci troviamo nel momento stesso della sua creazione. In ogni cosa che faccio mi baso su questo principio. Il mio ultimo libro,· Il pellegrino, per esempio, potrebbe essere facilmente soggetto a molte critiche: quella di essere troppo indulgente con se stesso, ma posso anche essere accusato di aver introdotto del materiale in maniera arbitraria. La mia risposta è che mentre la linea del libro si sviluppava, mentre l'intreccio si svolgeva, alcuni pensieri sorgevano in momenti particolari e venivano introdotti proprio allora. Non mi interessa scrivere romanzi che seguano l'ordine delle lancette di un orologio, che vadano da A a B quando si dia loro la corda; io sono 59

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