Linea d'ombra - anno VI - n. 31 - ottobre 1988

IL CONTESTO ché sapere qualcosa dei Templari sarebbe tornato utile, più in là, a capire meglio il romanzo di Eco. E così sappiamo già che leggendo Umberto Eco sapremo sempre tante cose in più, ne sapremo sempre tantissim·e, una meno del diavolo (solo l'autore in persona ne sa, invece, una più del diavolo: ma così, a conti fatti, la differenza sarà mi0 nima: tra il saperne una meno del diavolo e il saperne una più del diavolo la differenza sarà di soli due punti, e fra autore e lettori avremo anche messo alle strette il diavolo, che sarà indubbiamente fra noi più di quanto non sia mai stato). Preliminari, miseri preliminari! Ora siamo ben oltre, ben al di là di tutto questo. Prima che il romanzo di Eco, il nuovo romanzo di Eco, fosse in libreria per presentarsi alla Fiera del Libro di Francoforte 1988 il settimanale di cultura a lui così prossimo e caro (ma quale altro settimanale del mondo non avrebbe fatto altrettanto? Caro e vicino a tutti, a tutti gli addetti alla cultura e all'informazione è ormai questo autore italiano di cui anche Dante sarebbe fiero, perché grazie a lui vende qualche copia in più della sua cosiddetta Divina Commedia), insomma ancora "L'Espresso" ha pubblicato un servizio esclusivo per i suoi lettori, e cioè ha pubblicato in "anticipazione mondiale" il primo capitolo del secondo romanzo di Umberto Eco. Io ho subito approfittato e sono corso dal giornalaio ad accaparrarmi in (;!Scl~sivaquesta anteprima assoluta. Ho ignorato tutto il resto. Una sola meta _davanti a me: il primo capitolo del secondo romanzo di Eco, che si chiama Il pendolo di Foucault: Non sono un fanatico, sono un ammiratore laico. Non ho miti. Non credo né all'esistenza di Dio né a quella di Babbo Natale. Ma credo in Eco, credo che lui esista veramente. Prima di pronunciarmi, però, su questa nuova opera del mio idolo, che non invidio, devo rendermi conto di persona. Dice "L'Espresso": "Giallo politico? Thriller filosofico? Il pendolo di Foucault, l'attesissimo romanzo dell'autore del Nome della rosa, rimaneva un mistero nonostante le indiscrezioni. Ora non più. L'Espresso pubblica un'anticipazione mondiale: il primo capitolo . In effetti deve essere così: basta il primo capitolo a dissipare il mistero. Letto il primo capitolo, tutto sarà chiaro. Non ci sarà nient'altro da scoprire. Lo dice "L'Espresso" e io mi sento fortemente indotto a crederci. Leggo la prima frase di questo primo capitolo e mi sento subito un po' deluso. La frase infatti suona appena così: "Fu allora che vidi il Pendolo". È un po' poco, direi, per un lettore di Umberto Eco, per un partigiano e un aficionado del Nome dellar9sa. Vuoi mettere? Nel primo romanzo la prima frase suonava molto meglio, non riesco a levarmela dalla testa tanto mi colpì: "In principio era il Verbo e il Verbo era presso di Dio, e il V_erboera Dio". Magnifico attacco, incipit sublime! Nessuno avrebbe potuto fare di meglio, neppure Dio in persona, se si fosse messo a scrivere di mano propria. · Qui, poi, si cade subito in un linguaggio da manuale di fisica e di geometria. Il narratore è in estasi fin dalla prima riga, sicché la scienza è preceduta dall'entusiasmo per la scienza, come se ci trovassimo davanti a una pagina del Calvino più perso nella fissità delle sue contemplazioni pitagoriche e galileiane. Calvino, ma che dico! Non è sulla strada di Calvino che Umberto Eco si mette. È sulla strada di Del Giudice, uno scrittore più giovane, che appunto ha deciso per tempo di mettersi sulla strada di Calvino. È una sola o sono molte, o sono infinite le strade di Calvino?, le strade che partono da Calvino e portano sempre di nuovo a Calvino? Preziosa è senza dubbio l'eredità che Calvino ha lasciato. 4 L'eredità, intendo, del suo pubblico di lettori. Un pubblico allenato nel corso di alcuni decenni a riconoscere in lui una serie di chiari segni (leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità). Questi segni calviniani, Umberto Eco, buon interprete di segni, se li è tenuti per certi e per buoni. La combinazione di scienza e mistero! L'enumerazione e il silenzio! Ed ecco che il pendolo di Eco si metté subito a oscillare. Con dantesca e paradisiaca regolarità, con perfetta mescolanza, dunque, di razionale acume e di emotivo entusiasmo, Eco ci introduce nei misteri della intima, onnipresente e inafferrabile ragione razionale e mistica che regola l'armonica rotondità del mondo. Regolarità, rotondità e perfezione che lo mandano in estasi. Eco aspira a questo. È già questo, si avvicina a esserlo. Perfezione, rotondità, regolarità. Vincere con la regolarità del suo movimento pendolare la resistenza della materia e qualunque altra resistenza. Muoversi sempre e regolarmente. Muoversi secondo una regola misteriosa e sempre uguale. Oscillare in modo regolare per l'eternità. Dire questo ma anche quello. Dire una cosa ma anche il contrario. Mostrare all'umanità l'incanto di una mente pendolare, regolata in ogni suo pensiero dal rapporto fra la radice quadrata della lunghezza delle distanze percorse dal suo nome e quel pi greco che lega necessariamente la fatica sprecata al consenso riscosso. A poco a poco, così, sento che anche questa volta Umberto Eco ha fatto centro. A ogni capoverso che leggo sento dentro di me sgorgare spontanea e fresca come un ruscello alpino l'esclamazione: "Qui c'è tutto, qui c'è di tutto!". Umberto Eco è una testa enciclopedica, razionale, ponderata, prudente e audace, conseguenziale e intuitiva, ludica ma re- . sponsabile, moderna ma antica. Un angelo col computer. Un computer che ha incorporato e messo in programma un angelo. Niente di più giusto. La nostra civiltà, per sopravvivere, ha bisogno appunto di questo, che le due mitologie della perfezione stringano alleanza e si uniscano. Capace di intuizione come un angelo uscito direttamente dalle mani di Dio, e capace dei calcoli più complicati come un super-Ragioniere che non spreca gli effetti, che non fa niente per niente. Umberto Eco ha capito una cosa che le comprende tutte. Noi tutti siamo degli scolari, siamo scolari suoi. Tutto il mondo, tutta una vasta zona di mondo che conta, e che compra i libri, è fatta di scolari, di studenti, di frutti riusciti o non riusciti della Scolarizzazione Universale. La cultura è scola- . rizzazione. Il libro esemplare nel nostro tempo, se il nostro tempo dovesse scegliere il suo libro esemplare, sarebbe un libro di scuola, un manuale, qualcosa che serve per superare gli esami, per rispondere ai quiz, per rispondere alle domande di un esaminatore, per fare bella figura, per essere promossi. Chi ha voluto insinuare che Eco sarebbe l'ec9 di qualcosa? È falso! Eco non è l'eco di niente. Chi ragionasse così si dimostrerebbe vittima di una vecchia e patetica illusione, da cui invece Eco è e si dimostra immune. Infatti, "non si sfugge alla rivelazione dell'identico, illudendosi di poter incontrare il diverso" (Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, I O cap.). Sempre mi capita di essere preso da una specie di infatuazione quando mi vedo regalare simili pepite preziose di · saggezza. I denigratori di Eco sono dei metafisici e dei romantici. Sono metafisici perché pensano che dietro, sotto, al di là di Beo ci sia qualcosa, qualcosa di fisso, di sostanziale, di originale, di cui Eco sarebbe solo l'eco, la copia, lariproduzione, il simulacro, la degradazione e la replica: e invece prima e al di là di Eco non c'era niente, non c'era nessuna sub-stantia, niente. che stesse sotto, niente di meglio: non

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