Linea d'ombra - anno VI - n. 31 - ottobre 1988

SAGGI/HEAD scrittrice, saprei scrivere di Bianchi e di Neri e al tempo stesso ritrarre gentè che è viva. Saprei come renderli veri. Saprei farveli amare non per il colore della loro pelle, mà perché sono importanti in guanto esseri umani. Per esempio mi piacerebbe raccontare la storia di·un uomo che fa lo scaricatore alla stazione e vive in uria delle catapecchie pericolanti e malridotte del Distretto Sei. Un giorno, arrivato il momento di prendere le ferie annuali, quest'uomo decise di fare uso delle concessioni ferroviarie e fare con sua moglie un viaggio gratis fino a Durban. Tutti i vicini lo sapevano, perché i due formavano una coppia molto popolare e affiatata, come la maggior parte delle persone che vivono nel Distretto Sei. Nessuno ha una gran vita privata nel . Distretto Sei. I vicini considerano loro preciso compito sapere tutto di te e non gli importa di sapere quali siano i tuoi peccati. Infatti se ti succede qualcosa loro sono pronti a difenderti anche quando la legge ti considera in torto. La sola. persona a destare sospetto, nel Distretto Sei, è quella che non mostra la propria faccia e tiene la porta chiusa agli altri. Noi siamo i veri vicini, generosi e allegri, ci occupiamo dei fatti gli uni degli altri, proprio come debbono fare i vicini di casa. Non possiamo fare diversamente perché viviamo tutti ammassati gli uni sugli altri. Ma torniamo al racconto. Quest'uomo e sua moglie si avviarono al treno per Durban seguiti da una piccola folla di amici. Biglietti e prenotazioni erano stati sistemati. Furono issate le sporte piene di cibo per il viaggio. Avevano portato polli arrosto, frittelle di pesce, polpette di carne, una grande quantità di panini e un po' di roba da bere. Per prima salì sul treno la moglie, una donna grossa, audace, generosa, dalla voce squillante, felice e spensierata. li marito rimase giù accanto al binario in compagnia degli amici. Era un uomo dall'aria accigliata, con un'espressione del ~ipo io-so-come52 vanno-queste-cose stampata sulla faccia. È uno che ha sempre quell'espressione dipinta in volto quando c'è qualcosa che non gli piace granché. Quando sentì la prima campana che avvertiva i viaggiatori, l'uomo cominciò a gridare con una voce carica di terrore: "Ma', scendi, torniamocene a casa". E tutto finì lì. Non ebbe neanche bisogno di dare spiegazioni. Ognuno capì. Lasciare Cape Town e andarsen_e girovagando come un idiota in un luogo estraneo quale è Durban sarebbe stato un .gesto della peggiore ipocrisia. Cape Town è ·casa sua. È nato qui. Vuole morire qui.' E poi, a Durban nessuno lo capirebbe. L'uomo parla una lingua molto speciale. La sua. Ha un tipo speciale di faccia che si riflette con- · fortevolmente nelle facce di quelli che lo circondano. Facce che imprecano con la stessa identica sfumatura della sua. Mangiano lo stesso identico tipo di cibo. Hanno lo stesso identico tipo di ironia. Perché allora andare in quello stupido posto chiamato Durban? Che cosa può mai esserci per lui, là? Lasciare Cape Town significherebbe morire-. Sarebbe la fine di tutto ciò che lui è come uomo. E lui non possiede quel tipo di pretenziosità propria del turista americano che viene fin quaggiù a guardare a bocca aperta le danze Zulu. Ecco, questo è tutto. Vorrei scrivere la storia di quell'uomo e di sua moglie, i quali non fecero mai quel viaggio in treno, ma non ci riesco. Quando penso di scrivere una qualunque cosa mi prende il panico e mi sento morire. Forse è perché .ho l'udito troppo acutamente sintonizzato verso quei boscaioli della politica, tutti intenti ad ammassare capitali a prezzo di vite umane. Forse invece sono solo i miei incubi. Ma quali che siano le mie svariate inadeguatezze, spero di venirne a capo abbastanza presto, perché sento che hà bisogno di raccontare una storia. · · (da "The New African, settembre 1962). (traduzione di Maria Antonietta Saracino)

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