Linea d'ombra - anno VI - n. 31 - ottobre 1988

IL CONTESTO Eco, o il pensiero pendolare Alfonso Berardinelli "Quic'è tutto, qui c'è di tutto!" Ma il tutto sta nella parte. Proviamo dunque a recensire il primo capito/o, anzi la prima frase diun best-seller molto annunciato. li centro del mondo, dove si ammucchiano tutte le sue immondizie. (Franz Kafka) Ci tengo a dirlo e sia chiaro: io sono un sostenitore, un ammiratore di Umberto Eco e non ho niente contro di lui. Insomma: non lo invidio. Non vorrei essere al suo posto. Lui si trova in un posto così centrale della cultura del mondo, lui è così al centro dell'attualità della cultura attuale, che tutto . converge e per così dire si precipita verso di lui e su di luL sulle sue opere o sui suoi romanzi. .Ma perché dico romanzi? Umberto Eco, ha scritto finora un unico e solo romanzo, eppure, non so perché, è come se ne avesse scritti dieci. Ha fatto un miracolo, a modo suo. Ha moltiplicato all'infinito la sua prima opera come in un vertiginoso gioco di specchi. È stato capace di individuare il punto archimedico (dico bene?) nel quale un solo oggettolibro viene istantaneamente rispecchiato cento, mille e più volte, in•modo tale che chiunque da qualunque luogo e punto di vista si metta o si trovi non riesce a vecjere altro che qùel libro. Così io. Non riesco a vedere, a trovare un luogo, un punto di vista, un angolo di mondo, per quanto piccolo e oscuro e riparato, dal quale lui e il suo libro non si yedano, non siano al vertice e al centro di tutto il mondo letterario e culturale. Al centro perché il mondo è tondo. E al vertice: perché il mondo è anche, contemporaneamente e senza contraddizione, un triangolo dotato di angoli oscuri e di un vertice luminoso. L'ho già detto, io lo ammiro. E ci tengo a ripeterlo, contro i pettegoli'e contro tutti coloro che sono sempre maliziosamente pronti a pensare tutto il male possibile di chiunque, e quindi anche di me. Non pensino costoro che io invidio Umberto Eco. Lo ripeto per scrupolo e amore di precisione: io Umberto Eco non lo invidio, né l'ho invidiato mai. Non riesco a vedere male lui e quello che fa. Li vedo bene, invece, li vedo fin troppo bene. Li vedo sempre così bene che a volte mi verrebbe quasi voglia di non vederli più. Vergognandomene, in certi momenti di debolezza, mi metto del tutto spontaneamente a immaginare un mondo senza i romanzi di Umberto Eco. Però non ci riesco. La mia immaginazione non ce la fa. E così, dovunque io vada o mi trovi senza essermi mosso, trovo e incontro lui. Lo vedo e lo leggo nelle classifiche, nelle vetrine. Tutti ne parlano, tutti lo apprezzano, lo invidiano e gli vogliono bene. Gli vogliono così bene che lo invidiano. Gli vogliono così bene e lo apprezzano a tal punto che vorrebbero essere al suo posto. (No, io non vorrei proprio essere al suo posto!) Lui lavora, fatica, suda. Lui se lo suda e se lo è sempre sudato il suo pane e il suo nome. Non se ne è mai stato pigramente fermo, con le mani in mano, a guardare le nuvole. Lui sa e sempre ha saputo come usare e mettere a profitto il suo tempo. Ars longa, vita brevis. Ha letto e ha imparato: oh sì!, che cosa non ha letto e imparato lui! In attesa del suo secondo romanzo, che è rimasto così a lungo avvolto nel mistero e che all'improvviso è in piena luce, nel cerchio di una luce resa accecante dal convergere in quel solo punto di tutti j riflettori culturali dell'intero mondo - in attesa, dicevo, delle prime proibitissime (e poi alle fine concesse) anticipazioni indiscrete del suo nuovo romanzo tanto atteso da tutti in tutto il mondo, un settimanale à lui prossimo e caro, che si chiama "L'Espresso", ha costretto un noto e competente professore di storia, Giuseppe Galasso, a spiegare in un articolo che cosa fu l'ordine cavalleresco dei Templari, solo per3

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