Linea d'ombra - anno VI - n. 31 - ottobre 1988

SAGGI/PONTARA trecento o tremila o tréntamila anni - se prima una catastrofe scatenata dall'uomo non avrà posto fine ad ogni vestigio di vita sulla terra. (Si tenga presente, per rendersi conto della rilevanza del problema, che alcuni degli isotopi pericolosissimi che si creano nel processo di produzione di energia nucleare rimangono radioattivi molto a lungo: il tempo di dimezzamento della radioattività per il plutonio 239 è di 24 mila anni; quello del neptunio 273 è di due milioni e 130 mila anni e quello dello iodio 129 è di sedici milioni di anni). Fermo restando l'assunto della responsabilità morale di una certa generazione nei confronti delle prossime due - il problema che si pone è dunque quello di stabilire se questo assunto rimanga valido anche nei confronti delle generazioni non immediatamente future, oppure se nei loro confronti sia più plausibile sostenere la tesi della non responsabilità. Il problema è un problema di etica teorica e uno dei più complessi di cui questa disciplina si occupa. Per quanto ne so, i filosofi del passato, salvo poche eccezioni, non se lo sono posto. Ma negli ultimi dieci-quindici anni il problema della nostra responsabilità nei confronti del futuro non immediato è stato dibattuto assai intensamente, specie dai filosofi anglosassoni appartenenti all'orientamento cosidetto "analitico". Ho studiato questo dibattito cercando in primo luogo dì individuare gli argomenti addotti a sostegno della tesi della non responsabilità. Ho fatto ciò in quanto ritengo un fondamentale principio di ricerca, anche in sede di etica teorica, quello che dice che quando intuitivamente si è portati a prendere una.certa-posizione, a favorire una certa tesi - nella fattispecie la tesi della nostra responsabilità ne.iconfronti delle generazioni future, tanto quelle immediatamen~ te quanto quelle non immediatamente future - la prima cosa da fare è quella di individuare gli argomenti che si possono addurre a sostegno della tesi contraria. Fatto ciò si tratta naturalmente di discutere questi argomenti al fine di stabilire se o meno sianò validi. Non posso qui, per ovvie ragioni di spazio, fare tutto ciò; mi limiterò a presentare dieci argomenti con i quali il fautore della tesi della responsabilità deve fare i conti, alcuni accennati per sommi capi, altri sviluppandoli in modo più articolato. 3. Dieci argomenti in sostegno della tesi _ . della non responsabilità La tesi della non responsabilità dice dunque che non vi è alcun obbligo morale che una qualsiasi generazione - nella fattispecie la presente generazione di individui adulti e moralmente responsabili - abbia nei confronti di quelle non immediatamente future, nulla che una generazione debba a quelle non immediatamente susseguenti; ragion per cui, se sia moralmente dover.oso risparmiare certe risorse, prevenire l'estinzione di certi minerali o di certe specie di piante o di animali, adottare una politica energetica piuttosto che un'altra, limitare o meno il tasso di incremento della popolazione mondiale ecc., sono tutte domande la cui risposta in nessun modo dipende da quali possano essere gli effetti delle scelte fatte sugli interessi degli abitanti del nostro pianeta nel 32 futuro non immediato. Passo ora a formulare - in modo, come dicevo, piuttost_osuccinto - dieci argomenti a favore di questa tesi. 3.1. L'argomento della provvidenza divina Il primo argomento è quello su cui hanno insistito alcuni di quei filosofi classici (in realtà, come dicevo, pochi) i quali si sono espressamente posti il problema della responsabilità nei confronti dei posteri. È l'argomento di ispirazione evangelica (Matteo, 6:34) per cui al futuro provvede la divina provvidenza; accennato da Agostino l'argomento è ripreso nel sedicesimo secolo da Francesco Bacone il quale appunto fa · valere che "l'uomo deve perseguire obiettivi giusti nel presente, e lasciare il futuro alla divina provvidenza". l5 l Anche Kant, che pur parrebbe essere tra i primi a mettere es·pressamente in rilievo la rilevanza etica delle conseguenze delle azioni degli uomini per la posterità, fa tuttavia affidamento, per quanto riguarda il futuro dell'umanità, più su di "un piano imperscrutabile della_natura"l 6 l, o su di una "saggezza superiore" o "provvidenza"< 7l che non sulla responsabilità dell'uomo. 3.2. L'argomento della astuzia della ragione Il secondo argomento è assai simile al primo; invece di far leva sulla nozione di una provvidenza divina fa leva sulla nozione hegeliana di "astuzia della ragione", o su quella smithiana di una "mano invisibile": non siamo moralmente responsabili per il futuro non immediato in quanto esso non è direttamente influenzabile dalle nostri azioni, bensì è determinato da "forze che sfuggono al nostro controllo e le quali operano in modo tale che dal nostro interagire con i nostri simili (e con la natura), e indipendentemente dai nostri motivi e intenzioni, scaturiscono sempre effetti che nel medio e lungo periodo sono largamente positivi. Forse la recente sociobiologia fornirà nuovo sostegno a questo argomento. 3.3. L'argomento della precedenza etica del presente sul futuro Il terzo argomento è quello fondato sulla posizione del cosidetto "aprudentialism".l 8 l In base a questa posizione, un vantaggio o bene di cui una persona o un gruppo può godere nel presente giustifica il sacrificio di un qualsiasi bene o vantaggio che possa essere goduto da quella persona o da quel gruppo in futuro. Generaiizzando, si può dire che un qualsiasi vantaggio o bene che possa essere realizzato e goduto nel presente (da una certa generazione) giustifica il sacrificio di un qualsiasi vantaggio o bene che possa essere goduto in futuro (da un'altra generazione). Questa posizione comporta il rifiuto di un principio largamente accettato e che possiamo chiamare il principio della irrilevanza etica del tempo. Si tratta di quel principio che uno dei maggiori filosofi pratici del '900, H. Sidgwick, annovera tra quelli che egli considera "assiomi etici", ossia principi etiçi fondamentali e "autoevidenti", e per cui "la mera differenza di priorità o posteriorità nel tempo non costituisce un fondamento ragionevole per aver maggiore riguardo per la coscienza esistente

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