Linea d'ombra - anno VI - n. 31 - ottobre 1988

IL CONTESTO l'altro della California. Non in cerca di lavoro, però, ma per visitare località amene e rivedere gli amici: e dunque bum anche nel senso letterale della parola. Felicità è addormentarsi sotto le stelle, sulla spiaggia di Santa Barbara. Felicità è ritrovare i compagni di sempre. A Berkeley, per esempio, dove, tra un viaggio e l'altro, risiede il poeta di Miivia Street, quell' Alvah Goldbook che, con i suoi occhiali di tartaruga e i neri capelli scomposti, ci ricorda tanto il giovane Ginsberg. O a San Francisco, per uno storico recital alla Six Gallery, quando, intorno ad Alvah che presenta il suo poemetto Wail (ovvero Howl ovvero Urlo), si raccolgono, appena velati da trasparenti pseudonimi, i protagonisti del cosiddetto Rinascimento di San Francisco: Snyder, Whalen, Rexroth, Lamahtia, McClure, Ferlinghetti e tutti gli altri. Per l'occasione cala in città anche il mitico giovanotto del West amato da Ginsberg e da Kerouac: Cody, alias Neal Cassady, che • .qui fa solo una particina da guest star, ma di Visioni di Cody e, con il nome di Dean Moriarty, di Sulla strada è l'eroe. L'incontro più emozionante, in un bar di North Beach, allora il quartiere bohèmien di San Francisco, è però quello con il maestro, il "Dharma bum" Numero Uno, Japhy, che con Ray ridiscute i principi dello Zen, portandolo poi con sé, in scarpe da tennis, fin quasi in cima al Matterhorn californiano, nelle Sierre Alte, alla ricerca dell'estasi mistico-ginnico-ecologica. Ray deciderà infine di ritirarsi in meditazione solitaria fra le sublimi e orride vette dell'Oregon, lontano dai piaceri e dagli stravizi metropo- • titani, qui descritti solo di scorcio nella parte centrale del romanzo. Mentre nei Sotterranei, dello stesso 1958, l'aspetto dionisiaco dell'esperienza beat viene dipinto a tinte cupe, nei Vagabondi del Dharma esso è contemplato da Ray con distacco guardingo e tuttavia sereno, anche se non esente da resi-· <luidi pruderie che il saggio ma non asct::tico Japhy puntualmente gli rimprovera. Prevale comunqlje in Ray, e nel libro, il momento dell'ascesi, del ritiro monastico, della rigenerazione spirituale, pausa necessaria per raccogliere le forze e i pensieri prima di ritornare nel mondo, con quel moto pendolare tipico dei Beats che li porta dentro e fuori della città, dentro e fuori del contesto sociale. Bums coerenti e sofisticati, essi vivono la metropoli e l'America tutta in un modo che negli Anni Sessanta i loro nipotini hippies avrebbero definito "parziale alternativo", volto cioè a sfuggire alla routine, agli inquadramenti, al carrierismo, ai pedaggi imposti dalla vita associata; e a recuperare invece, sulla scorta dell'insegnamento di Thoreau, "il più vasto margine" per l'unico vero lavoro ritenuto importante, quello intellettuale e poetico, da svolgere fuori degli ambiti istituzionali e dei condizionamenti del mercato culturale. Di qui una scelta di marginalità frugale. Ma non è solo nella filosofia dell'arredamento che l'influenza nipponica, irradiata da San Francisco e dai centri religiosi di Berkeley (i più numerosi d'America), si fa sentire. Nonostante Pearl Harbor fosse ancora 26 nella memoria di tutti - come Hiroshima, del resto - il Giappone, l'aggressore da poco sconfitto, diventa, insieme all'India, al Marocco, al Messico, uno dei punti di riferimento più costanti dell'esperienza beat. Nel momento in cui la Guerra Fredda esaspera fino alla paranoia la' polarità USA-URSS, è il Giappone austero, dalle tradizioni spirituali secolari, a esercitare Ulll richiamo profondo, "altro", su una generazione stretta fra il conformismo politico e la ftenesia neo-consumistica degli USA, il totalitarismo staliniano del- !' URSS, il trauma ancor fresco degli orrori nazifascisti, il ùmore della Bomba e della terza guerra mondiale. Difronte a tutto questo, i Beats elaborano strategie di sopravvivenza che Brian Eno chiamerebbe oblique, vale a dire flessibili, non-ideologiche, comunitarie. Grande importanza rivestono infatti per i Beats i rapporti interpersonali, l'amicizia, SCIENZA L'ipotesi di Gaia Fabio Terragni "Mi chiedete di arare il terreno! Devo prendere un coltello e lacerare il seno di mia madre? Poi, quando morirò, non mi prenderà sul suo petto per il riposo. Mi chiedete di scavare alla ricerca di pietre! Devo scavare sotto la sua pelle per trarn·e fuori le sue ossa? Poi, quando morirò, non potrò entrare nel suo corpo per rinascere". La cultura degli Indiani d'America viene spesso citata come esempio di profonda fusione e rispetto per la natura. Mentre dall'altra par-te dell'oceano avvenivano i primi nefasti contatti tra esploratori-conquistatori e popolazioni indigene, in Europa si stava consumando una rivoluzione scientifica e filosofica che avrebbe portato alla definitiva (per ora) vittoria dell'idea di dominio sulla natura. Lo spirito, rappresentato dalla citazione iniziale del capo tribù indiano Smohalla, della Terra madre e nutrice sarebbe stato per sempre incantenato, sfruttato, violentato. Cosa è successo in quel periodo compreso tra il '500 e il '700 in Europa? Quali sogli amori, la condivisione di quello che c'è: denaro, case, poesia, vino, sesso. Declamazioni, sbronze e amori di gruppo confluiscono senza alcuna separatezza pregiudiziale in un medesimo, interminabile party. Kerouac, cantore delle gesta beat, qualche remora, per la verità, al pari di Ray, la conserva: la più vistosa è quella che lo spinge, nei romanzi, a "normalizzare" i rapporti non rigorosamente eterosessuali che nel gruppo diciamo "storico" si intrecciavano. Ma eravamo nei più fondi Anni Cinquanta; e, dopo tutto, Kerouac era cresciuto in una famiglia cattolica. D'altra parte neppure le donne svolgono una funzione rilevante nei Vagabondi del Dharma e nella narrativa di Kerouac in genere, relegate come sono all'eterno ruolo di pupattole da letto. Ma, appunto, eravamo nei più fondi Anni Cinquanta .. , Quanto allo stile dei Vagabondi ... , la scrittura scorre via tranquilla, mediocre e, a tratti·, sentimentale. Non sa ricatturare lo slancio jazzistico di Sulla strada né lascia presagire gli sperimentalismi di Visioni di Cody; volendosi, con ingenuità neoromantica, spontanea e immediata, riesce spesso approssimativa. E quando ambisce a esprimere il sublime (come peraltro dovrebbe, a rigor di poetica neoromantica), sfocia nell'inarticolato, nell'esclamativo. Resta la testimonianza storica, genuina, di quei tempi ingrati; resta la salutare polemica contro gli eccessi intellettualistici, formalistici e ideologicamente conservatori di tanta parte della cultura americana del tempo, sovrastata dalla grande ombra di T.S. Eliot: ma quella polemica avrebbe prodotto i risultati artistici più sicuri nelle opere di altri autori del gruppo: Burroughs, Ginsberg, Snyder. no state le forze e i pensieri che hanno permesso l'affermazione della scienza meccanica, ancora oggi imperante? A queste domande risponde, la storica e filosofa americana Carolyn Merchant, autrice de la morte della natura, pubblicato nella collana Saggi Rossi di Garzanti (traduzione di Libero Sosio, pp. 426, 28.000 lire). Si tratta di una agile raccolta di saggi, uscita in edizione originale nel 1980, che porta alla rilettura critica di un periodo cruciale per l'affermazione delle forze economiche e scientifiche oggi messe sotto accusa dal movimento ambientalista. L'originalità della Merchant risiede nell'associazione stretta tra critica femminista e critica ecologista, un approccio ripreso in Italia da Elisabetta Donini, fisica e storica della scienza, che introduce il libro. Si vede allora come buona parte dei guai che ci assillano sul piano ambientale possano essere fatti risalire allo squilibrio tra diversi approc: ci alla realtà naturale, all'emergere di una

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