modo in cui si manifesta qui un particolare schema di pensiero, che Bruno Falcetto, in uno dei più rilevanti contributi del numero monografico dedicato a Calvino da "Nuova Corrente" (n. 99-100, datato 1987) ha qualificato come "dialettica diadica". Calvino ama procedere per coppie oppositive, ma la definizione iniziale dei termini conta meno del movimento cui essi danno vita correlandosi e fronteggiandosi. Tale movimento non sortisce peraltro alcuna sintesi effettiva: piuttosto, tende a temperare o a relativizzare l'opposizione, rivelando la complementarietà, l'intima consonanza, perfino la reversibilità degli opposti. Già in linea di principio Calvino precisa che la sua perorazione per un valore non escltfde la considerazione o addirittura l'ammirazione per il valore contrario. Così, l'elogio della leggerezzapresuppone il "rispetto" per il peso, l'apologia della rapidità "non nega i piaèeri dell'indugio", l'illustrazione della molteplicità rinvia all'idea di una natura comune che sottostà all'incessante metamorfosi delle cose. Ogni valore esiste e acquista senso solo in rapporto a un altro - o a più altri. Ma può anche accadere .che un termine si converta o confluisca inaspettatamente nell'opposto: che ciò che pare leggero si riveli poi pesante, o viceversa (come la natura di Lucrezio, ridotta a una materia che però seIJ1bradissolversi in un'infinità di corpuscoli impalpabili; sospesi nel vuoto); che la rapidità pos,sà, almeno in taluni casi, fare propri gli intenti della divagazione o della digressione; che l'incerto, l'impreciso, l'indefinito (tutto ciò che Leopardi considera poetico in sommo grado) esiga un'attenzione e una concentrazione estrema per essere colto come tale, e rientri per questa via nel-. l'opposta categoria dell'esattezza. O ancora, è possibile che· un termine si dirami in ulteriori antinomie: ad esempio, che contrastando i disvalori dell'approssimazione e della genericità l'esattezza finisca per oscillare fra l'escogitazione di schemi mentali astratti e un'adesione quanto più possibile meticolosa alla superficie sensibile del reale. Pure, non marica un concetto o un'intuizione connotata in senso irrimediabilmente negativo. È l'idea, di continuo balenante all'immaginazione materiale calviniana, di un qualche cosa di opaco, di confuso, di greve, di informe, di inerte: qualcosa che rappresenta sì, sotto specie di entropia o di putredine, il rovescio o il pendant di un'intuizione speculare, l'unità sostanziale di tutto ciò che esiste (fonte di un impulso energetico primigenio irrinunciabili,), ma che di fatto si contrappone sia a una serie di singoli valori positivi (trasparenza, levità, velocità, eccetera), sia al loro dialogare con i rispettivi opposti immediati. Sull'immagine della realtà di Calvino grava insomma la minaccia di una omologazione avvilente e distruttrice, destinata a travolgere ogni sforzo di comprensione e di individuazione. E forse non di altro si tratta, in fondo, . che di una particolare concezione della morte: della morte come degradazione, come perdita di forma, come ricaduta estrema nell'insignificante e nell'indifferenziato. Ma-nelle Lezioni americane, alle quali lo scrittore stava lavorando proprio quando fu colto dall'ictus, il pensiero della morte non è affatto dominante. Al contrario, pochi libri di Calvino trasmettono una simile impressione di serenità: una serenità pensosa, sì, ma sorridente; aerea, perfino ilare. Per quale ragione? Al presagio di disfacimento di cui dicevamo, e che altrove ricorre con frequenza quasi ossessiva, ci sono due modi per tentare di sfuggire: gli stessi che nell'ultima pagina di Collezione di sabbia si presentano alla fantasia del viaggiatore, affascinato in.egual misura dalle figure in processione sui bassorilievi delle rovine di Persepoli e dalle lunghe peregrinanti carovane di nomadi del deserto. A quale delle due file conviene accodarsi? La pietra garantisce con la sua durezza la resistenza al tempo dell'immagine scolpita; il transito perpetuo conduce all'identificaILCONTESTO zione con il ciclico ripetersi degli eventi naturali. In entrambi i casi, alla prospettiva della morte si contrappone un assoluto: la fissità immutaoile di un'astrazione perfettamente consapevole e intenzionale, l'inafferrabile mute\lolezza di una vitalità immediata e priva di coscienza. Proprio per questo, forse, il viaggiatore non sa decidersi. L'unico pensiero che gli procura sollievo è quello dei tappeti. Curioso, no? Eppure: "E nella tessitura dei tappeti che i nomadi depositano la loro sapienza: oggetti variegati e leggeri che si stendono sul nudo suolo dovunque ci si ferma a passare la notte e si arrotolano al mattino per portarli via con sé insieme a tutti i propri averi sulla gobba dei cammelli". I tappeti, cioè cose·che non sono né sconfinate, né eterne, e in sé neppure viventi, ma che nella loro limitatezza riassumono dimensioni preziose del vivere, e servono, nello stesso tempo, alla vita. Come quegli altri sapienti manufatti che formano ciò che chiamiamo, appunto, letteratura, e di cui Calvino ci invita a riconoscere e ad apprezzare più o meno i medesimi caratteri: leggerezza, varietà, mobilità, precisione e via dicendo. Certo, è inutile farsi illusioni, da soli i libri non bastano: e infatti tra le proprietà che Calvino attribuisce ai tappeti quella .di volare non c'è; nulla può esimerci dall'attraversare il deserto. Ma sarà bene egualmente non dimenticarceli. E riporli con cura, come mappe o bussole o amuleti - emblemi di un'indipendenza di giudizio che sappia unire al rigore intel- - lettuale l'agilità déllo spirito - nell'equipaggiamento con cui ci apprestiamo a varcare la soglia del prossimo millennio. TEATRO Koreia d'estate, una rassegna meridionale· Maria Antonietta Saracino Ad Aradeo (Lecce), una delle zone più suggestive della campagna salentina, in una grande masseria degli inizi del secolo circondata da·ulivi, fichi d'india e campi fittamente coltivati; ha sede ormai stabile la comunità teatrale di Koreja, giunta attualmente al suo sesto anno di attività. Koreja è parola di origine greca, il cui significato rimanda al. coro della tragedia, ma nel grecanièo o greco-salentino parlato in molti dei paesi della zona il termine designa invece uno stato di purezza, uno stato virginale. Unacondizione beneaugurante dunque, per un esperimento di ricerca come quello del teatro-inresidenza, sicuramente piu consueto nel mondo anglosassone ma certamente insolito per zone considerate periferiche - e non .solo in senso geografico - quale è per molti ancora oggi la Puglia. Proprio questa apparente periferia culturale vedeva invece raccogliersi intorno a sé, ·sei anni or sono, un gruppo di giovani operatori culturali, tutti originari della zona ma provenienti da esperienze diverse. Inizialmente il gruppo persegue una ricerca tea~ trale autodidatta la quale tuttavia affina e precisa i suoi obiettivi a seguito dell'incontro con il danese gruppo di Farfa, con il quale Koreja.lavora a lungo (a questo proposito varrà la pena ricordare che Eugenio Barba dell'Odin Teatret è nato proprio da quelle parti, a Gallipoli). Da questo incontro nasce il primo spettacolo del gruppo, Dovevamo l'incere (1985), per la regia di Cesar Brie. Dc:iallora, in quel "campo d'azione teatrale", come Koreja ama definirsi, si sono seminati e raccolti frutti di riflessioni e collaborazioni diverse. Oltre agli spettacoli firmati da Koreja che numerosi si sono succeduti in questi anni (tra gli altri Le quattro stagioni e Summertime del 1986, Amori del 1988), Aradeo ha ospitato gruppi italiani e stranieri: il Teatro Titeres la Tartana (Spagna), Potlach (Fara Sabina), Roberto Videla (Argentina), 17
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