Linea d'ombra - anno VI - n. 31 - ottobre 1988

IL CONTESTO Non si può non rilevare, d'altro canto, che una correlazione importante e significativamente mutevole fra aspetti narrativi e aspetti saggistici percorre l'intera produzione narrativa calviniana. Già nel primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno, il monologo interiore del commissario Kim interrompeva il flusso del racconto, aprendo fra un capitolo e l'altro una lunga pausa di riflessione critica. Negli anni Cinquanta, al piglio polemicamente perentorio degli interventi teorici faceva riscontro il problematico allegorismo delle opere narrative, di norma inteso, più che a dare un'evidenza sensibile ai concetti, a sfumarne il valore (e quindi ad accrescerne la precisione) nella varietà delle loro connessioni e rispondenze reciproche. Dopo la svolta segnata dalla Giornata di uno scrutatore, singolare racconto-saggio pervaso di interrogativi irrisolti, e accanto all'impresa cosmicomica di rendere "narrabili" (o di piegare alle ragioni della narrazione) teorie scientifiche e realtà extra-umane, prendeva corpo un'ampia meditazione metaletteraria, affidata ora a contributi critici di ammirevole acutezza, ora alle complesse strutture e ai rarefatti emblemi di un'i.nvenzione sempre più eletta e impervia. In Se una notte d'inverno, il frutto per certi versi più maturo di questa stagione, un divertito slancio sperimentale riusciva a conciliare il rovello ragionativo e il gusto del racconto; mentre di lì a pochi anni sarebbe risultato chiaro che, su un altro spiovente, la vena narrativa e quella saggistica avevano finito per convergere, fino a sfociare, come ha ben dimostrato Claudio Milanini su "Belfagor" (5, 1984), nelle soluzioni sostanzialmente intercambiabili di certi brani di Palomar e di Collezione di sabbia. Uno dei pregi maggiori delle Lezioni americane consiste ora nella rinnovata distinzione e interazione di questi due piani di scrittura, che si illuminano a vicenda senza sovrapporsi e 16 senza sfumare l'uno nell'altro. Pressoché di continuo infatti l'argomentazione, intonata a un discorrere piano ed elegante e a volte insolitamente confidenziale, si avvale dell'apporto dell'invenzione figurativa, con esiti di grande vivacità e limpidezza. Non c'è dubbio che alcuni fra i momenti più felici siano dati dalle evocazioni mitologiche (la storia di Perseo e della Medusa, le contrapposte divinità di Saturno e Mercurio), suggestive nella loro icastica pregnanza e nella loro inesauribile ambiguità. Qui, meglio che nella conferenza apposita, si apprezzano le virtù schiettamente visivedella fantasia di Calvino: davvero la narrazione (o la riflessione) paiono germinare spontaneamente dall'acuità dello sguardo che contempla un'immagine. Ma meritano di essere ricordati anche certi più rapidi e circoscritti simboli, apparenze inquietanti e bizzarre a mezza via fra il talismano e il marchio di fabbrica (il delfino e l'ancora della stamperia aldina, il cristallo e la fiamma, la farfalla e il granchio); per tacere della briosa.animazione espositiva garantita dalle citazioni più estese, su uno spettro di te-· sti straordinariamente ampio. Certo, a Calvino non faceva difetto quel primario requisito .del saggista che consiste nella capacità di delineare una cosmologia (o una topografia) privata, nel gusto di inscenare, per dir così, la propria costellazione intellettuale mettendo altri scrittori l'uno di fronte all'altro: facendoli dialogare a distanza, accostandoli o contrapponendoli, fissandoli in·un atteggiaménto, un gesto, una battuta, rivelandoli nell'analisi sia pur d'un solo motivo o di una sola frase (e si veda nel capitolo sulla Leggerezza il magistrale confronto tra un verso di Dante e uno di Cavalcanti). Ma non è solo per l'estrema piacevolezzadi lettura che queste conferenze si raccomandano, o per la vocazione pedagogica, sopravvissuta al declino dell'impeto costruttivo dei primi saggi calvinìani. Singolarmente chiaro ed efficace mi pare il

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