Linea d'ombra - anno VI - n. 31 - ottobre 1988

IL CONTESTO MUSICA Mozart e i cosacchi A /essandro Baricco Concerto di Vladimir Ashkenazy al festival torinese di "Settembre Musica". Arriva con un'orchestra da camera mediocre, quella di Losanna. Arriva con il consueto dolcèvita bianco sormontato da giacca "per la crescita". Ha un modo di muoversi, sul palco, che lascia perplessi. Un folletto. Un burattino dai gesti nervosi e esagerati. Quando ha finito.,- a forza di ammiccamenti, giravolte e imprevedibili inchini - il doveroso rito che accompagna gli applausi, si volta e si avventa dietro le quinte: viene naturale dare un'occhiata: chissà mai che sulla schiena non abbia un'enorme chiavetta che gira, il che spiegherebbe tante cose. Tra le altre, l'intensità davvero singolare della sua vita concertistica. Al contrario della maggior parte dei solisti della sua levatura e della sua età, Ashkenazy si concede al pubblico con felice e inossidabile generosità. Credo sia sul centinaio di concerti _all'anno: più i dischi, che sa Dio quando trova il tempo di incidere. Si aggiunga che lui non si accontenta più, ormai da anni, di fare il pianista, e nemmeno di fare musica da camera con altri interpreti (segno, tra l'altro, di modestia e intelligenza); dirige anche, lui, dal pianoforte o sul podio: e non è pura velleità, come nel caso di numerosi suoi. illustri colleghi: i risultati sono degnissimi. Su di lui annoto due fatti che offro al lettore per quel che posso- . no valere. Primo: non c'è stata una volta che io l'abbia ascoltato e ne abbia ricevuto vera e schietta emozione. Secondo: non c'è una volta che io abbia letto un giudizio critico negativo sul suo conto. Giusto qualche smussata riserva sul!' Ashkenazy direttore. Per il pianista solo incondizionate lodi. A Torino Ashkenazy ha portato un programma grandiosamente strabico: Mozart e Sostakovic. Di Mozart, l'ultimo dei Concerti per pianoforte, quello in si bemolle maggiore K. 595. Annotava il programma di sala, con l'ottimismo di prammatica: "condivide con gli ultimi capolavori di Mozart l'aspirazios ne ad una semplicità apparente che in realtà è l'approdo ad una superiore saggezza". In realtà io non .credo che Mozart sia mai, realmente, approdato a una "superiore saggezza". In certo modo, non ne ebbe il tempo: la morte, con lui, giocò d'anticipo. Come epigrafe ideale ai suoi ultimi lavori mi sembra molto più appropriata la bellissima espressione di Robbins Landon: •:una specie di passività leggera e lontana''. E una fra- . se su misura per H Concerto in questione: che ha sì una sua complessità sotterranea, sufficiente a confutarne la potenziale ingenuità: ma che, anche, scivola su una dolce 14 Vladimir Ashkenazy (Archivio Polygram/Decca). stiinchezza di invenzione che ha il sapore di un intorpidito rimembrare. Un capolavoro non direi che lo sia. È piuttosto un'opera postuma. Ashkenazy l'ha eseguita nella doppia veste di solista e direttore. Specie nei Concerti mozartiani questa unificazione dei due ruoli è ormai divenuta consuetudine consolidata: ciò non le toglie comunque una certa impressione di assurda comicità. Dove Ja partitura glielo consente il solista si sbraccia (da seduto, e quindi goffamente) come un direttore: poi quando il dovere lo chiama molla lì tutto e si china sulla tastiera. Ogni tanto si sfiora il balletto grottesco: il direttore spunta fuori dal pianista appena può sfruttando anche le più piccole pause; non manca chi arriva, potendo, a suonare con una mano e dirigere con l'altra. Difficile astenersi dal sospettare che tutto quel gran darsi da fare sia, sotto sotto, gratuito. Forse dovrebbe bastare lo sguardo per tenere sotto controllo ·un'orchestra come quella mozartiana. Lo sguardo e un buon primo violino. Nella seconda parte della serata, Ashkenazy ha lasciato perdere il pianoforte e dal podio ha proposto la quattordicesima e penultima sinfonia di Sostakovic. Più che di .una sinfonia bisognerebbe parlare di una Cantata: undici episodi per le due voci estreme (basso e soprano), archi e percussioni. La composizion·e ha un che di sacro: è ipnotizzata dal tema - dal fantasma - della morte. I testi poetici scelti spaziano da Lorca a Rilke: quasi tutti raccontano di morti forzate, crudeli, violente: suicidi, guerre, prigionia. Questo dà aWopera un sapore di denuncia e di ribellione che, improvviso, esplode nell'ottavo episodio. Il testo è di ApolÌinaire e porta il titolo di Risposta dei cosacchi di Zaporoze al sultano di Costantinopoli. Testualmente: "Più criminale di Barabba/ Cornuto come gli angeli dannati I Che razza di . Belzebù sei tu / Sazio d'immondizia e di fango I Non parteciperemo ai tuoi sabba / Pesce marcio di Salonicco / Lunga filza di sonni orrendi / Di occhi strappati con le picche / Tua madre tirò un peto diarroico / E tu nascesti dalla sua colica / Boia di Podolie. Ricoperto / Di piaghe ulcere e croste / Grugno di porco e culo di giumenta / Serba tutte le tue ricchezze / Per pagarti le medicine''. Indubbiamente Cambronne fu più sintetico: ma il senso è quello. E la potenza dell'invettiva, liberata improvvisamente nel cuore di un poetico braccio di ferro con la morte, dà il rinfrancante piacere di una scossa nervosa, che tutto butta all'aria e contro la morte stessa si rivolta, sovrapponen.dola alla futile figura di questo povero sultano di Costantinopoli, e bellamente mandandola a quel paese con l'unico sentimento che realmente le spetta: l'odio e il rancore. La storia deÌla musica è talmente piena di senili riflessioni sulla morte consumate nel segno di una rasserenata accettazione che la scelta di Sostakovic finisce per suonare come gesto luminosamente bello e magnificamente umano. Peccato che la sua musica non tenga dietro fino in fondo al disgusto delle parole, consumandone il furore nel fraseggio a strappi degli archi, che smozzicano brandelli di odio, ma mai, davvero, riescono agridare di rabbia, gridare tanto da far male.

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