IL CONTESTO tutti coloro che se ne occupano. Intendo l'uso che si fa di concetti quali onestà personale, integrità artistica, sincerità, come se fossero delle circostanze attenuanti. Venute meno in gran parte le censure d'ordine politico, è il momento delle riserve d'ordine estetico. Leggendo la critica, ci si imbatte con fastidiosa frequenza in dilemmi di questo calibro: era un vero romanziere o non piuttosto un giornalista? o magari soprattutto un saggista? E iri mancanza d'altro, ecco chi sente il bisogno di istituire paragoni con Joyce o Lawrence, con !a Woolf o con Forster. Per concludere che Orwell era di rango inferiore. Però era onesto. E coraggioso. . Non c'è dubbio che un'opera come quella di Orwell, così febbrilmente intrecciata con le esperienze della sua vita, con gli avvenimenti politici e il dibattito ideologico di quegli anni drammatici, presenti una varietà di temi e di registri piuttosto insolita e anche notevoli salti nella resa:qualitativa. Un gran brutto dente per le tena_gliedel critico. Personalmente, ho un debole per Senza un soldo (Down and Out) a Parigi e Londra (che preferisco a Giorni in Birmania, alla Figlia del reverendo, a Fiori,:àl'aspidistra e anche a Una boccata d'aria), considero La fattoria degli animali superiore a 1984, e le sue migliori riuscite in assoluto Omaggio alla Catalogna, La strada di Wigan.Pier, il racconto Giorni felici e molti saggi e articoli. Ma non ho mai provato la minima curiosità di stabilire esattamente il genere letterario a cui app<1.rtengono. La strada di Wigan Pier e Omaggio alla Catalogna -sono dei re- . portages; però sono anche saggi autobiografici; nonché studi sociologici, riflessioni politiche; d'altra parte, procurano un tipo d'emozione proprio della narrativa. E allora? Perché poi dovrei confrontare Orwell a Lawrence e a Joyce? Che senso ha? Mi aiuterebbe forse a capire, che so, Brancati, stabilire un paragone con Svevo? o con Pavese? Comunque, se. dovessi partecipare al vecchio giochetto "quali dieci (o venti ... ) libri del Novecento salveresti dal Diluvio?" non mi priverei di un Orwell (Omaggio alla Catalogna, probabilmente) e gli sacrificherei senza batter ciglio qualche decina di Maestri, di quelli che, come si dice, hanno rivoluzionato le forme del romanzo. Se onestà, coerenza, senso dell'onore, lealtà, coraggio vengono correntemente trattati alla stregua di attenuanti, per cui l'imputato va assolto o beneficia di una sostanziosa riduzione della pena, è perché (parafrasando Noventa, che parafrasava Burckhardt: "Gn.mdezza è ciò che voi non siete") ·onestà, coraggio eccetera rappresentano "ciò che noi non siamo". A differenza della quasi totalità degli intellettuali della sua epoca (e tanto più della nostra), per Orwell l'intelligenza è indivisibile dall'onestà, lo stile dalla lealtà. L'originalità e la forza della sua testimonianza derivano da questa straordinaria e ininterrotta' tensione morale. E la sua indispensabilità per capire il nostro tempo e i nostri problemi. Non tanto nel senso in cui sono indispensabili altre opere, magari più "grandi" della sua. Nessuno sente la mancanza di un secondo Proust; un Thomas Mann e un Eliot ci bastano; e anche un Gadda. Orwell è ùn compagno, un fratello. Non ho detto un Giusto, un Santo ("i santi dovrebbero essere considerati tutti colpevoli, fino a prova contraria", cito a memoria dal saggio di Orwell su Gandhi). Sono assolutamente convinto che un maggior numero di scrittori, di uomini del suo stampo avrebbe potuto cambiare molte cose, incidere realmente sul nostro destino. E oggi, come e più di allora, a mancarci sono soprattutto scrittori e ùomini come Orwell. Per liquidare Orwell, la critica marxista ha fatto largo ricorse;>ai soliti luoghi comuni dello sradicamento, dell'assenza di legami con la comunità, con le masse, dell'individualismo IO piccolo-borghese eccetera. Neppure Williams, benché a tutt'altro livello, si salva completamente da quest'ottica, quando colloca Orwell nella schiera degli esuli volontari che in · Inghilterra vantano un'illustre tradizione, da Byron fino a D.H. Lawrence. Gli sfugge il dato fondamentale che nel nostro tempo l'esilio, l'abbandono, la solitudine rappresentano la condizione normale della stragrande maggioranza degli uomini, delle masse, appunto. Hai ùn bel volerti legare alla comunità, quando la comunità non esiste più. Le fedi, le tessere, le militanze coprono solo in mimima parte e sommariamente il bisogno di sicurezza e di fraternità degli uomini, quando pure non Io deviano e sfigurano (Orwell fu tra i pochissimi intellettuali di sinistra a vedere subito nel fascismo un fenomeno non riducibile alle categorie d'interpretazione marxiste e a interrogarsi seriamente sulle ragioni del consenso che riscuoteva anche nel proletariato). È precisamente in questo senso che Orwell è un esiliato, e sceglie di esserlo. Del resto, Orwell non rifiuta affatto a priori legami e responsabilità. La sua partecipazione alla guerra di Spagna, ne è la migliore, ma non certo la sola, dimostrazione. Rifiuta la menzogna, il successo. Rifiuta la sua classe d'origine. "In quel periodo, il fallimento mi sembrava essere la sola virtù. Ogni sospetto di carriera, di successo... mi pareva turpe, una specie di prepotenza". Le parole di Orwell (dalla Strada di Wigan Pier) si riferiscono alla sua decisione di dimettersi dalla polizia e .vivere senza garanzie, come un disoccupato, un emarginato (Down and out). Ma il fallimento Orwell !;aveva già scelto cinque anni prima quando, uscito da Eton, aveva rinunciato a Oxford o Cambridge, cioè a far parte della classe dirigente, e aveva preso la "strana", "masochistica" decisione di arruolarsi nella Indian Imperia! Police. Essere parte del sistema di oppressione e sfruttamento, ma come basso gregario. Sporcarsi le mani, vivere di persona gli atti minuti, quotidiani, nei quali l'imperialismo si esercita, e vederne le conseguenze nel corpo e sui volt,idei colonizzati. Esperienza atroce, che indurrà in Orwell un fortissimo senso di colpa e il bisogno di espiare, e Io convincerà definitivamente a sposare la causa degli sfruttati, dei coolies indiani come dei minatori inglesi. Ma, seppure non pienamente consapevole (non aveva ancora vent'anni), già la scelta di fare il poliziotto rappresentava un castigo autoin.flitto, l'espiazione di St. Cyprian e di Eton. Aveva cominciato presto a porsi il problema (a viverlo) della responsabilità personale nei confronti della realtà sociale. Del grande impegno politico degli intellettuali negli anni Trenta e Quaranta non è rimasto quasi nulla. Le parole dei congressi antifascisti: polverose sciocchezze; il facile comunismo di tanti, le illusioni liberal-democratiche di altri, gli slogan, i gesti ... ; stalinisti, trotskisti, surrealisti, umanitari, freudo-marxisti, ingenui, opportunisti, doppiogiochisti, compagni di strada ... Per trovare intelligenza e passione all'altezza dei tempi, coscienza dell'entità della posta in gioco, dobbiamo rivolgerci ad alcune figure di isolati, di outsider, di inclassificabili. Penso a Simone Weil, Bernanos, Céline, Orwell e po'chissimi altri. Un pensiero dove si scontrano e si integrano marxismo, platonismo e cristianesimo; un cattolico senza chiesa; un anarchico pessimista che finisce fascista; un puritano senza fede nonché socialista senza tessere ... Troppo lungo e complicato parlare dei singolari incroci e coincidenze di percorsi così diversi. Si fa prima ad accennare a certi tratti comuni del carattere: feroce spirito antiborghese; "estremismo" intellettuale ed esistenziale; rifiuto a chiudersi, a esaurirsi nel ruolo di scrittore; estraneità e disprezzo verso la corporazione intellettuale e per tutte le
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