Linea d'ombra - anno VI - n. 31 - ottobre 1988

IL CONTESTO Uno da cui.imparare Piergiorgio Bellocchio Oltre i clamori del/'84, Orwe/1 continua a rivelarsi un maestro più che mai attuale.' Non c'è dubbio che l'uso politico che si fece di 1984, quando uscì nel 1949, aveva ben poco a che vedere con le intenzioni dell'autore. Orwell, che per tutta la vita aveva appassionatamente combattuto l'isteria e l'odio indotti dalla propaganda politica, non poté impedire (non riuscì a pre~ vedere) che il suo ultimo romanzo funzionasse, per dirla con Isaac Deutscher, "come una sorta di superarma ideologica nella guerra fredda". Il grido di disperazione di Orwell "amplificato da tutti i mass-media del nostro tempo, ha terrorizzato milioni di persone". L'articolo di Deutscher, che è del 1954 (in italiano, nella raccolta Eretici e rinnegati, Longanesi 1970), si conclude riportando le parole con cui a New York "un vile spacciatore di notizie" gli raccomandava 1984: "Ha letto questo libro? Deve leggerlo, signore. Allora capirà perché dobbiamo gettare la bomba atomica sui bolscevichi!" Per Deutscher sono stati i gravi limiti artistici di 1984 (il prodotto di "un'immaginazione feroce e a volte penetrante, ma priva di ampiezza, di duttilità, di originalità") a favorirne la strumentalizzazione politica, laddove questa risulterebbe impossibile per opere di qualità superiore. Giudizio discutibile, ma soprattutto dubbia l'argomentazione: basti pensare. al caso del Dottor Zivago, il cui riconosciuto valore letterario non ha certo impedito la sua trasformazione in merce propagandistica e poi, attraverso la versione cinematografica, in polpettone sentimentale. Deutscher insiste sul fatto che l'imaginazione di Orwell era deformata dalla paura. Il trauma prodotto dai metodi staliniani, che egli vide in azione duran- · te l'esperienza spagnola, rion fu da lui superato razionalmente, ina anzi si aggravò fino a trasformarsi in incubo, in ossessione. "Ossessione onorevole" precisa Deutscher, ma tale da alterare gravemente le sue capacità di analisi e di giudizio. Nella sua lotta contro il male, il male l'avrebbe infettato. A riprova della "mania di persecuzione" e della "mancanza di senso storico" di Orwell, Deutscher, che l'aveva conosciuto nel 1945, ricorda di esser rimasto "sbalordito" dal fatto che Orwell "era fermamente convinto che Stalin, Churchill e Roosevelt complottassero consapevolmente per dividersi il mondo, e dividerlo per sempre, fra loro tre, e sottometterlo in comune". Avendogli Deutscher fatto osservare che l'accordo fra i Tre Grandi era più apparente che reale e che presto il conflitto sarebbe venuto a galla, Orwell reagì con grande "stupore" e "incredulità". A lasciarci sbalorditi è lo sbalordimento di Deutscher. Che uno storico del suo calibro vedesse meglio di Orwell le tensioni e le contraddizioni che si celavano (e neanche tanto) dietro l'accordo di Yalta, è addirittura ovvio. Ma non si dimostra dotato di un ben più acuto e sostanzioso senso storico il "mistico della crudeltà", il "paranoico" Orwell che in quell'accordo vedeva prima di tutto la brutale spartizione del morido? Chi dei due era più lucido e lungimirante? Quella spartizione (con l'unica variante che è a due anziché a tre, essendo quasi subito uscito di scena l'Impero britannico) dura da ben quarant'anni e gli innumerevoli conflitti che ne sono conseguiti hanno avuto l'unico effetto di estenderla e consolidarla. 8 L'ossessione di Orwell, nonché "onorevole", era assolutamente realistica. Non solo il suo allarme era giustificato nel 1945, ma i decenni successivi si sono incaricati di renderlo sempre più tragicamente concreto. Le armi nucleari ancora non sono state usate, ma hanno raggiunto ugualmente e perfettamente lo scopo di paral_izzareogni movimento che disturbasse gli interessi dei due imperi: in pratica, annichilire ogni aspirazione al cambiamento, ogni volontà di emancipazione e 'autonomia, svuotando di significato questi concetti e di fatto abolendone fin la memoria. Tutti parlano dell'effetto di dissuasione reciproca tra i due imperi, si trascura invece l'effetto di dissuasione operante "all'interno" di ciascun impero. L'orrore denunciato da Orwell della "correzione della storia", che ricalca esasperandola la prassi sovietica di sopprimere non solo le persone fisiche dei "nemici" interni, ma il loro stesso passato, cancellando la traccia del loro passaggio sulla terra, intuisce la dimensione più catastroficamente rivoluzionaria della nostra epoca. Mai, nella storia del mondo, la vita, la libertà, la volontà degli uomini hanno avuto meno valore. Su un piano decisivo Orwell si è sbagliato: che occorresse un apparato di polizia mostruosamente esteso e perfezionato per mantenere il popolo nell'obbedienza. Non ha compreso né sospettato l'enorme capacità del sistema di ottenere consenso, non tanto con l'oppressione e la propaganda politica quanto con la produzione di beni di consumo. Il suo 1984è contrassegnato dalla penuria e dallo squallore materiale: invece le merci abbondano e noi viviamo molto più "liberi" e meglio nutriti, vestiti, divertiti dei cittadini di Ocea-

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