UMERO 3l OTTC?BRE19B8 - N - - =- :.---_;::::;:-,-~ /,,,, - ---~-:--:--~~:~:.:; ;;~ ~..i.---::::::=:-e½~ ~ ~=--:::;:--~, ; .,,- -~ ~.: _;- . -: ~ . ,, -~/ 0-:&~:; ~~~~~;;~r.'f:~Ti =---- -:;;:,- ,,,,, ~ ='---=1/ ----- . -- --/ -;:::::::;. . :::::::--:;::- / ----=----;:::--,, / . .:-:.~~~- : ~ -:::::.-e:: / ~i:,::i~~ffiil~~rr~: - =-= ~~~~ ,::::- --/ i11 -~~o----- 'l - . ~ .: -: . ~~~ /// . --- - :::.----::~ / . . ·-0 ~~~~ ~- ~ ~ 1//,1/,/ e :,_.:;:::; ~ -:::---~ / , -: r ~ ...-- ~~ .:;::; //~ ~.:====- ~~ ~- - 1/ ::::..::~==:::;;- - - - ~~ ~ ,/ ~~~ .% ~ ..----:/ / È="§==== -:: -=-=-~ ~/ / ~--===--::::::-~ ?~ - -·/ - =-~=~~:::-/ '2' - = -C?,-c /:f! -==-,- ~ <-;; j{:/ ~ -~ /4 - ~- ~,,,,/ 1/~ ~ ~f'i :;:-_,,,,,,_ :;::,;; Jf ~,,,-;;- % ~ ~ -~ , 4. 20124 MILANO LIRE6.000
MichaiBl ulgakov Romanzi La guardiabianca,Romanzo teatrale,Il MaestroeMargherita: nel primo volume delle Opere, i romanzi con un saggio introduttivo di Vittorio Strada ~ una nota biografica di Marietta Cudakova. Traduzioni di Ettore Lo Gatto e Vera Dridso. «Biblioteca dell'Orsa», pp. xcrn-1020, L. 50 ooo NicoOrengo Ribes L'Italia d'oggi nello specchio della televisione: il romanzo impietoso e divertito di una mutazione. «Supercoralli», pp. 226, L. 24 ooo PaulWescher I furtid'arte Napoleonee la nascitadelLouvre Un capitolo singolare nella storia del collezionismo: il sogno di un museo ideale che nasce dalle razzie delle guerre napoleoniche e da un preciso disegno politico e culturale. Traduzione di Flavio Cuniberto. «Saggi», pp. xx1-2or con 133 tavole fuori testo, L. 35 ooo GérardDelille Famiglieaproprietà nelRegnòdiNapoli XV•XIX secolo La politica delle parentele, il sistema delle alleanze, la dote delle fanciulle, lo scambio e la trasmissione dei beni: una nuova interpretazione della società meridionale. Traduzione di Maria Antonietta Visceglia. «Biblioteca di cultura storica»,-pp. 1x-390 con r cartina e 48 geneaologie nel testo, L. 50 ooo Einaudi IgorA.Caruso Laseparazione degliamanti Cosa succede quando due persone che si amano si lasciano? Gli aspetti psicoanalitici e antropologici di un dramma interiore. Traduzione di Ada Cinato. «Paperbacks», pp. VI-355, L. 34 ooo SimonedeBeauvoir Laterzaetà In edizione tascabile il libro con cui la de Beauvoir ha affrontato coraggiosamente la condizione degli anziani, oggi. Traduzione di Bruno Ponzi. «Gli struzzi», pp. 526, L. 24 ooo ArnoldHauser Leteoriedell'arte Le tendenze e i metodi della critica moderna: dai problemi sociologici alle letture filosofiche e psicologiche. Traduzione di Giuseppe Simone. «Pbe», pp. 338, L. 20 ooo JosephConrad Lalinead'ombra Unaconfessione Il capolavoro conradiano presentato da Cesare Pavese. Traduzione di Maria Jesi. «Gli struzzi», pp. vrn-142, L. ro ooo BeppeFenoglio Ungiornodifuoco I fatti di sangue e di follia, l'incombere dei destini già segnati, le parabole d'un mondo sempre in guerra. I magistrali racconti di Fenoglio. Con una nota di Maria Antonietta Grignani. «Nuovi Coralli», pp. 177, L. 14 ooo WallaceStevens Mattinodomenicale e altre poesie Con Eliot e Pound, uno dei vertici della sensibilità poetica del nostro secolo. A cura di Renato Poggioli. «Collezione di poesia», pp. Ix-190, L. 12 ooo Successi: PremioViareggio PremioSupercampiello Lestradedipolvere Quarta edizione. 65 ooo copie. «Supercoralli», pp. 245, L. 20 ooo lanMcEwan Bambinnieltempo « ... una trama tesa, compatta, il cui senso profondo si rivela a poco a poco, grazie a una notevole prova di scrittura» (Benedetta Bini, «L'Espresso»). « ... questo è il suo libro piu bello» (Sandra Petrignani, «il Messaggero»). Traduzione di Susanna Basso. «Supercoralli», pp. 219, L. 22 ooo AndreaDeCarlo Trenodipanna Da questo fortunato romanzo il film con Sergio Rubini e Carol Alt. Ottava edizione, 35 ooo copie. «Nuovi Coralli», pp. m-213, L. 16 000
Direttore: Goffredo· Fofi Direzione eqitoriale: Lia Sacerdote Gruppo redazionale Adelina Aletti, Giancarlo Ascari, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Stefano Benni, Alfonso Berardinèlli, Paolo Bertinetti, Gianfranco Bettin, Franco Brioschi, Marisa Caramella, Cesare Cases, Severino Cesari, Grazia Cherchi, Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Stefano De Matteis, Riccardo Duraniti, Bruno Falcetto, Fabio Gambaro, Piergiorgio Giacché, Aurelio Grimaldi, Giovanni Jervis, Filippo la Port~, Gad Lerner, Claudio Lolli, Marco Lombardo Radice, Marcello Lorrai, Maria Maderna, Luigi Manconi, Danilo Manera, Edoarda Masi, Santina Mobiglia, Maria Nadotti, Antonello Negri, èesare Pianciola, Gianandrea Piccioli, Bruno Pischedda, Giuseppe Pontremoli, Fabrizia Ramondino, Alessandra Riècio, Roberto Rossi, Franco Serra, Marino Sinibaldi, Paola Splendore, Gianni Turchetta, Emanuele Vinassa de ~egny, Gianni Volpi, Egi Volterrani. .i.t Progetto Grafico: Andrea Rauch/Graphiti '· Ricerche iconografiche: Carla Rabuffetti Relazioni pubbliche: Miriam Corradi Esteri: Regina Hayon Cohen Amministrazione: Emanuela Re PubbÌicità settore editoriale: Emanuela Merli Via Giolitti, 40 - !0123 Torino - Te!. 011/832255 Hanno inolt~e collaborato a questo numero: Romano Bilenchi, Franco Cavallone, Roberto Delera, Giorgio Ferrari, Bruno Mari, Roberta Mazzanti, Grazia Neri, Vanni Scheiwiller, gli uffici stampa della Feltrinelli e della Polygram/ Decca, le librerie Feltrinelli di via Manzoni e Popolare di v"iaTadino I8 a Milano. Editore linea d'Ombra Edizioni_srl Via Gaffurio, 4 - 20124 Milano Te!. 02/6690931-6691132 Fotoco111posizionee montaggi multiCOMPOS snc Distribuzione nelle edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. Via Famagosta, 75 - Milano Te!. 02/8467545-8464950 Distribuzione nelle librerie , PDE - Viale Manfredo Fanti, 91 50137 Firenze - Te!. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini, 6 Buccinasco fMI) - Te!. 02/4473146 LINEA D'OMBRA mensile di storie, immagini, discussioni Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393 Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo lll/700Jo Numero 31 - Lire 6.000 Abbonamenti Abbonamento annuale: 1TALIA: L. 50.000 da versare a mezzo assegno bancario o cl e Jl()Stalen. 54140207 intestato a Linea d'Ombra ESTERO: L. 70.000 I manoscritti non vengono restituiti Si risponde a discrezione della redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesta. LINDE'AOMBRA anno VI ottobre 1988 numero 31 IL CONTESTO 3 8 15 19 21 22 29 Alfonso Berardinelli Piergiorgio Bellocchio Mario Barenghi Aldo Capitini Piergiorgio Giacchè Eco, o il pensiero pendolare Orwell, uno da cui imparare Calvino e il tappeto della sapienza Poesie da "Colloquio corale" . e Marisa Caramella Assessori e presidenti Oreste Pivetta I Sotutto dello sport Bertolt Brecht Negli anni Novanta RUBRICHE: In margine (G. Cherchi a pag. 7), Cinema (G. Fofi_su Olmi, Adlon, Waters a pag. 11), Musica (M. lorrai su Zorn, Berne, Power Tools, Last Exit a pag. 14; A. Baricco su Vladimir Ashkenazy a pag. 14), Teatro (M.A. Saracino su Koreja a pag.·17), Memoria (Un convegno su Capitini, a pag. 18), Confronti (B. Pischedda su Testori a pag. 24; M. Corona su Kerouac a pag. 25), Scienza (F. Terragni su Carolyn Merchant a pag. 26), Promemoria (a pag. 28) POESIA 42 Kateb Yacine 73 Nikolaj Kancev STORIE 53 67 74 Dante liano Monica Sarsini Graham Swift INCONTRI 56 Russe/I Hoban Poesie seguito da La dialettica della scrittura presentate da Egi Volterrani Poesie La minaccia Lapo L'orologio Un sacerdote nella tribù a cura di John Haffenden NARRARELASCIENZA 70 Giuseppe O. longo SAGGI 31 37 47 64 79 Giuliano Pontara Edoarda Masi Bessie Head Eugenio Barba Gli autori di questo numero La storia naturale Responsabilità per le generazioni future? Scienza e futuro. Appunti per i verdi Voglio raccontarvi una storia ... a cura dì Maria Antonietta Saracino Quattro spettatori La copertina di questo numero è di Franco Matticchio .(distr. Storiestrisce)
Cari lettori, non è facile riuscire a fare una bella rivista, come dimostrano le tante brutte che ci sono _ingiro. Non è facile perché di idee nuove nel "bel Paese"ce ne sono in giro poche; perché bisogna, numero dopo numero, dedicare energie molto maggiori alla soluzione di problemi economici e organizzativi che a testi e contenuti; e non è facile soprattutto perché manca o scarseggia quel tanto di sentimento di appartenenza a una collettività, di fiducia nellepossibilità di cambiamenti in meglio, _disintonia con progetti generali e con qualcosa di più che dei "lettori". La pigrizia morale, la soddisfazione generale che ci v_ediamoat- -torno; e laformidabile sintonia tra certi "intellettuali" e certo ''pubblico", molto maggioritari e contenti di sé - finiscono spesso per farei chiedere: vale proprio la pena continuare? per chi? e per cosa? E tuttavia, alla fine, si tiene duro: e si è perfino in grado di annunciare qualche piccola novità. · Dal numero scorso, per esempio, -la nostra rivista è stampata su carta riciclata una scelta di coerenza, che ci permette anche un piccolo risparmio e un "look" adeguato alle nostre convinzioni. Ai primi di novembre (v. a pagina 18) ci sarà a Mi- - /ano un incontro-convegno su Aldo Capitini a vent'anni da/fa morte, che speriamo primo di manifestazioni similari, su molti temi e in altre città. A gennaio-!ebbraio partirà una piccola collana di opuscoli che si chiamerà "Aperture", in cui proporremo o riproporremo testi del pensiero radicale dallaJi- - ne dell_'Ottocento a oggi, nella cui utilità fortemente crediamo. · Per Natale, contiamo injine di poter offrire ai lettori un omaggiosignificativo: la raccoltain unaplaquette ben curata e bene illustrata di alcuni testi di Elsa Morante non reperibili in volume. Un 'altra piccola novità è interna all'organizzazione-deinumeri.:la distinzionepiù netta tra "testi" e "contesto", con una migliore organizzazionedi quest'ultimo, anche grafica, che permetta un intervento più sistematico su quanto, dell'attualità politica e culturale, ci sembra più sollecitante o provocatorio. ·· Quanto ai "testi", prosegue la nostra ricerca di riflessioni ugualménte attuali - su temi gravi e a opera di studiosi italianie stranieri a noi congeniali - ma prosegue altresì laproposta di testi inediti di grandi teorici trascurati dal conformismo epocale. E sul piano lette2 rario, senza ottuse chiusure ma anche fuori dal ricatto delle mode editoriali, gli incontri con autori vecchie gio~ vani che hanno qualcosa da dirci e sanno dircelo efficacemente: In questo numero sono presenti gli inglesi Hoban (l'autore del Diario dellà tartaruga) e Graham Swift, di cui abbiamo già pubblicato un'intervista (in generale, dedichiamo molto interesse alla odierna cultura inglese, che ci pare attraversata da contraddizioni assai più vitali che le altre europee, o la statunitense); iniziamo una nostra carrellata sulla cultura araba (anche di lingua francese) partendo dai maggiori, e dopo Yacine ci saranno l'egiziano Mahfouz, l'iracheno al-Tekerli, il palestinese Kanaf ani eccetera; proseguiamo nella scoperta e valorizzazione di · scriitori africani, .con alcuni scritti di Bessie Head, e l'attenzione per il "terzo mondo" è dimostrata anche da un bel racconto ''politico" guatemalteco di Dante Liano; proponiamo un giovane autore italiano che esordisce nel racconto con particolare vigore, la fiorentina Monica Sarsini. Eccetera, eccetera. Numero dopo numero, la galleria di autori che è stata "Linea d'ombra" a proporre per prima o a rilanciare secondo linee di scelta -raramente seguite dall'editoria e dalla stampa, quan~ do non osteggiate per la loro "diversità", prosegue _ostinata avvalendosi di segnalazioni, proposte, contatti, traduzioni, presentazioni di collaboratori nuovi, che siamo ben felici di potere utilizzare. (E sarebbe bello se altri ne arrivassero, e se i lettori ci segnalassero quali autori vorrebbero veder tradotti o riproposti: non assicuriamo di poter rispondere a tutti, perché in redazione siamo pochissimi e il tempo è pochissimo, ma assicuriamo che le loro idee verranno vagliate con la massima cura.) - Molti testi importanti abbiamo pronti per i prossimi numeri, sperando che molti prossimi numeri possano esserci. Ogni nuovo fa.scicolo è per noi una scommessa. È per questo che abbiamo bisogno del sostegno dei lettori e del con/ orto della loro assiduità, e chiediamo loro il piccolo impegno di aiutarci a conqùistarne altri. (disegni di Da\'id Schcr)
IL CONTESTO Eco, o il pensiero pendolare Alfonso Berardinelli "Quic'è tutto, qui c'è di tutto!" Ma il tutto sta nella parte. Proviamo dunque a recensire il primo capito/o, anzi la prima frase diun best-seller molto annunciato. li centro del mondo, dove si ammucchiano tutte le sue immondizie. (Franz Kafka) Ci tengo a dirlo e sia chiaro: io sono un sostenitore, un ammiratore di Umberto Eco e non ho niente contro di lui. Insomma: non lo invidio. Non vorrei essere al suo posto. Lui si trova in un posto così centrale della cultura del mondo, lui è così al centro dell'attualità della cultura attuale, che tutto . converge e per così dire si precipita verso di lui e su di luL sulle sue opere o sui suoi romanzi. .Ma perché dico romanzi? Umberto Eco, ha scritto finora un unico e solo romanzo, eppure, non so perché, è come se ne avesse scritti dieci. Ha fatto un miracolo, a modo suo. Ha moltiplicato all'infinito la sua prima opera come in un vertiginoso gioco di specchi. È stato capace di individuare il punto archimedico (dico bene?) nel quale un solo oggettolibro viene istantaneamente rispecchiato cento, mille e più volte, in•modo tale che chiunque da qualunque luogo e punto di vista si metta o si trovi non riesce a vecjere altro che qùel libro. Così io. Non riesco a vedere, a trovare un luogo, un punto di vista, un angolo di mondo, per quanto piccolo e oscuro e riparato, dal quale lui e il suo libro non si yedano, non siano al vertice e al centro di tutto il mondo letterario e culturale. Al centro perché il mondo è tondo. E al vertice: perché il mondo è anche, contemporaneamente e senza contraddizione, un triangolo dotato di angoli oscuri e di un vertice luminoso. L'ho già detto, io lo ammiro. E ci tengo a ripeterlo, contro i pettegoli'e contro tutti coloro che sono sempre maliziosamente pronti a pensare tutto il male possibile di chiunque, e quindi anche di me. Non pensino costoro che io invidio Umberto Eco. Lo ripeto per scrupolo e amore di precisione: io Umberto Eco non lo invidio, né l'ho invidiato mai. Non riesco a vedere male lui e quello che fa. Li vedo bene, invece, li vedo fin troppo bene. Li vedo sempre così bene che a volte mi verrebbe quasi voglia di non vederli più. Vergognandomene, in certi momenti di debolezza, mi metto del tutto spontaneamente a immaginare un mondo senza i romanzi di Umberto Eco. Però non ci riesco. La mia immaginazione non ce la fa. E così, dovunque io vada o mi trovi senza essermi mosso, trovo e incontro lui. Lo vedo e lo leggo nelle classifiche, nelle vetrine. Tutti ne parlano, tutti lo apprezzano, lo invidiano e gli vogliono bene. Gli vogliono così bene che lo invidiano. Gli vogliono così bene e lo apprezzano a tal punto che vorrebbero essere al suo posto. (No, io non vorrei proprio essere al suo posto!) Lui lavora, fatica, suda. Lui se lo suda e se lo è sempre sudato il suo pane e il suo nome. Non se ne è mai stato pigramente fermo, con le mani in mano, a guardare le nuvole. Lui sa e sempre ha saputo come usare e mettere a profitto il suo tempo. Ars longa, vita brevis. Ha letto e ha imparato: oh sì!, che cosa non ha letto e imparato lui! In attesa del suo secondo romanzo, che è rimasto così a lungo avvolto nel mistero e che all'improvviso è in piena luce, nel cerchio di una luce resa accecante dal convergere in quel solo punto di tutti j riflettori culturali dell'intero mondo - in attesa, dicevo, delle prime proibitissime (e poi alle fine concesse) anticipazioni indiscrete del suo nuovo romanzo tanto atteso da tutti in tutto il mondo, un settimanale à lui prossimo e caro, che si chiama "L'Espresso", ha costretto un noto e competente professore di storia, Giuseppe Galasso, a spiegare in un articolo che cosa fu l'ordine cavalleresco dei Templari, solo per3
IL CONTESTO ché sapere qualcosa dei Templari sarebbe tornato utile, più in là, a capire meglio il romanzo di Eco. E così sappiamo già che leggendo Umberto Eco sapremo sempre tante cose in più, ne sapremo sempre tantissim·e, una meno del diavolo (solo l'autore in persona ne sa, invece, una più del diavolo: ma così, a conti fatti, la differenza sarà mi0 nima: tra il saperne una meno del diavolo e il saperne una più del diavolo la differenza sarà di soli due punti, e fra autore e lettori avremo anche messo alle strette il diavolo, che sarà indubbiamente fra noi più di quanto non sia mai stato). Preliminari, miseri preliminari! Ora siamo ben oltre, ben al di là di tutto questo. Prima che il romanzo di Eco, il nuovo romanzo di Eco, fosse in libreria per presentarsi alla Fiera del Libro di Francoforte 1988 il settimanale di cultura a lui così prossimo e caro (ma quale altro settimanale del mondo non avrebbe fatto altrettanto? Caro e vicino a tutti, a tutti gli addetti alla cultura e all'informazione è ormai questo autore italiano di cui anche Dante sarebbe fiero, perché grazie a lui vende qualche copia in più della sua cosiddetta Divina Commedia), insomma ancora "L'Espresso" ha pubblicato un servizio esclusivo per i suoi lettori, e cioè ha pubblicato in "anticipazione mondiale" il primo capitolo del secondo romanzo di Umberto Eco. Io ho subito approfittato e sono corso dal giornalaio ad accaparrarmi in (;!Scl~sivaquesta anteprima assoluta. Ho ignorato tutto il resto. Una sola meta _davanti a me: il primo capitolo del secondo romanzo di Eco, che si chiama Il pendolo di Foucault: Non sono un fanatico, sono un ammiratore laico. Non ho miti. Non credo né all'esistenza di Dio né a quella di Babbo Natale. Ma credo in Eco, credo che lui esista veramente. Prima di pronunciarmi, però, su questa nuova opera del mio idolo, che non invidio, devo rendermi conto di persona. Dice "L'Espresso": "Giallo politico? Thriller filosofico? Il pendolo di Foucault, l'attesissimo romanzo dell'autore del Nome della rosa, rimaneva un mistero nonostante le indiscrezioni. Ora non più. L'Espresso pubblica un'anticipazione mondiale: il primo capitolo . In effetti deve essere così: basta il primo capitolo a dissipare il mistero. Letto il primo capitolo, tutto sarà chiaro. Non ci sarà nient'altro da scoprire. Lo dice "L'Espresso" e io mi sento fortemente indotto a crederci. Leggo la prima frase di questo primo capitolo e mi sento subito un po' deluso. La frase infatti suona appena così: "Fu allora che vidi il Pendolo". È un po' poco, direi, per un lettore di Umberto Eco, per un partigiano e un aficionado del Nome dellar9sa. Vuoi mettere? Nel primo romanzo la prima frase suonava molto meglio, non riesco a levarmela dalla testa tanto mi colpì: "In principio era il Verbo e il Verbo era presso di Dio, e il V_erboera Dio". Magnifico attacco, incipit sublime! Nessuno avrebbe potuto fare di meglio, neppure Dio in persona, se si fosse messo a scrivere di mano propria. · Qui, poi, si cade subito in un linguaggio da manuale di fisica e di geometria. Il narratore è in estasi fin dalla prima riga, sicché la scienza è preceduta dall'entusiasmo per la scienza, come se ci trovassimo davanti a una pagina del Calvino più perso nella fissità delle sue contemplazioni pitagoriche e galileiane. Calvino, ma che dico! Non è sulla strada di Calvino che Umberto Eco si mette. È sulla strada di Del Giudice, uno scrittore più giovane, che appunto ha deciso per tempo di mettersi sulla strada di Calvino. È una sola o sono molte, o sono infinite le strade di Calvino?, le strade che partono da Calvino e portano sempre di nuovo a Calvino? Preziosa è senza dubbio l'eredità che Calvino ha lasciato. 4 L'eredità, intendo, del suo pubblico di lettori. Un pubblico allenato nel corso di alcuni decenni a riconoscere in lui una serie di chiari segni (leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità). Questi segni calviniani, Umberto Eco, buon interprete di segni, se li è tenuti per certi e per buoni. La combinazione di scienza e mistero! L'enumerazione e il silenzio! Ed ecco che il pendolo di Eco si metté subito a oscillare. Con dantesca e paradisiaca regolarità, con perfetta mescolanza, dunque, di razionale acume e di emotivo entusiasmo, Eco ci introduce nei misteri della intima, onnipresente e inafferrabile ragione razionale e mistica che regola l'armonica rotondità del mondo. Regolarità, rotondità e perfezione che lo mandano in estasi. Eco aspira a questo. È già questo, si avvicina a esserlo. Perfezione, rotondità, regolarità. Vincere con la regolarità del suo movimento pendolare la resistenza della materia e qualunque altra resistenza. Muoversi sempre e regolarmente. Muoversi secondo una regola misteriosa e sempre uguale. Oscillare in modo regolare per l'eternità. Dire questo ma anche quello. Dire una cosa ma anche il contrario. Mostrare all'umanità l'incanto di una mente pendolare, regolata in ogni suo pensiero dal rapporto fra la radice quadrata della lunghezza delle distanze percorse dal suo nome e quel pi greco che lega necessariamente la fatica sprecata al consenso riscosso. A poco a poco, così, sento che anche questa volta Umberto Eco ha fatto centro. A ogni capoverso che leggo sento dentro di me sgorgare spontanea e fresca come un ruscello alpino l'esclamazione: "Qui c'è tutto, qui c'è di tutto!". Umberto Eco è una testa enciclopedica, razionale, ponderata, prudente e audace, conseguenziale e intuitiva, ludica ma re- . sponsabile, moderna ma antica. Un angelo col computer. Un computer che ha incorporato e messo in programma un angelo. Niente di più giusto. La nostra civiltà, per sopravvivere, ha bisogno appunto di questo, che le due mitologie della perfezione stringano alleanza e si uniscano. Capace di intuizione come un angelo uscito direttamente dalle mani di Dio, e capace dei calcoli più complicati come un super-Ragioniere che non spreca gli effetti, che non fa niente per niente. Umberto Eco ha capito una cosa che le comprende tutte. Noi tutti siamo degli scolari, siamo scolari suoi. Tutto il mondo, tutta una vasta zona di mondo che conta, e che compra i libri, è fatta di scolari, di studenti, di frutti riusciti o non riusciti della Scolarizzazione Universale. La cultura è scola- . rizzazione. Il libro esemplare nel nostro tempo, se il nostro tempo dovesse scegliere il suo libro esemplare, sarebbe un libro di scuola, un manuale, qualcosa che serve per superare gli esami, per rispondere ai quiz, per rispondere alle domande di un esaminatore, per fare bella figura, per essere promossi. Chi ha voluto insinuare che Eco sarebbe l'ec9 di qualcosa? È falso! Eco non è l'eco di niente. Chi ragionasse così si dimostrerebbe vittima di una vecchia e patetica illusione, da cui invece Eco è e si dimostra immune. Infatti, "non si sfugge alla rivelazione dell'identico, illudendosi di poter incontrare il diverso" (Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, I O cap.). Sempre mi capita di essere preso da una specie di infatuazione quando mi vedo regalare simili pepite preziose di · saggezza. I denigratori di Eco sono dei metafisici e dei romantici. Sono metafisici perché pensano che dietro, sotto, al di là di Beo ci sia qualcosa, qualcosa di fisso, di sostanziale, di originale, di cui Eco sarebbe solo l'eco, la copia, lariproduzione, il simulacro, la degradazione e la replica: e invece prima e al di là di Eco non c'era niente, non c'era nessuna sub-stantia, niente. che stesse sotto, niente di meglio: non
c'.era, prima, un primum, l'originale non esiste, come non esiste Dio né Babbo Natale, e al loro posto, simulacro di un simulacro, ultimo che è sempre primum, copia che manca di originale, in un mondo nel quale tutto è copia, è sempre Eco, al di là di ogni metafisica superstizione. Eco è sempre esistito. • Ma oltre a essere dei metafisici, i denigratori di Eco sono anche dei sentimentali e dei romantici. Pe,rché credono che esista il Diverso, sognano di incontrare il Diverso. E invece sono necessariamente destinati a incontrare sempre e solo l'Identico. Credono e sperano di incontrare qualcosa di diverso da Lui, e invece sono destinati a incontrare sempre e solo Lui: medioevo e età moderna, chierico vagante e libertino, teologo e enciclopedista. Ma ogni volta che si cade nella trappola di inseguire enumerativamente la vertiginosa pluralità della mente di Eco ci si deve presto ritrarre scornati: siamo di fronte all'inesauribile. Qualsiasi enumerazione non farebbe che riprodurre l'enumerazione che l'opera di Eco è già in sé di per se stessa. Enumerazioni sintetiche e scorciate suonerebbero pleonastiche e superflue. Già Eco enumera. Se anch'io mi mettessi a enumerare tutto ciò che lui enumera non farei che fargli eco. .Eppure sono così affatturato da tutto ciò che Umberto Eco sa far comparire già in questo primo capitolo del libro ( mise en abfme dell'intero libro) che devo, pro memoria, tentarne l'indice. Leggendo -Umberto Eco si è subito presi, infatti, dall'istinto del magazziniere. Si vorrebbe accumulare, conservare e mettere sotto chiave tutto. Come lui. "Fu allora che vidi il Pendolo". Mi ero sbagliato a sottovalutare questo inizio. In verità non si può leggere una frase simile senza sfregarsi le mani, in veste di lettori. Ah, come mi sento interamente "lector in fabula". Quel "fu"! Quell' "allora"! Quel "vidi"! Quel "Pendolo"! Tutto è così... così remoto, così naturale, così visivo, così scientifico, così fallico! Fu. Allora. Che. Vidi. Il. Pendolo. Il mistero e la forza evocativa del passato remoto ("fu"). La perentoria determinazione dell'avverbio di tempo ("allora"). La vivida presenza della rivelazione diretta in prima persona ("vidi"). E infine la Cosa che dà nome al libro, quell'ineffabile oggetto sferico in oscillazione, lucente e implacabile come una Legge assoluta installata nel cuore di ciò che è transitorio e relativo: il mondo terrestre. Mondo terrestre percepito nella sua collocazione celeste. Seguono, poi, enciclopedicamente parlando, moltissime cose: la radice quadrata, il pi greco, l'unità, la dualità, la perfezione del tre, la natura tetragona del quattro, la perfezione del cerchio! Un po' di geografia delle migrazioni preistoriche. Il Centro del Mondo. Il Tempio di Salomone. Il Polo. Il Punto Fermo dell'eternità al di sopra di tutte le galassie. Il sistema solare, le nebulose, i buchi neri. Il Piano, il Complotto Universale. Il Gioco, la Verità. La Verità scoperta per Gioco. La chiave di volta. Il mistero dell'ogiva, le colonne che spingono verso l'alto i costoloni e i costoloni che spingono a terra le colonne. Gli insetti e i rettili giurassici. Le macchine con i loro motori, gli aerei con le loro ali ed eliche. La Ragione e la Tradizione, la Scienza e la Sapienza. La Rivelazione e l'Informazione. Francesco Bacone e la Citroen. La statua della Libertà e il "Lusitania". Cielo e Terra. Mùtori e chiese gotiche. Il motore a gas di Lenoir e la macchina di Watt. Empedocle sull'Etna, James Frazer a Nemi, Sam Spade e Il falcone maltese. Il Medioevo arabo e il . Secolo dei Lumi. L'eone, il demiurgo e l'arconte. Rue Vaucanson e rue Montgolfier. Respirazione profonda e concentrazione. Simsum e Tiqq,un, solitudine e ritorno. IL CONTESTO Infine il protagonista e narratore. È un curioso e un intraprendente. Cerca qualcosa, qualcosa di nascosto da svelare. Come Indiana Jones, archeologo, avventuriero e indagatore; il protagonista-Eco pratica l'autocontrollo e l'erudizione, è un uomo razionale che conosce il mondo delle Scienze occulte. È, in breve, l'uomo occidentale europeo e americanizzato sul modello Sam Spade, che risolve enigmi e rebus. Che osserva, indaga, interpreta, si nasconde, sfida le tenebre. Il luogo è ben scelto. È il Museo parigino delle Arti e Mestieri, museo rivoluzionario installato dentro un'abbazia gotica, di fronte a cui si ergevano una volta la torre e le fortificazioni dell'Ordine monastico-cavalleresco dei Templari. · · Anche qui c'è tutto. Che altro manca? Il Tempio, l' Abbazia, il Museo. La devozione cristiana, la guerra santa, la· scienza applicata, la rivoluzione illuminista. A Parigi. Nel centro culturale europeo più prestigioso e longevo (fi.noa oggi, o a ieri), Parigi città-museo della vecchia Europa. Parigi, la sola capitale europea che gli americani abbiano veramente, intensamente rispettato e amato. Parigi che è stata la sintesi, agli occhi degli americani, del meglio della cultura europea. ·Perché Umberto Eco, questo scrittore istintivamente programmato, quando scrive sa sempre che cosa sta facendo. Segue un programma ben preciso, un metodo rigoros_o.I suoi. Sotto e a pagina 3: Umberto Eco visto da Giovanni Giovannetti. 5
IL CONTESTO principi sono tre. Principio esoteric.o. Principio economico. Principio estetico. · 1. Il principio esoterico (o teologico; o cosmologico, o simbolico, o mistico) dice che: il Tutto è nella Parte, Dio è nel Mondo, il Senso Totale è nel Particolare Insignificante, . il Leone si riconosce dall'Unghia, la Verità è nel Dettaglio, la Malattia è nel Sintomo, la Vita è nella Cellula, il Cosmo è nell'Atomo, la Necessità è nel Caso, il Libro è nella Scheda, e quindi non importa da dove si parte, non importa dove si arriva tutto va bene per cominciare, non si butta niente, ogni occasione è buona, tutte le strade portano a Roma. 2. Il principio economico deriva direttamente, senza spre0 chi e per ragioni di economia, dal principio teologico. Senza divagare suona così: massimo guadagno ton minima spesa. Se si tratta di scrivere un libro, dent-ro quel Hbro devono esserci, nel modo più profittevole, tutti i libri. · 3. Il principio estetico deriva sia da quello teologico che da quello economico. L'opera d'arte deve essere fatta in modo tale che in essa si possa andare dal centro al cerchio e dal cerchio al centro. In essa il Tutto sta nelle Parti, daWUnghia si riconosce il Leone, non si spreca niente, l'Enumerazione (principio avanguardistico e caotico) si compone in una Struttura (principio classico e ordinatore). Anche se l'enumerazione è a suo modo una struttura, la struttura dell'enumerazione, e la struttura è a sua volta un ordine, dato all'enumerazione. Classico e avanguardistico si specchiano, e così An: tico e Moderno, Ordine e Caos, Laico e Religioso, Tommaso D'Aquino e James Joyce. Ma non si legge mai Eco senza imparare qualcosa. Indenni non se ne esce mai. Così, dai tre principi che guidano Umberto Eco, io imparo subito un quarto principio: il Principio critico, ché mi permette di leggere giustamente, nel modo più adatto e congruo, il suo romanzo. Ricavando tutto dall'analisi della prima frase del primo capitolo, detta anche "incipit", io mi rendo conto di ·essereperfetto e del tutto in · regola coi Tre Principi appena enunciati. Nella prima frase c'è tutto: e questo,' dal punto di vista teologico, economico ed estetico, è ineccepibile. Il Senso Totale dell'opera è nella sua prima frase. Analizzando questa frase risparmio tempo pur mettendo in campo tutto ciò che so. Tratto la frase, che è una micro-struttura, come un'unità in cui si legge la macrostruttura. Questo romanzo è certamente un'enciclopedia. E questa enciclopedia è raccontata come un romanzo. Unire l'Utile al Dilettevole, "miscere utile dulci". Non tornarsene a mani vuote. Da Eco ho imparato tutto quello che c'era da· imparare. Il mondo è tondo, e per quanto ci si allontani dal posto in cui si è, sempre, e sempre al punto di partenza, poi, si torna. Provincia di Milano Convegno I GIOVANIELAPACE I valori, le aspettative,le ansie delle giovani generazionisu un tema centraleper il futurodel mondo. Interventi di: Ernesto Balducci, Marcello Cesa-Bianchi, Enrico Chiavacci, Eric Chivian, Manlio Dinucci, Ugo Facchini, Roberto Fieschi, Ludovico Geymonat, Roberto Guiducçi, Gina Lagorio, Alberto Malliani, Luigi Pagliarani, Antonio Porta, Assunto Quadrio, Mario Scotti, Mario Spinella Milano, 11-12 novembre 1988 Palatrussardi (M.M. Lampugnano) Sala Congressi, Via Corridoni, 16 Segreteria organizzativa: Provincia di Milano - TeL 7491281 int. 177
INMARGINE Non porgere l'altra guancia Grazia Cherchi Succede di tanto in tanto (spesso?) che qualcuno che nei giovani anni militò nella "nuova sinistra", decida di chiudere definitivamente con questa fase della sua vita e magari ci scriva su anche un libro, essendo di professione giornalista. Fatti suoi, sostanzialmente. Ma i compagni cui è stato detto "addio" (e verba manent) dovrebbero prenderne atto e a loro · volta congedarsi da lui. Se ad esempio questo ex compagno si rifà vivo per motivi professionali, chiedendo, che so, un'intervista a un tuttorà compagno su un caso delicatissimo che riguarda il passato politico che li coinvolse entrambi, che cosa si fa? Non avrei dubbi:.gli si nega l'intervista .. Bisogna tralaltro reimparare l'arte di dire di no: "Lo'. de a chi chiude la porta ali'amico che si è lasciato andare!" ha scritto Bertolt Brecht. li lamento del cianciologo_ L'essenziale, si sa, è esserci, mostrarsi, esibirsi, dir la propria su tutto. Non impor-• tano più un accidenti il posto, il pulpito, le idee: sono tutte cose intercambiabili. Fondamentale è girare di qua e di là, portando avanti e _indietro, in su e giù, come vivandiere, i propri cibi precotti, alias gli interventi già confezionati, con incluse le varianti a seconda del tema del convegno. La cosa più insopportabile di questi cianciologi è quando si effondono in lamenti via stampa sul loro esser richiesti dappertutto. Ah, l'assillo del telefono! Ah, i quintali di inviti che ottundono la cassetta delle lettere! Ah, l'auto per l'aeroporto sempre pronta sotto casa! E giù a compatirsi: non abbiamo il dono dell'ubiquità! Eppure è proprio lo stesso nome e cognome che strilla dalle locandine di Benevento, che è pazientemente atteso da una Mercedes alla Malpensa o da una Mercedes alla stazione di Brescia per la tavola rotonda di Gargnano. Chi ci sarà a Benevento? Una controfigura? E alla Malpensa? Un facsimile? E a Brescia? Un gemello, un mutante, un sosia? Un aneddoto personale di antipresenzialista, peraltro senza fatica alcuna, data la scarsità-assenza di richieste. L'anno scorso ero stata invitata, dalla locale "Festa dell'Unità", a un dibattito sul libro di Elsa Morante Pro o contro la bomba atomica, insieme a Berardinelli e a Fofi. Dato che i due amici nella sostanza avrebbero detto le mie stesse cose, e per di più meglio, e di tutto quindi si sarebbe trattato fuorché di un dibattito, avevo gettato la spugna, prègando Berardinelii, se richiesto, di scusarmi. "Non è stata notata la.tua assenza", mi rassicurò il giorno dopo Berardinelli, "ma neanche la nostra presenza". Nello stand accanto a loro c'era infatti un complesso rock: non era possibile una competizione leale da parte di voci umane con quegli ululanti selvaggi. Passa una settimana e ricevo una lettera dagli organizzatori della "Festa" che mi ringraziano calorosamente per il mio intervento. L'importante è non partecipare. Siparietto contro le auto (da Ennio Flaiano) "Automobile. Due o più poltrone sistemate su un telaio d'acciaio ·e mosse da un motore a scoppio. Da mezzo di locomozione a simbolo di prestigio, tutta una carriera che ha trasformato la società del rispàrmio e dei buoni del tesoro nella società dei consumi. Ormai, come il vino nuovo negli otri vecchi, ha sconvolto le nostre città, contribuisce coi suoi gas di scarico a inquinare l'atmosfera e coi suoi rumori ad avviarci verso la demenza. Procura al suo utente le massime soddisfazioni; se usata a lungo nelle città sovraccariche di traffico predispone all'infarto del miocardio, se usata di domenica fuori- città favorisce la morte violenta del guidatore, o nel migliore dei casi di chi gli siede accanto". "Autostop. Autostop di bella ragazza dtira poco. Temibili gli autostoppisti agricoli; che portano sacchi di sementi o falci appena arrotate. Attenzione ai campeggiatori, a meno che la vostra macchina non sia ventilata. Non prendere a bordo rapinatori vestiti da monache: sono i peggiori". "Precedenza. Ricordarsi che la più grande tragedia di tutti i tempi, la tragedia esem- _plare, quella che secondo Freud ci riguarda personalmente, comincia con un ingorgo, ad un incrocio; a quell'incrocio dove Edipo, per una questione non risolta di precedenza, uccise il padre, il re Laio" (Ennio Flaiano, L'uovo di Marx, Scheiwiller). Gens insana Chissà se dopo la pausa estiva riprenderanno a imperversare, alla Tv e sulle gazzette, le polemiche prefabbricate che ci accompagnano all'incirca da un anno, quelle - ricorderete - a base di stroncature, torte in faccia, insulti, lazzi e sberleffi. La gente mi sembrava cominciasse a dar segni di stanchezza, avendo più o meno capito che era tutto "fatto in casa", nel senso che allo sgambetto compiuto in diretta sarebbe seguita una_stretta di mano, a un colpo basso un brindisi con calici di champagne (e ci fu un giorno un eloquente infortunio: una telecamera birichina inquadrò non prevista due di questi presunti schermitori che, dopo esILCONTESTO sersi infilzati, si stavano congratulando l'un l'altro con grandi pacche). Non so se riprenderanno, ma temo di sì. Ho di recente letto un pezzullo dell'incontenibile Giuliano Ferrara dal titolo Gens sana. Ferrara mette in guardia la gente che ha la tendenza a starsene da sola, che non vuole socializzare più che tanto, e magari preferisce rimanersene a casa piuttosto che imbrancarsi in una compagnia "malvagia e scempia". E lo fa con la solita autorevolezza, citando gli Usa (inchiniamoci) e un loro _rapporto (il "rapporto Ho use": boh !) ad opera di ricercatori dell'università del Michigan. Dopo aver studiato per una dozzina d'anni un campione di 37 .000 persone, i ricercatori hanno cosi concluso (cito da Ferrara): "L'isolamento sociale è tanto pernicioso per la salute quanto il fumo, la pressione alta, un tasso spropositato di colesterolo, l'obesità e la vita totalmente sedentaria". Non solo, rpa "coloro i quali hanno relazioni sociali deboli o inesistenti si assumono un rischio di malattia e di morte doppio rispetto a quello di quanti coltivano con intensità tali rapporti". Ferrara, che pensa sempre al nostro bene, ci invita quindi a darci ad abbuffate di frequentazioni, di cui ci offre un'immagine allettante: "Stabiliamo le convenzioni necessarie, sociali e mondane per avere ciascuno, cannibalescamente, un pezzo dell'altro. Magari per sbranarlo, per farne uno scalpo, un trofeo delle giornate più intimamente cattive e.aggressive della nostra personal!tà". Il commercio umano ci è indispensabile, ora, grazie al rapporto americano, anche per motivi di salute. Vorrei ricordare a Ferrara che siamo tutti condannati a morte, chi prima e chi poi. E che forse una delle poche cose che personalmente posso ancora permettermi, nel pezzo o pezzullo di vita che mi resta, è di non andare a cena ton certi "amici" che lui così ben descrive ("Tutti o quasi tutti vanno a cena con amici sempre più odiandosi un poco, e odiandoli. Un gioco che si ripete, ammiccamenti simili gli uni agli altri, discorsi oltraggiosamente noiosi ... "), e se sto sola in casa (e una malattia funesta inevitabilmente seguirà) di evitare la compagnia di Minoli o Bagnasco o Arbore o Ferrara, ecc: ecc... Per poco, trovo sempre qualcosa di meglio da fare piuttosto che guardare la Tv. E pazienza se Ferrara vivrà il doppio di me. 7
IL CONTESTO Uno da cui.imparare Piergiorgio Bellocchio Oltre i clamori del/'84, Orwe/1 continua a rivelarsi un maestro più che mai attuale.' Non c'è dubbio che l'uso politico che si fece di 1984, quando uscì nel 1949, aveva ben poco a che vedere con le intenzioni dell'autore. Orwell, che per tutta la vita aveva appassionatamente combattuto l'isteria e l'odio indotti dalla propaganda politica, non poté impedire (non riuscì a pre~ vedere) che il suo ultimo romanzo funzionasse, per dirla con Isaac Deutscher, "come una sorta di superarma ideologica nella guerra fredda". Il grido di disperazione di Orwell "amplificato da tutti i mass-media del nostro tempo, ha terrorizzato milioni di persone". L'articolo di Deutscher, che è del 1954 (in italiano, nella raccolta Eretici e rinnegati, Longanesi 1970), si conclude riportando le parole con cui a New York "un vile spacciatore di notizie" gli raccomandava 1984: "Ha letto questo libro? Deve leggerlo, signore. Allora capirà perché dobbiamo gettare la bomba atomica sui bolscevichi!" Per Deutscher sono stati i gravi limiti artistici di 1984 (il prodotto di "un'immaginazione feroce e a volte penetrante, ma priva di ampiezza, di duttilità, di originalità") a favorirne la strumentalizzazione politica, laddove questa risulterebbe impossibile per opere di qualità superiore. Giudizio discutibile, ma soprattutto dubbia l'argomentazione: basti pensare. al caso del Dottor Zivago, il cui riconosciuto valore letterario non ha certo impedito la sua trasformazione in merce propagandistica e poi, attraverso la versione cinematografica, in polpettone sentimentale. Deutscher insiste sul fatto che l'imaginazione di Orwell era deformata dalla paura. Il trauma prodotto dai metodi staliniani, che egli vide in azione duran- · te l'esperienza spagnola, rion fu da lui superato razionalmente, ina anzi si aggravò fino a trasformarsi in incubo, in ossessione. "Ossessione onorevole" precisa Deutscher, ma tale da alterare gravemente le sue capacità di analisi e di giudizio. Nella sua lotta contro il male, il male l'avrebbe infettato. A riprova della "mania di persecuzione" e della "mancanza di senso storico" di Orwell, Deutscher, che l'aveva conosciuto nel 1945, ricorda di esser rimasto "sbalordito" dal fatto che Orwell "era fermamente convinto che Stalin, Churchill e Roosevelt complottassero consapevolmente per dividersi il mondo, e dividerlo per sempre, fra loro tre, e sottometterlo in comune". Avendogli Deutscher fatto osservare che l'accordo fra i Tre Grandi era più apparente che reale e che presto il conflitto sarebbe venuto a galla, Orwell reagì con grande "stupore" e "incredulità". A lasciarci sbalorditi è lo sbalordimento di Deutscher. Che uno storico del suo calibro vedesse meglio di Orwell le tensioni e le contraddizioni che si celavano (e neanche tanto) dietro l'accordo di Yalta, è addirittura ovvio. Ma non si dimostra dotato di un ben più acuto e sostanzioso senso storico il "mistico della crudeltà", il "paranoico" Orwell che in quell'accordo vedeva prima di tutto la brutale spartizione del morido? Chi dei due era più lucido e lungimirante? Quella spartizione (con l'unica variante che è a due anziché a tre, essendo quasi subito uscito di scena l'Impero britannico) dura da ben quarant'anni e gli innumerevoli conflitti che ne sono conseguiti hanno avuto l'unico effetto di estenderla e consolidarla. 8 L'ossessione di Orwell, nonché "onorevole", era assolutamente realistica. Non solo il suo allarme era giustificato nel 1945, ma i decenni successivi si sono incaricati di renderlo sempre più tragicamente concreto. Le armi nucleari ancora non sono state usate, ma hanno raggiunto ugualmente e perfettamente lo scopo di paral_izzareogni movimento che disturbasse gli interessi dei due imperi: in pratica, annichilire ogni aspirazione al cambiamento, ogni volontà di emancipazione e 'autonomia, svuotando di significato questi concetti e di fatto abolendone fin la memoria. Tutti parlano dell'effetto di dissuasione reciproca tra i due imperi, si trascura invece l'effetto di dissuasione operante "all'interno" di ciascun impero. L'orrore denunciato da Orwell della "correzione della storia", che ricalca esasperandola la prassi sovietica di sopprimere non solo le persone fisiche dei "nemici" interni, ma il loro stesso passato, cancellando la traccia del loro passaggio sulla terra, intuisce la dimensione più catastroficamente rivoluzionaria della nostra epoca. Mai, nella storia del mondo, la vita, la libertà, la volontà degli uomini hanno avuto meno valore. Su un piano decisivo Orwell si è sbagliato: che occorresse un apparato di polizia mostruosamente esteso e perfezionato per mantenere il popolo nell'obbedienza. Non ha compreso né sospettato l'enorme capacità del sistema di ottenere consenso, non tanto con l'oppressione e la propaganda politica quanto con la produzione di beni di consumo. Il suo 1984è contrassegnato dalla penuria e dallo squallore materiale: invece le merci abbondano e noi viviamo molto più "liberi" e meglio nutriti, vestiti, divertiti dei cittadini di Ocea-
Sopra: Orwell in una fata di Felix H. Man (1949, Natianal Portrait Gallery, Londra) e, a sinistra, in un disegno di David Levine (da Identikit, Einaudi 1969). nia (quanto a Eurasia e Estasia, gli altri due superstati immaginati da Orwell, la cosa è meno sicura). La voce del dominio non è lo slogan politico ma la pubblicità commerciale. Nel suo 1984 la sessualità, ingenuamente investita di potenzialità eversive, è tenuta sotto spietato controllo e repressa allo scopo di deviare l'energia sessuale e trasformarla in fanatismo politico. L'innocuità, per il potere, del sesso liberalizzato e mercificato, è•sotto gli occhi di tutti. Anzi, il sistema ha trasformato anche il sesso, come il tempo libero, in fonte di guadagno e strumento di consenso. · Ho citato Deutscher con una certa larghezza perché, nonostante il giudizio pesantemente riduttivo su 1984, rappresenta ancora una posizione equilibrata, ugualmente lontana dalle interessate apologie della destra come dai vituperi della sinistra. Un altro marxista che si sforzò di comprendere Orwell senza cadere in schematismi grossolani, è Raymond Williams. Più congruo, rispetto a Deutscher, il suo giudizio sull'opera (a differenza di Deutscher, Williams si muove nel campo suo proprio, la critica letteraria). Analogo.l'atteggiamento verso la persona di Orwell, improntato in entrambi a rispetto e simpatia. "Come uomo, egli fu coraggioso, generoso, sincero e buono" scrive Williams. Questo genere di omaggio, che suona oggi sospetto, riIL CONTESTO spondeva in parte a una precisa necessità. In quegli anni, chiunque rivolgesse critiche all'Urss incorreva automaticamente, da parte della sinistra ufficiale, nella taccia di "iena", "lacchè", "provocatore", "spia", "venduto" ... Ma se è da apprezzare l'intento di un Williams e un Deutscher di reagire a un tipo di offensiva che mirava a screditare la persona, la loro insistenza sull'onestà di Orwell- ha anche il senso di una scappatoia per risparmiarsi l'imbarazzo di un esame più attento e veramente spregiudicato. È interessante vedere come anche Williams, nell'avanzare un certo genere di critica, riveli la stessa caratteristica miopia già notata in Deutscher. Nel capitolo a lui dedicato in Culture and Society 1780-1950 (traduzione italiana, Einaudi, 1968, col titolo Cultura e rivoluzione industriale), Williams mette insieme un piccolo florilegio di sintetiche opinioni di Orwell che, pur contenendo "un elemento di verità" sarebbero piuttosto "generalizzazioni capziose" tipiche di un metodo (derivato da Shaw e ChestertorÌ) che "consiste nell'affermare, e poi nel discutere all'interno dell'affermazione''. Degli esempi allineati da Williams, riprendiamone due. "In ognuna delle varianti del socialismo che ebbero successo a partire, all'incirca, dal 1900, lo scopo dichiarato di stabilire l'eguaglianza e la libertà fu sempre più apertamente messo da parte''. · , "Tutti i partiti di sinistra aei paesi altamente industrializzati sono in fondo un'impostura, perché considerano loro compito combattere contro qualcosa che essi non desiderano veramente distruggere". Williams avrà avuto di certo i suoi buoni motivi per diffidare del metodo orwelliano e non dubito che ce ne possano essere di migliori. Ma infine, si vorrebbe sapere in che misura Williams rifiuta il contenuto di quelle due frasi che considera paradossi, provocazioni polemiche, boutades (e che non a caso presenta mescolate con altre opinioni di Orwell che rientrano effettivamente nella categoria dei paradossi e delle idiosincrasie), e in che consiste quell"'elemento di verità" che, bontà sua, gli riconosce. Un-dieci per cento? Un venti per cento? Per quanto sforzi di lettura si facciano, riesce impossibile trovare in_·quelledue frasi alcunché di forzato, artificioso, stravagante. Esse appaiono piuttosto delle constatazioni vere nella sostanza e alla lettera, allo stesso modo che era esatto quel giudizio su Yalta che Deutscher citava come un sintomo paranoico. Al cento per cento. Che cosa potremmo opporre alla frase di Orwell (per l'esattezza, si tratta di una previsione contenuta in 1984) sul socialismo "reale"? Forse le versioni coreana, cubana, siriana, vietnamita, cambogiana, etiopica, afgana eccetera che egli non fece in tempo a conoscere? L'affermazione che le sinistre occidentali non vogliano veramente il socialismo trova oggi tutti d'accordo (o c'è ancora qualcuno che pensa che Mitterand ... ? o Soa- · res? o Gonzales? o Palme? o Craxi? o magari Berlinguer. .. ?) e Orwell parlava con piena cognizione di causa, anche se migliaia di intellettuali non erano disposti a sentirselo dire, neanche gli ottimi Williams e Deutscher. E si badi che questo tipo di giudizio non veniva da un reazionario o da un conservatore, ma da un socialista, da uno che considerava la classe proprietaria "utile suppergiù come il verme solitario", da uno che, pur senza tessere, continuò a credere fino in fondo alla necessità di una svolta in senso socialista e non perse mai la fiducia nella possibilità di realizzarla. · Ma il vero par 4dosso nel destino dì Orwell è rappresentato dalla "buona fede" di cui viene continuamente gratificato, non solo da un Deutscher o da un Williams, ma da quasi 9
IL CONTESTO tutti coloro che se ne occupano. Intendo l'uso che si fa di concetti quali onestà personale, integrità artistica, sincerità, come se fossero delle circostanze attenuanti. Venute meno in gran parte le censure d'ordine politico, è il momento delle riserve d'ordine estetico. Leggendo la critica, ci si imbatte con fastidiosa frequenza in dilemmi di questo calibro: era un vero romanziere o non piuttosto un giornalista? o magari soprattutto un saggista? E iri mancanza d'altro, ecco chi sente il bisogno di istituire paragoni con Joyce o Lawrence, con !a Woolf o con Forster. Per concludere che Orwell era di rango inferiore. Però era onesto. E coraggioso. . Non c'è dubbio che un'opera come quella di Orwell, così febbrilmente intrecciata con le esperienze della sua vita, con gli avvenimenti politici e il dibattito ideologico di quegli anni drammatici, presenti una varietà di temi e di registri piuttosto insolita e anche notevoli salti nella resa:qualitativa. Un gran brutto dente per le tena_gliedel critico. Personalmente, ho un debole per Senza un soldo (Down and Out) a Parigi e Londra (che preferisco a Giorni in Birmania, alla Figlia del reverendo, a Fiori,:àl'aspidistra e anche a Una boccata d'aria), considero La fattoria degli animali superiore a 1984, e le sue migliori riuscite in assoluto Omaggio alla Catalogna, La strada di Wigan.Pier, il racconto Giorni felici e molti saggi e articoli. Ma non ho mai provato la minima curiosità di stabilire esattamente il genere letterario a cui app<1.rtengono. La strada di Wigan Pier e Omaggio alla Catalogna -sono dei re- . portages; però sono anche saggi autobiografici; nonché studi sociologici, riflessioni politiche; d'altra parte, procurano un tipo d'emozione proprio della narrativa. E allora? Perché poi dovrei confrontare Orwell a Lawrence e a Joyce? Che senso ha? Mi aiuterebbe forse a capire, che so, Brancati, stabilire un paragone con Svevo? o con Pavese? Comunque, se. dovessi partecipare al vecchio giochetto "quali dieci (o venti ... ) libri del Novecento salveresti dal Diluvio?" non mi priverei di un Orwell (Omaggio alla Catalogna, probabilmente) e gli sacrificherei senza batter ciglio qualche decina di Maestri, di quelli che, come si dice, hanno rivoluzionato le forme del romanzo. Se onestà, coerenza, senso dell'onore, lealtà, coraggio vengono correntemente trattati alla stregua di attenuanti, per cui l'imputato va assolto o beneficia di una sostanziosa riduzione della pena, è perché (parafrasando Noventa, che parafrasava Burckhardt: "Gn.mdezza è ciò che voi non siete") ·onestà, coraggio eccetera rappresentano "ciò che noi non siamo". A differenza della quasi totalità degli intellettuali della sua epoca (e tanto più della nostra), per Orwell l'intelligenza è indivisibile dall'onestà, lo stile dalla lealtà. L'originalità e la forza della sua testimonianza derivano da questa straordinaria e ininterrotta' tensione morale. E la sua indispensabilità per capire il nostro tempo e i nostri problemi. Non tanto nel senso in cui sono indispensabili altre opere, magari più "grandi" della sua. Nessuno sente la mancanza di un secondo Proust; un Thomas Mann e un Eliot ci bastano; e anche un Gadda. Orwell è ùn compagno, un fratello. Non ho detto un Giusto, un Santo ("i santi dovrebbero essere considerati tutti colpevoli, fino a prova contraria", cito a memoria dal saggio di Orwell su Gandhi). Sono assolutamente convinto che un maggior numero di scrittori, di uomini del suo stampo avrebbe potuto cambiare molte cose, incidere realmente sul nostro destino. E oggi, come e più di allora, a mancarci sono soprattutto scrittori e ùomini come Orwell. Per liquidare Orwell, la critica marxista ha fatto largo ricorse;>ai soliti luoghi comuni dello sradicamento, dell'assenza di legami con la comunità, con le masse, dell'individualismo IO piccolo-borghese eccetera. Neppure Williams, benché a tutt'altro livello, si salva completamente da quest'ottica, quando colloca Orwell nella schiera degli esuli volontari che in · Inghilterra vantano un'illustre tradizione, da Byron fino a D.H. Lawrence. Gli sfugge il dato fondamentale che nel nostro tempo l'esilio, l'abbandono, la solitudine rappresentano la condizione normale della stragrande maggioranza degli uomini, delle masse, appunto. Hai ùn bel volerti legare alla comunità, quando la comunità non esiste più. Le fedi, le tessere, le militanze coprono solo in mimima parte e sommariamente il bisogno di sicurezza e di fraternità degli uomini, quando pure non Io deviano e sfigurano (Orwell fu tra i pochissimi intellettuali di sinistra a vedere subito nel fascismo un fenomeno non riducibile alle categorie d'interpretazione marxiste e a interrogarsi seriamente sulle ragioni del consenso che riscuoteva anche nel proletariato). È precisamente in questo senso che Orwell è un esiliato, e sceglie di esserlo. Del resto, Orwell non rifiuta affatto a priori legami e responsabilità. La sua partecipazione alla guerra di Spagna, ne è la migliore, ma non certo la sola, dimostrazione. Rifiuta la menzogna, il successo. Rifiuta la sua classe d'origine. "In quel periodo, il fallimento mi sembrava essere la sola virtù. Ogni sospetto di carriera, di successo... mi pareva turpe, una specie di prepotenza". Le parole di Orwell (dalla Strada di Wigan Pier) si riferiscono alla sua decisione di dimettersi dalla polizia e .vivere senza garanzie, come un disoccupato, un emarginato (Down and out). Ma il fallimento Orwell !;aveva già scelto cinque anni prima quando, uscito da Eton, aveva rinunciato a Oxford o Cambridge, cioè a far parte della classe dirigente, e aveva preso la "strana", "masochistica" decisione di arruolarsi nella Indian Imperia! Police. Essere parte del sistema di oppressione e sfruttamento, ma come basso gregario. Sporcarsi le mani, vivere di persona gli atti minuti, quotidiani, nei quali l'imperialismo si esercita, e vederne le conseguenze nel corpo e sui volt,idei colonizzati. Esperienza atroce, che indurrà in Orwell un fortissimo senso di colpa e il bisogno di espiare, e Io convincerà definitivamente a sposare la causa degli sfruttati, dei coolies indiani come dei minatori inglesi. Ma, seppure non pienamente consapevole (non aveva ancora vent'anni), già la scelta di fare il poliziotto rappresentava un castigo autoin.flitto, l'espiazione di St. Cyprian e di Eton. Aveva cominciato presto a porsi il problema (a viverlo) della responsabilità personale nei confronti della realtà sociale. Del grande impegno politico degli intellettuali negli anni Trenta e Quaranta non è rimasto quasi nulla. Le parole dei congressi antifascisti: polverose sciocchezze; il facile comunismo di tanti, le illusioni liberal-democratiche di altri, gli slogan, i gesti ... ; stalinisti, trotskisti, surrealisti, umanitari, freudo-marxisti, ingenui, opportunisti, doppiogiochisti, compagni di strada ... Per trovare intelligenza e passione all'altezza dei tempi, coscienza dell'entità della posta in gioco, dobbiamo rivolgerci ad alcune figure di isolati, di outsider, di inclassificabili. Penso a Simone Weil, Bernanos, Céline, Orwell e po'chissimi altri. Un pensiero dove si scontrano e si integrano marxismo, platonismo e cristianesimo; un cattolico senza chiesa; un anarchico pessimista che finisce fascista; un puritano senza fede nonché socialista senza tessere ... Troppo lungo e complicato parlare dei singolari incroci e coincidenze di percorsi così diversi. Si fa prima ad accennare a certi tratti comuni del carattere: feroce spirito antiborghese; "estremismo" intellettuale ed esistenziale; rifiuto a chiudersi, a esaurirsi nel ruolo di scrittore; estraneità e disprezzo verso la corporazione intellettuale e per tutte le
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