DISCUSSIONE/CARAMELLA Jessica Anderson (Arch. Feltrinelli) anglosassoni che ha osservato la materia che tratta con un'acutezza che solo un occhio "non provinciale", nel senso dato all'espressione da Robertson Davies, può riuscire a raggiungere (Mavis Gallant, originaria del Quebec ma di lingua inglese, nata a Montreal nel 1922, vive a Parigi dal 1950, è perfettamente bilingue, ma scrive soltanto in inglese). Eppure Gallant, autrice di volumi di teatro, saggistica e narrativa, collaboratrice regolare del "New Yorker", è stata tradotta in Francia soltanto quest'anno. Come spiegare la scarsa attenzione prestata, per molti anni, fino a questo momento, a scrittrici di tanto valore? Viene da pensare che oltre alle ragioni già elencate, abbia contribuito a suscitare diffidenza e impazienza di lettori ed editori nei confronti di autori non ovviamente commerciali che esprimono il punto di vista di minoranze, l'orgia di letterature etniche che si è avuta negli anni '70. Gli anni delle rivendicazioni particolaristiche, in cui venivano istituiti uno dopo l'altro, nelle università, soprattutto americane (con uno zelo, da parte delle autorità scolastiche, che avrebbe dovuto allarmare i sostenitori di queste iniziative), corsi di letterature e culture delle minoranze più svariate, spesso quasi inesistenti, almeno sul piano della qualità della scrittura. Un fiorire di iniziative che aveva senza dubbio lodevoli motivazioni e intenti politici, ma che troppo spesso presentava scarsa attenzione alla qualità della produzione letteraria delle suddette minoranze, rischiando di infastidire chi con la letteratura aveva un rapporto più "severo". La stessa cosa, in un certo senso, successa con la letteratura femminile, che veniva spesso apprezzata, anche dalla critica, e gratificata di premi prestigiosi, per motivi che avevano a che fare più con la cattiva coscienza degli esponenti della cultura dominante, maschile (quando non addirittura con l'intento di dimostrare disponibilità politiche peraltro non manifestate in modo più concreto), che non con la qualità dell'opera e le capacità dell'autrice in questione. È il caso, a mio avviso, della premiazione con il premio Pulitzer di un romanzo sentimentale, didascalico e "finto" come li colore viola, di Alice Walker, che aveva dato peraltro prova di capacità assai maggiori in opere meno ovvie di quella premiata. Questo per sottolineare come sia l'ottica razzista, di minimizzazione, che quella acritica, di sostegno a tutti i costi, di qualunque prodotto letterario 76 di minoranze etniche, coloniali o terzomondiste, rendano un cattivo servizio, oltre che al lettore, agli scrittori, nonché alla cultura, delle suddette minoranze. Ecco quindi gli editori, in questa nuova fase di rivalutazione degli autori di origine coloniale, affannarsi a sottolineare, dalle quarte di copertina, la "sofisticazione", la visione "ampia", i curriculum cosmopoliti, degli autori medesimi, quasi dessero per scontato il pregiudizio nei loro confronti.· Da ultimo sta succedendo, nel mercato editoriale, con libri di autori caoadesi, caraibici, o australiani, quello che fino a poco tempo fa succedeva solo con la narrativa bestseller statunitense. Due esempi recentissimi riguardano altrettanti scrittori, uno canadese, l'altro australiano. A Casual Brutality, il primo romanzo di Nei! Bissoondath, un autore di Toronto di origine indiana, trapiantato ai Caraibi come V.S. Naipaul, è stato acquistato per 100.000 dollari statunitensi da Bloomsbury nel corso di un'asta durata tre giorni tra cinque case editrici inglesi. Il romanzo sarà pubblicato in settembre da Macmillan, in Canada, ma se ne dicono fin da ora meraviglie. Nel frattempo, Farrar, Strauss e Giroux, la prestigiosa casa editrice newyorchese, ha dato alla stampa, con grande clamore di pubblicità e di critica, l'ultimo romanzo di Rodney Hall, uno scrittore australiano già affermato. Captive Captivity è la ricostruzione fantasiosa di un delitto mai risolto, realmente avvenuto alla fine dell'Ottocento nel Queensland rurale, all'interno di una fàmiglia chiusa, patriarcale nel senso peggiore del termine, nella quale i rapporti sono regolati esclusivamente dalla violenza. L'autore si serve del fatto come pretesto per costruire una complessa e ambiziosissima metafora dell'Australia intesa come paradiso (molto terrestre, a mio avviso), e il substrato angoscioso del racconto ricorda un po' l'atmosfera di Picnic a Hanging Rock (romanzo, oltre che film). Rodney Hall è indubbiamente un abile scrittore, ma ancora una volta le ragioni del successo che il libro sta avendo sul mercato americano sono forse da ricercare nella sua componente esotica, nella suggestione esercitata sul lettore dall'immagine dell'Australia come luogo primitivo, come continente sopravvissuto alla preistoria dove aleggiano forze primordiali, foriere di tragedia incontrollabile. Sulla falsariga, per intenderci, oltre che di Picnic a Hanging Rock, di una serie di opere cinematografiche di successo, quali L'ultima onda, o L'urlo. L'esotismo gioca una parte consistente nel decretare il successo all'estero dei romanzi di scrittori di origine coloniale, e il discorso vale ovviamente più per l'Australia, la Nuova Zelanda, o i Caraibi, che non per il Canada. Anche per questa ragione diveiitano bestseller libri come Uccelli di rovo, di Colleen McCullough, e non Ur,a famiglia di donne, di Olga Masters, o li giardino dei ricordi, di Jessica Anderson. Sia Masters che Anderson, pubblicate di recente da Feltrinelli, si esprimono con drammatica semplicità, e la loro Australia non è la terra delle nuove occasioni, colorata di romanticismo e avventura, ma un luogo ostile, difficile, sconosciuto, dove si consumano tragedie quotidiane che hanno a che fare con le contraddizioni implicite nel cercare di riprodurre in una terra nuova le condizioni di vita di quella che ci si è lasciati alle spalle, portandosi dietro, spesso, solo un bagaglio di convenzioni la cui assurdità diventa ancora più evidente in un ambiente alieno. Il panorama della letteratura australiana è ricco di voci nuove, di questo tipo, che non sono di statura eccelsa ma esprimono nondimeno la nuova coscienza di sé e del paese di autori che hanno già affondato le radici nella terra che li ospita e la sentono come loro: da Peter Carey, forse ·1 più famoso all'estero, a tutta una serie di donne, Beverly Farmer, Elizabeth Jolley, Thea Astley, Barbara Hanrahan. Non a•caso donne. Le voci che cercano di esprimere con più autenticità la realtà di un mondo, di una società nuovissimi, sono quelle di chi a questa realtà
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