Linea d'ombra - anno VI - n. 30 - settembre 1988

DISCUSSIONE/CARAMELLA ostilità e su cui vale la pena soffermarsi brevemente. Una casaper il Signor Biswas ha il piglio del romanzo settecentesco che narra la vita e le avventure del suo eroe. Ovviamente nel '900 non possiamo che avere un anti-eroe. Ma forse Biswas non' è neppu-· re questo: è un uomo qualunque - non.Chiunque, non l'Everyman delle morality plays - è un uomo senza importanza, le cui tribolazioni senza importanza vengono raccontate con la stessa pretesa di importanza, con la stessa attenzione e la stessa dovizia di particolari riservate alle avventure dell'eroe settecentesco. Nella scelta stessa del taglio narrativo è quindi evidente l'intenzione ironica di Naipaul, che trova poi costante conferma nello humour - a volte crudele, spesso beffardo·- riservato ai personaggi e agli episodi da cui emergono le caratteristiche della società indù. Questo tono ironico e questo intento satirico da alcuni sono stati interpretati come una scappatoia per evitare di affrontare la realtà del mondo coloniale, come un modo di girare intorno alla verità rifugiandosi nel riso dall'alto della propria superiorità culturale. Strana critica, poiché la satira e il riso sono uno dei modi più efficaci e diretti di affrontare la realtà. Attraverso l'ironia Naipaul ci fa vedere le meschinità e le brutture del mondo che rifiuta; e tutto ci fa pensare che abbia ragione a rifiutarlo. È invece più sottile il discorso sulla "superiorità culturale", perché può restare l'impressione che Naipaul, che si è fatto inglese d'adozione, critichi la realtà delle colonie dal punto di vista della ex-potenza colonizzatrice e non da un punto di vista interno alla società in cui è nato (e la cosa sarebbe inoltre confermata dalla sua estraneità al mondo creolo e dalla sua indifferenza per il grande rito del Carnevale, l'unico momento di unità culturale tra i vari gruppi etnici di Trinidad). In realtà Naipaul parla del suo mondo, di quello indiano, dell'unico che lui conosceva a Trinidad, e da cui decise di fuggire vedendolo come luogo di schiavitù: è un punto di vista pienamente "interno", che poi inevitabilmente, come avviene per tutti gli scrittori delle ex-colonie, sia inglesi che francesi, si esprime con la lingua e gli strumenti culturali mutuati dagli antichi dominatori. Nel suo caso c'è l'adesione totale, letteraria innanzitutto, ma anche ideologica, degli anni dell'adolescenza, il sogno dell'Inghilterra come luogo della libertà e della creazione artistica. È c'è poi il confronto con la realtà ..e la scoperta, faticosamente conquistata, della legittimità di scegliere il mondo coloniale come soggetto della comunicazione letteraria. Ma anche della sua estraneità ad esso dopo il rifiuto e l'abbandono. Tutto questo emerge in modo chiarissimo nella seconda parte de L'enigma de/l'arrivo, che rappresenta in pratica la sua autobiografia letteraria. Ma il suo interesse va al di là del dato personale. È la testimonianza di un intinerario di sradicamento e di scoperta intellettuale, di confronti e di rifiuti, di illusioni, di delusioni ma anche di conferme, che illumina mirabilmente la natura e le contraddizioni della scelta di una cultura "altra" - a prescindere dal fatto che la scelta sia davvero. libera e non indotta e che l'alterità sia necessariamente positiva. Questa è la parte più godibile del libro, ricca di pagine delicate - soprattutto quelle della scoperta del mondo immaginato: la libreria di New York, la stazione di Waterloo a Londra, il quartiere di Earl's Court - di pagine agili e veloci che fortemente contrastano con quelle del resto del libro. Anche le altre parti, in fondo, sono una specie di autobiografia letteraria. Ma in esse risalta soprattutto l'aspetto della ricostruzione del tempo perduto attraverso la descrizione minuziosa e meticolosa degli oggetti, delle cose e dei fugaci contatti con poche persone appartenenti a un periodo cruciale della sua vita, agli anni trascorsi in quell'inglesissimo angolo d'Inghilterra in cui si era rifugiato e aveva vissuto la sua "se- · 74 conda infanzia della vista e dell'udito, la sua seconda vita, così lontana dalla prima". Impressiona l'insistenza sui particolari, l'accuratezza nella descrizione di alberi, piante, arbusti, strade, sentieri, siepi e poi campi, orti, giardini, che forse può far pensare a un esibizionismo letterario, a una specie di sfida a Cane e padrone di Thomas Mann, ma che forse è un modo di appropriarsi di quella natura - e soprattutto della natura "ordinata" dalla mano dell'uomo - che appartiene non al mondo in cui è cresciuto ma al mondo che ha scelto. È il racconto di una specie di immersione totale: nel paesaggio, nel passato mitico ·(Stonehenge e Re Artù) e nel passato storico (l'età vittoriana e soprattutto edoardiana) dell'Inghilterra. Ma è anche il racconto dei mutamenti "antropologici" di cui è testimone (con la scoperta che non si tratta di cambiamento ma di decadenza) e.della trasformazione dentro di sé, mentre il tempo che passa è scandito dalla morte - di Jack, di Philips, di Alan, di Brenda, assassinata dal marito. Ed è infine il racconto di come tutto questo sia diventato il racconto che stiamo leggendo, di come l'esperienza si sia tradotta in letteratura (niente di nuovo, per carità! Ma altri lo hanno fatto in modo peggiore). L'enigma dell'arrivo è un libro densissimo, a trattijaticoso, soprattutto quando tradisce la metaletterarietà del suo intento; e può darsi che questo sia il segno del venir meno dell'energia inventiva e della vena affabulatoria che contraddistinguevano i precedenti romanzi di Naipaul. Ma è anche un libro che esprime una fiducia nella letteratura, nella sua capacità di essere strumento di formazione, di liberazione, di conoscenza di sé, che da tempo non ci era stato dato di sentire. UNALINGUAIN COMUNE Marisa Caramella La stampa italiana ha dato negli ultimi mesi un certo rilievo alla notizia dei festeggiamenti organizzati dal governo australiano per il bicentenario dello sbarco dei primi coloni inglesi nel continente, e per la prima volta si è parlato di letteratura australiana da pagine di quotidiani e periodici che non si rivolgono esclusivamente agli addetti ai lavori. Si è venuta così finalmente a conoscere la nazionalità di alcuni scrittori di lingua inglese piuttosto famosi, e già tradotti da noi, come Christina Stead o Patrick White. Contemporaneamente, in Canada, si è tenuto un congresso organizzato dall'Istituto Italiano di Cultura nell'ambito dell'Agreement on Cultura! Ccioperation firmato nel 1985 tra Italia e Canada. Di questo la stampa italiana non ha dato o quasi notizia, e comunque non in modo che gli echi ne arrivassero al grosso pubblico. Una cosa perlomeno strana, se si pensa che il congresso è stato battezzato The Italian Connection: The Reception of Canadian Literature in lta/y. Tra i partecipanti, famosi professori universitari, editori di entrambe le nazionalità, e, a rappresentare la cultura letteraria canadese, la scrittrice Margaret Atwood, o il critico Northrop Frye, personaggi ormai famosi a livello mondiale, della cui nazionalità, però, solo gli addetti ai lavori sono a conoscenza. Un'ignoranza che trova una facile spiegazione. Il fatto che letterati australiani e canadesi, neozelandesi e caraibici, scrivano in lingua inglese, fa sì che vengano pubblicati e diffusi per lo più dai colossi editoriali britannici, o americani, i quali raramente si preoccupano di metterne in evidenza la nazionalità, quasi temessero, razzistica- .mente, che etichettare uno scrittore con la sua origine coloniale sia controproducente per le vendite. E non sono soltanto i meccanismi del

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