Linea d'ombra - anno VI - n. 30 - settembre 1988

STORIE/ISKANDER Saltai giù dal terrazzino d'ingresso e corsi verso il portone. Un minuto dopo grandi e piccoli, tutti si affollarono davanti al portone. Lo zio uscì per ultimo. Attraversò tranquillamente il cortile col suo passo leggero. Si vedeva che si sforzava di apparire tranquillo. Forse si vergognava davanti a noi, oppure temeva che la gioia potesse rivelarsi prema.tura. · Fecero entrare la cavalla in cortile. Fatti alcuni passi, essa si fermò indecisa davanti allo zio. Egli le girò intorno, esaminandola attentamente. Solo allora ci accorgemmo di quanto era magra e 'sfinita. Quando si mosse, uno sciame di mosche volò via dal suo dorso con un ronzio cattivo e poi subito vi si riposò, come uno stormo di avvoltoi lillipuziani. Il dorso del cavallo era scorticato. - Chissà quante ne ha viste lassù, - il nonno interruppe il silenzio generale, come per giustificare il cavallo. - Cioù! - Alzando il braccio, lo zio la cacciò via dal suo posto. Bambola si allontanò di qualche passo, si fermò, aspettò un poco, poi a un tratto si volse a guardare lo zio. - Cioù! - Alzando di nuovo il braccio, egli la cacciò via dal suo posto e la guardò allontanarsi. Continuava sdegnosamente a non accorgersi della ferita sul suo dorso, come se quello che cercava di cogliere ora fosse ben più importante di qualsiasi ferita. Di nuovo, Bambola fece qualche passo e si fermò indeèisa. Tutti tacevano e, quasi spaventata dal silenzio generale, la cavalla tornò a voltarsi in cerca del padrone. - Cioù! - le gridò ancora una volta, e lei di nuovo si spostò, fece qualche passo e si fermò rassegnata. Non si voltò più indietro. Daccapo le mosche volarono via dal suo dorso e daccapo si posarono sulla ferita, ma lo zio, ancor più sdegnosamente, non se ne accorgeva, come se avessero scorticato il dorso del cavallo apposta per distogliere la sua attenzione dalla cosa principale che gli.era successa. - Smettila, - disse piano il nonno, benché non stesse fa-· cendo nulla. - Guasta, - rispose stancamente lo zio, - è stroncata ... - Si voltò ed entrò in casa. Io non capivo cosa significasse guasta, ma sentivo che alla cavalla era acc~duto qualcosa di terribile, e nello stesso tempo non potevo crederci. - Perché, la ferita non si rimarginerà? - domandai al nonno, quando lo zio andò a lavorare. Il nonno sedeva all'ombra del melo e intrecciava un canestro. - Non è questo il problema, - disse. Le sue dita adunche, assottigliate dal lavoro, si fermarono. Esaminò il suo intreccio e, compreso come doveva procedere, aggiunse: - Le hanno ucciso la fierezza ... - Quale fierezza? - domandai. - Come quale? La sua fierezza di cavallo, - rispose, senza piu ascoltarmi. Fra i vinchi tremanti e sporgenti ne infilò uno trasversale, lo serrò in giù con le dita forti, per infittire l'intreccio, come si serra il ventre di un cavallo col sottopancia. - Ma si riposerà, - rammentai, cercando a tentoni quello 50 che intençieva dire. Nella pagina a fianco: foto di Roby Schirer (Agenzia Tam-Tam). - Oifuai per lei è lo stesso, non ha più fuoco dentro, - disse continuando a torcere, piegare e tendere il flessibile vinco di nocciolo appena spellato. C'era qualcosa di tutt'altro che senile nell'avido piacere con cui intrecciava il canestro: A dire il vero, faceva tutto con la stessa avidità. Solo molti anni più tardi capii che nulla aveva potuto piegarlo fino alla fine dei suoi giorni, proprio perché aveva il dono dei bravi contadini e dei grandi artisti: di trarre il piacere dal lavoro stesso, e non aspettarne i frutti, troppo spesso ingannevoli. Ma allora non lo sapevo, e mi dispiaceva per Bambola. Per circa un mese la cavalla visse nel cortile. Noi bambini credevamo che si sarebbe riposata e sarebbe ridiventata quella di prima. Adesso eravamo noi che la conducevamo al bagno, che le portavam'o l'erba fresca, scacciavamo le mosche, pulivamo la ferita con un cencio imbevuto di benzina. Dopo qualche tempo la ferita si cicatrizzò, la cavalla divenne liscia e bella. Ma era evidente che qualcosa in lei era davvero mutato per sempre. Adesso, se ci si avvicinava a lei e le si metteva una mano sul collo o sul dorso; non tremava più, si immobilizzava soltanto e restava in ascolto. Certe volte, quando si immobilizzava e restava in ascolto a quel modo, pareva che cercasse invano di ricordarsi com'era stata un tempo. Ben presto il nonno prese a usarla per recarsi al mulino, perché il nostro asinello non era più tornato dal valico. Poi i vicini cominciarono a prenderla in prestito, ma lo zio non la cavalcò più e non le si avvicinava neppure. Lei lo ricordava ancora e, sentendo la sua voce, sollevava la testa, ma lui le passava sem·- pre accanto, implacabile, senza notarla. - Come sei cattivo! - disse la zia una volta che eravamo radunati in cucina prima del pranzo. - Potresti avvicinarti almeno una volta, farle una carezza ... - Si potrebbe pensare che tu ami il mio cavallo più di quanto l'ami io, - disse egli ironico e, accostata la sigaretta al fuoco, l'accese. In autunno Bambola fu venduta nel villaggio vicino per due quintali e mezzo di granoturco: eravamo affluiti in troppi nella casa dello zio, il nostro non ci bastava. Non vedemmo più Bambola, ma una volta ne sentimmo parlare. Un giorno il suo nuovo padrone andò con lei alle corse. La legò al palo e s'intrufolò fra la folla. Durante la batteria più lunga, quando l'esaltazione giunse al culmine e Bambola sentì il boato della folla, l'odore dei cavalli accaldati, lo scalpitio degli zoccoli, si ricordò di qualcosa. In qualche modo spezzò la cavezza, volò nel cerchio, superò i fantini al galoppo e per quasi un giro intero corse in testa a tutti con le staffe che ballonzolavano assurdamente, mentre la folla fischiava e sghignazzava. Poi gli altri cavalli la superarono, e lei usciì da sola dal cerchio. Dopo Bambola zio Kjazym non tenne più cavalli. Si vede che l'età non era più quella, e poi anche i tempi non erano più quelli. (traduzione di Emanuela quercetti) Copyright Fazil' Iskander 1978.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==