Linea d'ombra - anno VI - n. 30 - settembre 1988

e del resto io non glielo chiesi più. Eppure non solo il mio entusiasmo per lei non si raffreddò, ma anzi presi ad amarla ancor di più. Perché così appunto doveva succedere: lei era una cavalla famosa e non riconosceva nessun altro che il suo padrone. Bisogna dire che non si lasciava prendere facilmente neppure dallo zio. Per metterle il freno le si avvicinava lentamente, tendeva la mano, diceva qualcosa di affettuoso, e quando arrivava a toccarla la accarezzava sul garrese, sul dorso e finalmente le infilava in bocca il morso. Erano i movimenti fluidi e rallentati con cui gli apicoltori aprono gli alveari. Di solito, quando lo zio le si accostava, Bambola indietreggiava, alzava la testa, si voltava indietro, tutta tesa, fremente, pronta a scattare al primo movimento incauto. Pareva che ogni volta si consegnasse nelle mani del suo padrone con vergogna e timore. Talvolta di giorno, quando andavamo netta conca di Sabid in cerca di mirtilli o laurocerasi, la incontravamo nei posti più impensati. Capitava che la chiamassimo: "Bambola! Bambola!". Lei si fermava e guardava col suo lungo, stupito sguardo di cavallo. Se provavamo ad avvicinarci, filava via, tendendo la sua lunga e bella coda. Lontano da casa diventava completamente selvaggia. Talvolta fra le m~cchie di rovi, noccioli e felci si udiva un fruscio, uno scricchiolio, un calpestio inatteso. Agghiacciati dal terrore, aspettavamo che da un momento all'altro ci assalisse un cinghiale. Ma dai cespugli sgusciava fuori Bambola e, come una visione di fuoco, ci volava accanto, e un attimo dopo già si spegneva lontano lontano lo scalpitare dei suoi zoccoli. - Non avete visto Bambola? - domandava lo zio, accorgendosi che tornavamo dalla conca di Sabid. - Sì, l'abbiamo vista, - rispondevamo in coro. - Bravi, bravi, - diceva lui soddisfatto, come se avessimo fatto l'unica cosa che si poteva fare nella conca di Sabid, e non valesse la pena di domandare altro. N oi tutti in casa, benché lo zio non ne parlasse mai, sentivamo quanto amasse il suo cavallo. Va detto che anche Bambola, nonostante la sua selvatichezza, a suo modo amava lo zio. La sera, quando stava davanti al portone, appena sentiva la sua voce volgeva subito la testa e guardava, guardava... · Qualche volta di giorno lo zio acchiappava Bambola e tornava cavalcandola di traverso, tutte e due le gambe su un fianco. Quando faceva così aveva un'aria giovane, baldanzosa. Questo tacito scherzo era particolarmente piacevole, come era piacevole un sorriso inatteso sul suo viso di solito così severo. Si vedeva che era di buon umore, ed era di buori umore perché stava per intraprendere un viaggio particolarmente lungo e interessante. Lo zio legava Bambola al melo. ScalSTORIE/ISKANDER ---- - - ~~--- . :,.._ . . '' ~' \ ' ~ ' dava un bricco d'acqua, si radeva, si lavava la testa. Zia Manica cominciava a brontolare, ma le sue parole rimbalzavano via da lui come i chicchi di grandine dal mantello di feltro che, dopo essersi cambiato, si buttava sulle spalle. Ed ecco che getta la gamba oltre la sella, si siede più comodamente, in mano ha un elegante scudiscio. Alto, forte, per qualche tempo indugia in mezzo al cortile, per dare le sue ultime disposizioni di capofamiglia. Piegandosi agilmente, si apre il cancello da solo e si allontana al trotto veloce. In quei momenti non si poteva non ammirarlo, e solo la zia continuava a brontolare e a fingere di non ascoltarlo e di non guardare dalla sua parte. Ma nemmeno lei poteva resistere. Nelle mani teneva un setaccio, o un fascio di sterpi dimenticato, o qualcos'altro ancora. Era triste, per qualche motivo, ma perché - non lo sapevamo. . .. La gùerra si avvicinava sempre di più. Da qualche parte oltre il valico già si combatteva, e ad ascoltar bene si poteva sentire il rombo lontano, quasi stanco delle cannonate. Nel villaggio erano rimasti pochissimi ragazzi e uomini giovani. Una volta il presidente annunciò che erano temporaneamente mobilitati tutti gli asinelli e i cavalli, per trasportare munizioni al valico. Prima requisirono tutti gli asinelli e poi fissarono il giorno in cui avrebbero preso i cavalli, perché fossero preparati e tenuti a casa. La sera prima lo zio chiuse Bambola nel cortile, e l'indomani mattina non la lasciarono più uscire. Quello stesso giorno, di buon mattino, arrivò dal villaggio vicino Mùstafa, un noto mercante di cavalli. Era un uomo di bassa statura, con corte sopracciglia cespugliose da sotto le quali, come bestiole guardinghe, facevano capolino gli occhi. Capimmo che non era venuto per caso. Per fare onore all'ospite sgozzar.ono una gallina, e la zia mise in tavola la vodka alla mirabella. - Certo sai della mobilitazione, vero? - chiese. - Certo, - rispose lo zio. 47

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