Linea d'ombra - anno VI - n. 30 - settembre 1988

libro è veramente e incontestabilmente zeppo di bontà. Per tutti - per filosofi e politici, per negozianti e professionisti, per madri e figli, per psicanalisti e impiegati del catasto, per donne ritardate e per malati in coma irreversibile (cfr. F.Alberoni-S.Veca, L'altruismo e la morale, cit. p. 110 e p. 115) - proprio per tutti - o meglio, per "chiunque" - c'è un apprezzamento gentile, un consiglio, una parola di speranza. Dal momento che il volume è a doppia firma, risulta difficile stabilire con precisione quanto sia frutto genuino dell'attività psi- -:hica del "cervello in vasca" e quanto sia .nvece interpolazione dello spregiudicato ;perimentatore "specializzato nelle alchimie jell'animo umano" (F. Diwan, cii., p. 75). futtavia, conoscendo i materiali su cui abitualmente lavora Francesco Alberoni - sempre secondo Fiona Diwan, "amori, vibrazioni, erotismo, amicizia" (ibidem) - sembra legittimo attribuire integralmente a Salvatore Veca tutto quanto ha qualche at- ·tinenza.ò assonanza con "pensiero" e "ragione" (per le relative definizioni, cfr. F.Alberoni-S. Veca, L'altruismo e la morale, cit., sp. pp. 36-38) e più in generale - per uscire dalla terminologia impiegata dagli autori - filosofia, scienza e cultura. Ora, un'analisi accurata dei passaggi dell'opera che toccano simili questioni dà un quadro clinico del "cervello in vasca" abbastanza rassicurante. In primo luogo, bisogna notare che le correzioni teoriche contenut.e,;in L 'altruismo e la morale, pur presep:tli'iid6 .sempre quella radicalità da shock èùi si è accennato, conducono questa volta l'autore a posizioni precedenti l'incidente. Così, se nell'estate del 1981Salvatore Veca polemizzava violentemente "con il nostro modo di concettualizzare una storia, un prima e un dopo ... ; con il nostro maneggiare il calendario, irregimentare il rapporto tra passato, presen- ·te e futuro; infine, trattare una no~: così compromessa come quella di 'progtfssòl" (S.Veca, L'etica del moderno, in "Alfabe~ ta" n. 26-27, luglio-agosto 1981, p. 25), oggi leggiamo invece che nel campo dell'etica (ma anche in campo scientifico, cfr. L'altruismo e la morale, cit. p. 113) "ogni movimento sorge nella sua epoca per superare, lasciarè'indietro una parte del passato" (ivi, p. 36), che "ogni movimento rompe e collega" (ivi, p.' 37); che insomma, "il progresso morale esiste" (ivi, p. 113) e può essere ulteriormente spinto avanti "sviluppando ... gli strumenti della nostra tradizione" (ivi, p. 115) che va "dalla Bibbia a San Paolo, a Lutero, all'utilitarismo, a Kant. .. con una chiarificazione progressiva" (ivi, p. 97). Come si vede di correzione in correzione Salvatore Veca ha in qualche modo "com-. pletato il giro" delle possibili opzioni filosofiche: il che fa sperare in un prossimo assestamento della "bussola impazzita", o almeno in un acquietamento che interrompa finalmente la stressante sequenza di folgorazione sulla via di Damasco. In effetti, nel testo in esame vi sono chiari sintomi in questo senso: si può notare, per esempio, che tutti i "maestri" via via abbracciati e sconfessati negli ultimi anni ricompaiono qui in una prospettiva riconciliata, ciascuno con un po' di ragione e un po' di torto. Al ripudiato Marx - trattato da imbecille ancora nel 1986 - si riconosce ora di aver "generato solidarietà e speranza" (L'altruismo e la morale, cit., pp. 77-78). Per contro, ali' "approccio contrattualista (della tradizione del contratto sociale)", abbracciato nel 1981 perché "in conflitto sia con l'approccio utilitarista sia con quello storicista (di cui, soprattutto da noi, il marxismo è l'esemplare più rilevante)" (S. Veca, L'etica del moderno, cit., p. 25), si obietta ora che "la comunità sociale non può nascere da un patto" · e che "non esiste un contratto sociale alla Hobbes o alla Rousseau" (L'altruismo e la morale, cit., p. 67). Insomma, il grande Rousseau è a volte "sgradevole" (ivi, p. 101), il malvagio Marx era in fondo una brava persona, Freud non ha tutti i torti e del resto ha sbagliato perfino Kant (ivi, p. 98): con le uniche eccezioni di Hitler, Gengiz Khan e Timur lo zoppo (cfr. ivi, p. 83), si direbbe che nella vasca c'è alla fine posto per tutti. È chiaro che questa prospettiva di serena conciliazione teorica fa pur sempre parte di uno stato allucinatorio, né potrebbe essere diversa la condizione di un sistema cerebrale scisso. Ciò che vogliamo segnalare, è che ·questo stato di "grazia" - vorremmo dire, citando l'opera in esame, di "agape ... senza motivo" (cfr. L'altruismo e la morale, cit., p. 21) - può ragionevolmente definirsi un miglioramento rispetto alla situazione di angoscia e smarrimento chiaramente espressa in precedenti scritti. "È proprio possibile vivere felici e euforici in più versioni possibili del mondo e non per perdersi, o deprimersi, nei mondi possibili?" (S.Veca, Unafilosofia pubblica, cit., p. 128). Questo intenso, spaventato dolore ha ceduto il posto, in L'altruismo e la morale, a una gioia serena. Ed è spontaneo chiedersi leggendo L'altruismo e la morale, se il dolcissimo mondo fantastico di Salvatore Veca, un mondo in cui "la morale ha influenzato tanto il funzionamento degli uffici e della pubblica amministrazione come quellò del mercato" (L'altruismo e la morale, cit., IL CONTESTO p. 64): da noi, diversamente che nella vasca, ci sono pubblici impiegati arroganti, politici corrotti, funzionari incompetenti, commercianti cialtroni. Non possiamo non avanzare un dubbio e un allarme. Il dubbio: il dolce mondo di Salvatore Veca è - come egli stesso avvertiva nella citata opera del 1986, - soltanto uno dei mondi possibili. È anche, temiamo, un mondo del tutto fortuito. Esprimiamo a chiare lettere il sospetto: Francesco Alberoni ha versato zucchero nella soluzione in cui • è immerso il cervello di Salvatore Veca del tutto a caso, senza una chiara consapevolezza delle conseguenze. Con la stessa disinvoltura, avrebbe versato sale da , cucina, schiuma da barba, antiparassitari, aspirina o dadi da brodo. Per un caso - di cui dobbiamo ringraziare un dio benevolo o forse la contingenza della campagna di promozione dei dolcificanti tradizionali - Salvatore Veca vive oggi in un mondo dolce anziché in un mo.ndo salato, o acido, o schiumoso. L'allarme: Salvatore.Veca può veramente dirsi libero? e l'umore zuccheroso di cui è attualmente impregnato glipiace? Che cosa significa l'insistenza, quasi ossessiva, sulla "libertà" - "la morale non è possibile senza libertà", ecc. (cfr. L'altruismo e la morale, cit., p. 89 e ss.) - che cosa significano tutti quei "solo se lo d~cido io", "solo se io posso farlo.o non farlo" (ibidem)? Prima di ribattere che, come dicevano le nostre nonne, "l'erba voglio non cresce neanche nel giardino del re", è forse il caso di chiedersi se non si tratta per caso di segnali, della trama nascosta di una richiesta d'aiuto. Che senso avrebbe, altrimenti, il comportamento isterico dell'uomo che, di fronte agli amici che scomettono sul fatto che beva o non beva, si versa l'acqua addosso e pesta il bicchiere sotto i piedi (cfr. ivi, pp: 89-90)? Solo una proposta di lettura: questo paradosso - sviluppato del resto con una finezza logica che rende certa la paternità vechiana - potrebbe rappresentare l'esasperazione di una cavia umana in balia di ricercatori senza scrupoli. E ancora, proviamo a leggere alla rovescia il terribile "caso morale" con cui si chiude il libro, quello della persona che si trova "in uno stato di coma irreversibile con degenerazione cerebral@comprovata" e che "preferirebbe vivere una vita vegetativa" anziché cadere nelle mani dei trapiantatori di organi (cfr. ivi, p. 115). Una vita vegetativa, un mero corpo ha diri//o al rispetto e alla pace. E una vita intellettiva, un mero cervello? L'interrogativo è inquietante. Del resto, nessuno può dormire tranquillo di fronte al caso Veca-Alberoni. 27

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