IL CONTESTO DI LATO ELOGIOFUNEBRE DELCANTOSPONTANEO Maria Schiavo Ho una nipotina di quindici mesi che non parla ancora. Dice solo qualche parola. Ma canta, canta continuamente. Di notte e di giorno. La musica sta sempre intorno al lettino come un guardiano benefico, come un incantesimo che la protegge dall'insonnia prende il volo da miniradioline, caroselli edaltri marchingegni colorati che lei ha imparato ad azionare alla perfezione. Che un rapido tirar di cordicelle possa far venir giù le note come tante piccole cascate, come tanti sassolini a precipizio lungo una discesa, questo le fa emettere dei piccoli trilli e, se l'eccitazione dell'esperimento cresce, degli acuti potentissimi. Allora ride come solo i bambini possono e incomincia a piegare le gambe fino a dimenare tutto il corpo dietro al ritmo: è proprio il suo piccolo inno alla gioia, il suo modo di porgere il saluto, co0 me la lepre di Rimbaud dopo il diluvio, all'arcobaleno. Poi si mette a cantare. E la sua incapacità di riprodurre perfettamente quanto ha sentito non sembra un limite, ma piuttosto un dono perché lei possa lanciarsi nelle sue incredibili e deliziose variazionÌ. Di preferenza quando è sola: sembra che allora incominci il vero discorso con se stessa. La notte, se le capita di svegliarsi, dapprima piange, poi dopo un poco smette di piangere e si mette a cantare. Alla fine dorme, e forse l'ha addormentata il suo stesso canto. Certo lo so che non è un fatto eccezionale, lo so che tutti i bambini cantano nell'epoca che precede la parola. Ma da una parte, le Iètture suggestive (i primitivi di Vico simili ancora a bestie, ma che già si svegliano alla parola prima facendo grida e poi cantando), dall'altra i ricordi di un passato non poi così lontano stanno lì a sottolineare che il canto, eccetto quello degli infanti e quell9 degli specialisti, dei virtuosi, in altre forme non esiste più. Fino agli anni Cinquanta il canto spontaneo per le strade, negli interni delle case, è stato invece una realtà quotidiana importantissima. E il detto "uccello chiuso in gabbia canta per stizza o canta per rabbia" sta ad indicare quanto fosse espressione diffusa dei sentimenti di gioia e del suo contrario. Chi cantava cantava prima di tutto per sé. Quell'emissione di fiato solitaria non richiedeva spettatori, ma nemmeno li scacciava, si ablrnridonava alla possibilità di essere protagonista senza attribuire ad essa troppa 22 importanza ma senza nemmeno escluderla. Era una possibilità di farsi sentire che mentre del cuore diceva i soliti amori, delusioni e tormenti faceva bene ai polmoni, li riempiva del piacere di esercitarsi liberamente. Oggi non è più possibile (o è diventato rarissimo) sentire cantare né gli operai arrampicati sulle impalcature né gli imbianchini all'interno delle case vuote né le lavandaie né le donne delle pulizie mentre sfregano alluminio e pavimenti. Per le donne soprattutto,. per le lavoratrici, era sicuramente un significativo atto di libertà, un modo di far apparire il proprio corpo, di prolungarlo, il far sentire all'aperto, pubblicamente, la propria voce. Credo che oggi nemmeno città come Napoli o Palermo conservino più quest'usanza. Mestieri come quello del carrettiere o del vetturino, del venditore e della venditrice ambulante non esistono quasi più, e si trattava di gente che usava cantare o annunciare da lontano con una particolare cantilena la propria merce. Nei "vichi" delle città meridionali si sentiranno ancora radio e televisori, registratori di contrabbando a tutto volume, ma del canto spontaneo credo che si sia perduta quasi ogni traccia: ogni tanto .solo qualche vecchio film neorealista ha il potere di ricordarcelo. Si rida pure di quest'elogio funebre così accorato, ma è certo che il corpo umano ha perduto un suo grande diritto: come c'è un diritto alla parola c'è infatti un diritto al canto, e anche questo è andato perduto. I motivi forse non mi interessano molto, probabilmente sono risaputi, mi interessa di più il progressivo ammutolimento della voce popolare, come una perdita di presenza, di spazio vitali. In realtà, la natura di quello che ho chiamato canto popolare è più complessa. Il canto delle donne che faticano nelle case, degli ambulanti, dei lavoratori sospesi in aria o sepolti sottot_erra (cantavano anche gli sterratori mentre spalavano la terra come tanti becchini) era già il residuo di un'antichissima consuetudine. Accanto alla voce,popolare c'era la voce borghese e piccolo-borghese che provava (ma era già anche quella un residuo) a gareggiare, in pezzi d'opera famosi, con i tenori e i soprani più famosi del momento. Una mia zia sfidava anche lei il gelo della crudele Turandot, passando dalle parti maschili a quelle femminili come solo antichissimi usi teatrali potevano permettere; mio padre passava gagliardamente dal- !' Andrea Chénier ai Pagliacci mentre da qualche altra parte appariva la Celeste Aida di un mio zio reduce, e all'orizzonte, ancora più lontano, il fil di fumo della Butterfly, relitto lacrimoso dei 'terribili fuochi di Medea. Tutte queste persone e tante altre non erano solo spettatrici, non si vergognavano di essere attive, di rÌspondere al canto delle voci che ammiravano, ma come dire? avevano la libertà (se la prendevano) di cantare accanto a loro. Oggi ancora, è vero, ragazzi e ragazze, sempre più rari, accompagnandosi con la chitarra, cantano. Ma è un'altra cosa, ricorda il piccolo concerto da carriera, il riunirsi e vedersi per far musica di altri paesi che è diverso dal canto spontaneo che nasceva sempre e solo in mezzo alle occupazioni materiali, e che sicuramente rappresentava anche uno sfogo della pena, della fatica (ma forse che oggi che non si canta più questa pena, questa fatica sono state eliminate?). Come la risata dispone il corpo al buon umore con la distensione dei muscoli facciali, così quell'emissione di fiato, quell'apertura profonda dei polmoni, erano un esercizio im- ·portante per l'allargamento della percezione di sé. Per questo, forse, oggi una bambina di quindici mesi che prima di incominciare a parlare canta mi commuove. Ripercorre l'esercizio canoro spontaneo della specie che per gli adulti non esiste più. Diventerà un giorno una cantante lirica? una cantante jazz o rock? canterà magari musiche.antiche o stornelli? o solo canti religiosi in qualche chiesa austera? Certamente non si può dire, ma se non farà nessuna di queste cose, dopo qualche noioso esercizio scolastico, non canterà più per t-utta la vita. Come al solito, e per chiudere· il mio elogio funebre del canto spontaneo, anche in questo caso mi sembra che il mondo avrà perduto qualcosa, e non poco: una possibilità di voce.
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