stupirsi, e questa è la chiave del suo viaggio. Gide sa guardare, e intorno a sé trova non la natura ma gli uomini, e i fatti che li riguardano. Prezzi del cucciù e poteri amministrativi, danze e festeggiamenti, lamentele dei capivillaggio. Gide incontra quei ·negri e li osserva. Non sempre li capisce, perché sono diversi da lui, e spesso chiama in soccorso gli studi antropologici del tempo. Ma con alcuni di questi negri stringe un legame duraturo - anche se si tratta pur sempre dei suoi servi e come tali li tratta - e si trova a litigare più volte con i bianchi residenti nel paese, che come sempre - come lo sono oggi - sono pieni di disprezzo per i sudditi dell'impero. Insomma, il viaggio trasforma Gide: ha vissutQ.un'esperienza. Ecco allora che le parti del suo diario in cui racconta questi incontri si accendono, la scrittura diventa scorrevole e interessante: è lui, che è più coinvolto, più partecipato. E ci offre pagine di grande interesse sui paesi che attraversa in quel tempo: tanto che fa venire voglia di viaggiare, di andarli a vedere adesso, a ses1 sant'anni di distanza. Curiosamente, qui, Gide ritrova anche il paesaggio: perché il paesaggio trova una spa spiegazione nuova quando si co·nosce chi ci vive in mezzo. Tra l'altro, a questo punto il paesaggio comincia anche ad appartenere un poco a Gide, e il diario degli ultimi tre mesi di viaggio porta un nome diverso: Ritorno dal Ciad, perché,. mi pare, è diverso Gide, che in queste ultime pagine sembra ormai perfettamente inserito nella natura che lo circonda, l'ha capita, ha capito cos'è per chi ci vive. Ora, la lettura del Viaggioin Congo, propone una domanda che va oltre il giudizio sul libro in se stesso: è possibile, oggi, viag-~ giare come Gide? lo credo che, perlomeno, sia auspicabile: a patto, certo, di non farsi inviare dal ministero delle colonie, o peggio ancora di dimenticarsi che anche oggi l'Africa è la più lontana provincia dell'impero. Qualche anno fa, ho scritto una guida su due paesi africani. Nel descriverli, ho cercato di privilegiare l'aspetto umano del viaggio: ho descritto città e persone, piuttosto che luoghi naturali. La casa editrice ha voluto correggere questa mia impostazione, affidando l'introduzione al libro a un noto naturalista. Che ha cominciato il suo pezzo così: l'Africa, ha scritto, è la patria degli animali della nostra infanzia, L, come leone, E, come elefante, Z, come zebra. Ha ancorato il viaggiatore al suo pregiudizio più saldo e radicato. Ora, è certo che non ci si può spogliare della propria cultura, e affrontare un paese nuovo come se si partisse dal niente. Anzi, è giusto portarsi dietro i propri pregiudizi: ma, come fece Gide, per metterli alla prova. Gide fa proprio questo: non esce mai dal suo ruolo di inviato coloniale. Gide resta se stesso: ma apre gli occhi. Al contrario di chi, viaggiando al giorno d'oggi, sembra partire già spogliato della propria identità, assolutamente votato al terzo mondo: che poi, naturalmente, diventa tutto uguale, Asia, Africa, America Latina. Prendiamo un turista famoso: Moravia. Di Moravia sono andato a rileggermi le note al libro di fotografie di Andrea Andermann Alcune Afriche: perché percorre più o meno gli stessi paesi di Gide, e infatti ne cita alcuni passaggi. Moravia attacca con una critica al colonialismo: meglio di Gide, dunque. Perché denuncia il rapporto di sfruttamento e appropriazione intrinseco a tutta la storia delle relazioni fra i bianchi e i neri. È giusto, anche perché comunque, oggi, con questa storia bisogna misurarsi: se non altro perché qualsiasi nero, in qualsiasi parte del continente, avrà sempre un senso di forte soggezione nei confronti di qualsiasi bianco, da qualunque parte del mondo provenga. Diffido di chi cerca di saltare a piè pari questo ostacolo. Troppi, fra i cooperanti progressisti, e i missionari convinti di lavorare in Africa per il beneficio della popolazione nera, prima o poi diventano quasi razzisti con i loro beneficiati: proprio perché non affrontano questa disparità di condizione, perché partono troppo convinti dell'eguaglianza fra i bianchi e i neri..Un'eguaglianza che non esiste più da secoli, Moravia però resta tutto all'interno di una mentalità neocoloniale, pur osteggiandola a parole. Per Moravia l'Africa è essenzialmente la parte nascosta dell'Europa, il suo contrario: natura, mistero, mentalità primitiva. Moravia è pregiudiziale in questo senso, e infatti gli uomini che incontra li vede soprattutto nel loro rapporto con la natura: natura che diventa la protagonista assoluta sulla scena. lo non voglio qui discutere Gide e Moravia. Ma la loro lettura mi stimola delle riflessioni sul viaggio in Africa oggi, su come lo compie chi ci va da turista, e da cooperante, o su chi ci intraprende un viaggio di una certa durata. Perché il problema del viaggio in Africa è ancora quello del pregiudizio che l'Europa si porta dietro. Dopo secoli di espropriazione culturale oltre che economica e politica, l'Africa sembra infatti non avere una identità culturale propria: resta, per l'Europeo, la complementarietà - non la diversità - del continente nero, il primitivo, la natura. E questo a differenza di ciò che accade per-altri continenti ai quali qualcosa viene pur riconosciuto. Per esemIL CONTESTO pio: il turista.che parte per il suo mese di vacanze con destinazione Africa, parte convinto che il centro del suo viaggio saranno i parchi naturali e la fauna africana. Se contatto ci sarà con gli uomini e la loro società, sarà cercato nella cultura del villaggio: si visiteranno dei piccoli centri, sperando di incontrare cerimonie e danze di qualche tipo. Le agenzie turistiche programmano i loro viaggi organizzati secondo questo schema, chi parte per un mese di vacanza in Kenya sa già cosa troverà, e puntualmente lo trova. li risultato sono dei viaggi che non sfiorano neppure i paesi che attraversano. E non perché non riescano a conoscerne i meccanismi sociali ed economici che li governano, cosa secondaria, ma perché il turista che viaggia in questo modo non riesce a scambiare niente con chi in quei paesi ci abita. A questa impostazione non riescono a sfuggire, spesso, nemmeno i più aperti e progressisti. Il pregiudizio è dunque saldamente radicato, al punto che il viaggio tende addirittura a confermarlo: perché in quest'ottica i neri saranno soprattutto ignoranti, poco efficienti, e di nessun interesse. Escluso, naturalmente, quando abitano nel villaggio e danzano. Il viaggiatore progressista non troverà a quèsto punto difficoltà a individuare nel colonialismo e nel neocolonialismo la causa di questa totale assenza dell'Africa dal punto di vista culturale: ma questa considerazione, invece di fargli aprire gÌi occhi sul continente, servirà solo a mettergli il cuore in pace. E tornerà a casa senza che il viaggio abbia lasciato alcuna traccia in lui, a parte le collezioni di diapositive. Quel che è curioso, è che l'Africa non riesce nemmeno a beneficiare di certe attenzioni che ricevono altri continenti del mondo. L'America latina, per esempio, non viene visitata in cerca di natura e mentalità primitiva: il pregiudizio, semmai, è il contrario, e là si visitano le città in cerca di divertimenti notturni e musica. Sicuramente il viaggio in un paese dell'America latina è considerato più divertente di quello in Africa (che semmai è affascinante): ogni città africana è invece vissuta come una spiacevole interruzione del proprio rapporto con la natura. Così· come in oriente si sarà tentati dalla ricerca di valori culturali di sicura attrazione, mentre nessuno, invece, troverà interesse per una simile ricerca in Africa: pregiudizio che, ovviamente, uscirà rafforzato dopo il viaggio. lo resto soprattutto convinto che chi affronta in questo modo un viaggio in Africa somigli troppo a Moravia e al Gide delle sue prime pagine: anche per questo, al centro della sua esperienza, c'è la noia. 21
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