, CONFRONTI stro collega antagonista trascinato dallo zipping in una irresistibile caricatura di se stesso. E così aggiungerete alla pari efficacia del vostro e del suo punto di vista, anche quel pizzico di cattiveria che vi servirà sempre di più per navigare nelle acque basse del sistema formativo allargato. E così che David Attenborough (l'autore e protagonista di La vita sulla terra e di molti altri programmi televisivi di storia naturale) è stato nominato da me e dai miei studenti "nostro assistente", e lo facciamo andare (avanti e indietro, a diversa velocità) in su e in giù per i\cinque continenti a piacer nostro. Vogliamo che lui ci mostri cose che nella nostra scuola non si possono vedere, ma al resto pensiamo noi. E se vogliamo, lo fotografiamo lì sui ghiacci del!'Antartide con il fermo-immagine e lo lasciamo nel video a ascoltare noi che discutiamo del buco di ozono e di altri svariati effetti dell'inquinamento atmosferico. NORMALITÀEUTOPIA: CYNTHIAOZICKEI DILEMMIDELLAPEDAGOGIA Santina Mobiglia Americ_ana ed ebrea, Cynthia Ozick raccoglie una dimensione comune alle tradizioni narrative di entrambe le sue culture d'origine nella capacità di unire lo scavo nella realtà quotidiana e il ricorso alla densità del simbolo come costruzione e ricerca di senso. li protagonista de La galassia cannibale (Garzanti 1988, l'unica opera della Ozick finora tradotta in Italia ma la scrittrice è ben nota ai lettori di "Linea d'ombra") è Joseph Brill, un uomo di mezza età avanzata, direttore di una scuola ebraica frequentata dalla mediocre progenie di mediocri genitori provinciali di quel Middle West americano dove è approdato lasciandosi alle spalle l'Europa, l'adolescenza interrotta dalla persecuzione nazista, la Parigi della brulicante · e multicolore rue des Rosiers dell'anteguerra. La continuità della memoria e dell'esperienza sembra fissata nell'anch'essa mediocre architettura della scuola, una serie di edifici lineari, quasi un treno in movimento come quei "tre sventurati vagoni" senza ritorno che in una mattina come le altre gli avevano strappato i familiari. Filo unitario della narrazione è la faticosa ricerca di identità a posteriori della vita, da parte del protagonista non monologante ma distanziato dal racconto in terza persona dalla scrittrice. Romanzo sulla mediocrità che prende progressivamente atto e coscienza di sé senza riconciliazioni minimalistiche con la banalità attraverso la superficie della pagina letteraria. Lontana dalle suggestioni di quella nuova retorica della creatività disincarnata, la Ozick persegue una idea di letteratura come tensione alla conoscenza di uomini e cose, racconta una storia, mantiene viva la facoltà di giudicare, di analizzare delle scelte, le loro ragioni e lè loro conseguenze. Anche le scelte mancate, il "fermarsi troppo presto", la "paura delle alte vette", che portarono Joseph Brill giovane, già fuggiasco dalla letteratura e dalla storia ("quel lato della mente che, per quanto immagini e luminarie vi si possano appendere, resta sempre una caverna brulicante di sagome bestiali") a guardare oltre il pianeta, ai luoghi incontaminati dell'astronomia. La guerra lo sospinge nel buio delle cantine e dei fienili, luoghi di apprendistato solitario, fra i libri. e la vita animale, dell'essere adulto, fino alla deriva oltreoceano e all'approdo alla pedagogia: "stringere fra le mani giovani menti, argilla fresca, ingegni precoci, cominciare daccapo, osservare, contemplare". Del suo passato di aspirante astronomo non resta che l'incitamento Ad astra, motto solenne da ripetere agli allievi nei rituali scolastici. Per la consapevolezza della vocazione pedagogica come surrogato di vita propria e per il disancoraggio dalle certezze professionali e soggettive della tarda mezza età di Joseph Brill è decisivo l'incontro con Hester Lilt, madre diversa di una bambina giudicata al di sotto &lla media della scuola. Intellettuale enigmatica, cultrice di un'improbabile ma penetrante Logica ImmaginisticoLinguistica, Hester Lilt demolisce pezzo dopo pezzo le "fandonie della pedagogia" che cerca la conferma di sé più che la scoperta dell'altro, che basa il suo giudizio sulla prima prova e non sull'ultima, incapace di atIL CONTESTO tesa e di ascolto. Alla fine la bambina apatica a scuola e ottusa per gli insegnanti si rivelerà una grande artista, mentre gli studenti-modello allevati in tutta una carriera. di educatore risulteranno al vecchio Brill non dotati di un talento particolare se non quello di compiacere gli insegnanti e di consacrarsi al culto dei bei voti. In questa donna, della sua stessa età ma di diversa storia, il protagonista troverà un'antagonista e uno specchio in cui guardarsi meglio, rivedere i metri di misura del successo e del fallimento. Fredda e beffarda, distante da ogni maniera letteraria del femminile, è a lei che la scrittrice affida la funzione di smascheramento del sapere-potere che pietrifica il divenire, la vita concreta e le differenze. L'istituzione pedagogica misura quello che produce essa stessa, che si aspetta e perciò sa riconoscere appagandosene, azzera gli altri talenti: tesi apparentemente iperbolica, ma meno visionaria di quanto ci si potrebbe ragionevolmente attendere da un'invenzione romanzesca se ci richiama alla mente quel meccanismo della "profezia che si autoadempie" discusso circa vent'anni fa (in un saggio tradotto dal Mulino) quarido'ci si interrogava ancora sui fini e non solo sui mezzi dell'educazione, a partire da un concretissimo e suggestivo esperimento sulle dinamiche sottese al rapporto pedagogico realizzato all'epoca in una scuola americana. Volendo verificare se e quanto influiva sul rendimento degli alunni l'aspettativa e la fiducia degli insegnanti nei loro confronti, uri gruppo di arguti rièercatori, dopo aver sottoposto i bambini delle classi iniziali ai consueti test attitudinali d'ingresso, ne fornirono i risultati ai maestri, rimescolandoli però in modo tale che non corrispondessero ai singoli allievi che li avevano effettivamente meritati attraverso le prove. Alla fine dell'anno gli 19
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