Linea d'ombra - anno VI - n. 30 - settembre 1988

IL CONTESTO di riconoscere come proprio un figlio. Già si parla di maternità deflagrata: la donna che fornisce l'ovulo, quella che porta in grembo il feto, quella che assume nei confronti del bambino la figura sociale di madre potranno essere tutte distinte e l'esperienza di • una relazione con l'altro da sé che prima si · svolge all'interno del proprio stesso corpo e poi attraverso il trauma del parto si riorganizza come relazione tra due soggetti distinti, potrà cessar.e di essere radicata nel profondo dell'identità femminile. L'inclinazione maschile all'oggettivazione si esprime anche come strategia di risoluzione dei problemi in termini univoci: individuato un "bisogno" si tratta di riuscire a soddisfarlo con un provvedimento specifico. Così il desiderio di fecondità (o di avere un figlio: non necessariamente coincidono) viene assunto come sintomo di un'alterazione patologica e viene medicalizzato: la risposta si cristallizza nel'riuscire in qualche modo a far nascere un bambino. La locuzione "medicina del desiderio", spesso applicata a queste tecniche, è insieme efficace e riduttiva: la perizia degli operatori può consen- .tire che alla fine il figlio venga alla luce ma attraverso un processo segpato da inquietanti risvolti di reificazione del nuovo essere e insieme dei soggetti di quell'iniziale desiderio (specie la donna che è di fatto colei che più pesantemente viene costretta a viversi come un recipiente di follicoli da stimolare, ovuli da prelevare, embrioni da nutrire. Come scrive Testart, essa diventa l'involucro di una cavità luminosa in cui altri osservano, agiscono, prelevano, depositano). Accennavo all'inizio al convegno recentemente svoltosi a Bologna su queste tematiche; scaturito da un dibattito tra donne durato per diversi mesi, esso ha avuto una caratteristica di complessità e problematicità che non si riscontra in genere in occasioni simili.• Non si cercavano infatti (e ancor meno si presupponevano) categorie universali con cui decidere circa la validità scientifica e l'accettabilità etica delle attuali linee di lavoro nel campo della "riproduzione artificiale" o "procreazione assistita". Come ho cercato di dire sopra, gli atteggiamenti che donne e uomini hanno verso questo problema si inscrivono in una più profonda differenza di orientamento: relazionale, interattivo e di continuità nella percezione di sé come parte di un processo di sviluppo per le une, di disidentificazione oggettivante, separata e manipolatoria per gli altri. Perciò a Bologna ci si è interrogate sullo specifico dei bambini in provetta e insieme sulle culture del parto generate dall'interno del movimento delle donne, sulle am18 bivalenze del desiderio di maternità e insieme sulle tensioni vissute dagli scienziati tra coazione all'efficienza e sgomento delle responsabilità, sugli andamenti della natalità e insieme sugli squilibri mondiali che possono aggiungere ulteriori forme di sfruttamento biologico a quello economico già esercitato sul Terzo Mondo. "Naturale" e "artificiale" - si è detto in molte a Bologna - è una falsa opposizione; ancora più amara però suona quella tra figli "naturali" e "legittimi" che ci è stata tramandata dall'ordine patriarcale. Ma anche la distinzione tra natura e cultura è troppo rigida: la critica delle nuove tecnologie della riproduzione non risponde infatti al sogno di una natura incontaminata né d'altra parte allo sviluppo di queste pratiche è sensato attribuire un destino inesorabile all'insegna dell'onnipotenza. La cultura , e la scienza non sono ineluttabili nei loro processi di evoluzione e il dominio dell'immaginario maschile, prodottosi storicamente, può essere destrutturato in nome di altre sensibilità, scelte e progetti. 1) "Madre provetta. Le donne si interrogano sulla fecondazione artificiale", Bologna, giugno 1988. 2) Mary O'Brien, The politics of reproduction, Routledge and Kegan Paul, Boston 1981. Si veda anche Jalna Hanmer, "Tecnologia della riproduzione: e le donne?" inJoan Rothschild (a cura di), Donne tecnologia, scienza", Rosenberg & Sellier, Torino 1986, pp. 244-267 e il capitolo "Reproductive Continuity: Capturing the 'Magie' of Maternity" di Gena Corea, The Mother Machine, The Women's Press, London 1988, p. 283-302. 3) Jacques Testart, L'uovo trasparente, Bompiani, Milano 1988. 4) Si veda in particolare Rosalind Pollack Petchensky, "Foetal lmages: the Power of Visual Culture in the Politics of Reproduction", in Michelle Stanworth (èd.), Reproductive Technologies, Polity Press, . Cambridge 1987. 5) Alcune considerazioni molto suggestive su questo punto erano state sviluppate da Giulio A. Maccacaro in un articolo del 1976, "È in arrivo il castigatore", ripubblicato nella raccolta dei suoi scritti Medicina e potere, Feltrinelli, Milano 1979, p. 262-265. • • • SCUOLA LATV IN CLASSE Andrea Rosso Pratico lo "zipping" senza imbarazzo; e per di più a scuola, con i miei studenti, sempre più spesso. Mi sono infatti reso conto delle singolari proprietà del testo "FF", quello che consente al nastro videoregistrato di accelerare e a noi di saltare pezzi del programma. Le origini dello zipping sono, direi, nobili e simpatiche: lo zipping degli spot, ultima delle autoriduzioni e unica delle censure ammessa da noi democratici elettronici, rappresenta una grossa preoccupazione per le aziende e i pubblicitari, piuttosto indispettiti da questo imprevisto sussulto di autonomia dell'utenza. Ma l'applicazione casalinga e antispot è solo una delle specialità dello zipping, una tecnica di difesa individuale. Lo zipping scolastico si pratica invece, in un certo senso, in gruppo. L'insegnante (scena di gratitudine fastidiosamente eccessiva degli studenti) porta gli allievi in aula TV. Fa partire il programma. Una produzione ·BBC/RAI: La vita sulla terra, E un programma molto bello, secondo me il migliore videotape di storia naturale oggi disponibile (e largamente utilizzato nelle scuole). Gli studenti, nella loro vita normale, non s'interrogano (come facciamo noi) sulle subdole tendenze egemoniche della TV (o dei computer, di qualsiasi generazione). Perché (a differenza di noi) conoscono TV e computer talmente bene, e li trattano infatti con tale naturalezza, da esserne serenamente immuni, a dispetto dei nostri allarmi disperati. Ma quando sono a scuola, il discorso cambia. La regressione che colpisce un po' tutti (presidi come insegnanti burberi, insegnanti come discoli allievi dei presidi, provveditori imbandierati da sindaci, bidelli-schiavi) ha sugli studenti l'effetto di precipitarli al nostro livello: credono alla TV. E se avete spento le luci in aula (configurazione a chiesa televisiva) voi insegnanti, già cancellati dal contratto e inghiottiti dal buio, scomparirete infine dalla memoria dei vostri allievi. No. Perché voi, come minacciosamente intima la pubblicità del- !' Alto Adige, sarete qui. Qui al videoregistratore, con le mani pronte a intervenire sui tasti. E quando il programma sarà al punto, poniamo, evoluzione· biologicaevoluzione culturale, voi (fermo-immaginerewind-zipping) vuoterete il sacco sul neocreazionismo americano e la sociobiologia. E mentre nel silenzio ancora accorto dell'uditorio voi esercitate propriamente la vostra funzione, lo schermo muto mostrerà il vo-

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