Linea d'ombra - anno VI - n. 30 - settembre 1988

IL CONTESTO CONSIGLI/SCONSIGLI ESTATEIN CITTÀ Grazia Cherchi Quest'estate non ho praticamente lasciato Milano, dove purtroppo l'afa, artigliando senza tregua, ha ridotto i vantaggi di una città semi-deserta: silenzio (si tornava a sentir chiacchierare gli uccelli), mezzi pubblici quasi vuoti e quindi velòcissimi (quasi da corsa), interventi rarefatti del telefono, che per una volta non veniva voglia di disinventare (anzi, ho ricevuto qualche telefonata addirittura divertente: ad esempio sono stata richiesta di articoli da un paio di rotocalchi a dir poco eccentrici rispetto ai miei interessi. Dopo aver rifiutato chiedevo: "Ma perché vi siete rivolti a me?". Risposta: "Per la verità, non trovavamo più nessuno in città ... "). I negozianti, seduti sul marciapiede su seggioline o cassette, erano più gentili del solito, disposti alla compassione-autocompassione, poche le "bestie giovanili" in giro a spintonare e turpiloquiare, e anche i non pochi "giù di testa" tendevano più al sentimentale che al delirante. Su un tram un qua- . rantenne seduto davanti a me, di colpo si è girato e mi ha chiesto, con voce forse un tantinello più alta del dovuto: "Non crede, signora, che io abbia il diritto di amare ancora una volta?" "Ma certamente", ho risposto, "e perché no?" "Ah, allora lei è d'accordo con me, che senza amore non si può vivere!" Tutto contento mi ha fatto un baciamano (per la verità un baciabraccio) ed è· sceso. Ah, avere la vena di Alberoni! Ne avrei tirato fuori almeno un paio di articoli. (A proposito di Alberoni e del suo articolo ogni lunedì sul "Corriere", Michele Serra ha scritto che è "l'unico articolo, nella storia del giornalismo, che abbia già in- . cartato l'insalata prima ancora di essere dato . alle stampe". Cito da Ridateci'la Potemkin, ' Mondàdori, in cui tra altri pezzi assai diver- . tenti, ne compare uno da antologia, Il peso i delle notizie, in cui si ride come ormai capi- ' ta sempre più di rado). Inoltre gli amici, nei loro passaggi, provenendo da luoghi inospitali e diretti verso luoghi inospitali, mi hanno tenuto come punto di riferimento (mai avuto _tanti inviti a pranzo come quest'estate) e per delicatezza mi hanno anche risparmiato il racconto delle loro peregrinazioni. Insomma, a parte il clima, un luglio non male. Anche perché, liberata in parte dalle letture obbligate (dal lavoro), con mia stessa sorpresa ero tornata a leggere come nei giovani anni: di tutto e alternando i libri. Ma proprio di tutto: ro14 betta e robaccia americana (che sia d'antan o no, è sempre sopravvalutata), i bellissimi Tre saggi su Balzac (Il Melangolo) di Henry James, un costernanle Pessoa einaudiano, la ristampa di un Wodehouse col suo Jeeves, gialli e polizieschi (tra cuì ho trovato molto grs1zi0sii racconti di Dorothy Sayers editi dalla Tartaruga), il mirabile saggio di Simone Weil, inedito in italiano, Nota sulla soppressione dei partiti politici (in "Diario", n. 6), ecc. ecc. Ma poi, ma poi, è arrivato il 28 luglio, cioè il cosiddetto "Caso Sofri" che mi ha ingombrato la mente, quasi come un'idea fissa. E mi sono arrivate madeleines a nugoli, anche nei momenti più imprevedibili, a volte delle vere e proprie torte in .faccia (ah, Adriano, quante volte in questi giorni ho ripensato a una tua frase in uno dei nostri rari e casuali incontri: "Grazia, non siamo mai stati così bene come oggi" e io a dirti che no, che non ero per niente d'accordo ... ). Che siano passati sedici anni da allora, lo si vede da fin troppe cose. Una, lillipuziana? Il tenore degli "appelli" pro-Sofri, tutti personalizzati, enuncianti fin dall'inizio affetto e stima, quasi parentali: anch'essi rispecchiano, come ha scritto Cesare Cases,, "il tramonto del collettivo". Dal 28 luglio è cambiato tutto nel ritmo delle mie giornate, letture incluse. Ho preso a correr giù di primo mattino a comprare i giornali (cominciando sempre la lettura dal "Manifesto", ii"che è sintomatico), e a leggere tra l'ansia e lo sbigottimento le cattive notizie quotidiane. che razza di articoli ci hanno propinato le gazzette! La palma del pezzo più orrido, grondante biliosa arroganza (e costellato per di più di "tonfi" culturali) spetta; co·n distacco, a Eugenio Scalfari ( Vae victoribus!, anche se è giusto segnalare che su "Repubblica" è comparso anche un bell'articolo di Paolo Flores), ma anche molti giornalisti della "Stampa" e del "Corriere" sono stati, senza sforzo alcuno, al loro peggio: disprezzo degli imputati e dei loro sodali, livida soddisfazione derivante da frustrazioni del passato, e compagnia brutta. Stupefatta e amareggiata mi sono allora precipitata a leggere - ero già in colpevole ritardo - Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in America (Editori Riuniti) di Peppino Ortoleva, per me il più bel libro uscito in Italia sul '68, anche per la ricchezza di angolazioni socio-politiche, la strumentazione dei punti di vista, la tumultuosa ricchezza del materiale raccolto in tutto il mondo (e qui voglio anche ricordare un altro bel libro sugli anni '60 e '70, Autoritratto di gruppo, Giunti, di Luisa Passerini, e, uscito nell'87, prima quindi di ogni celebrazione del ventennale, il limpido e rigoroso Cinque lezioni sul '68, Edizioni Rosso Scuola, di Bobbio-Ciafaloni-Ortoleva-PianciolaRossanda-Solmi) . Concludo con una nota lieta: sempre quest'estate ho letto, in dattiloscritto, il romanzo di un esordiente che uscirà la prossima primavera: per me è l'esordio narrativo più folgorante degli ultimi anni. Vi si parla - udite, udite! - dell'Italia e dei giovani d'oggi e - udite! udite! - ne è autore un redattore di "Linea d'ombra". Quindi, dopo Gad Lerner e Alessandro Baricco, un altro redattore della rivista ha ubbidito all'ordine di pubblicare impartito dal direttore carismatico. Il quale, in quest'occasione, precisa che ha deciso di concedere un turno di riposo agli esordienti e che adesso tocca a chi ha già pubblicato ...

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