funzionario, e quindi tutta la parte dell'intervista meglio risolta, più ricca di fatti inediti. Si sarebbe capito di più se l'intervistatore avesse insistito sui dettagli e i ruoli nella trattativa con la Ford, durante la quale l'interesse strategico della proprietà e quello tattico, o forse anche strategico, di alcuni dirigenti possono essere stati in contrasto. Poco si chiede e poco si dice sulla particolare situazione del mercato italiano su cui ci sarebbe, secondo alcuni studi, un considerevole sovrapprezzo su tutte le auto come conseguenza di un oligopolio consolidato e della (temporanea) assenza dell'unico new entrant che avrebbe interesse a fare una guerra dei prezzi, a crearsi una rete di distribuzione ecc., cioè i giapponesi. Vorrei aggiungere un commento che riguarda in particolare i "35 giorni" ma che in parte è estensibile all'intervista i intera. Il quadro di Romiti è esattamente identico a quello fornito da chi ha vissuto quell'inizio di autunno fuori dalle mura, accanto ai fÙochi dei bivacchi degli assedianti, agli ilari giovanotti che avranno guar.dato la macchina di Romiti passare lentamente nell'opposto controviale. Coincide persino il numero (2000) degli attivisti che si percepivano come militanti politici più che come operai (o che non erano operai affatto) che erano insensibili a qualsiasi danno economico, erano disposti a continuare all'infinito e perciò si ritenevano invincibili (uno di loro lo ha detto a me, sotto il palco del comizio di Benvenuto, quello di "O la Fiat molla o molla la Fiat" aggiungendo: "lo senti, lo senti che cosa gli abbiamo fatto dire!"). Avevano torto, naturalmente, a pensarlo. E Romiti aveva ragione. Proprio perché non avevano nulla da perdere, .ma gli altri sì, perciò erano soli, deboli e avrebbero perso. , Su questo non c'è niente da dire. ~ , Ma io avevo allora e mantengo adesso, dopo il libro di Marco Revelli e l'intervista di Romiti, dei dubbi non sui giudizi politici che sembrano ormai assestati ma sui fatti. Non so se i giovani con le barbe e le facce magre fossero DISCUSSIONE/CIAFALONI 2000, che è,diventato un numero magico, come 40.000, ma esserci c'erano di sicuro. C'erano però anche gli altri, quelli con le facce tonde, che avevano bisogni economici, che avevano paura, che fecero cortei diversi da quello dei quarantamila, che votarono contro l'accordo ma di fatto lo accettarono, come accettarono la nuova e accresciuta disciplina. Che cosa facessero quelli lì, anche prima del 1980 non è stato spiegato per bene. La versione dei giornali allora (il caos, la gente che fa quel che vuole, la minoranza sfaticata e anarcoide che impedisce alla maggioranza di lavorare) - derivata di fatto proprio dalla versione dei leader dell'agitazione, dei portavoce dei duemila, con cui tutti i giornalisti parlavano, presentata come la ripresa del controllo del proprio tempo da chi la condivideva e come la fine del mondo dagli altri - non mi ha mai convinto del tutto. Anche al tempo del caos con jolly, spostamenti, assenteismi ecc. è difficile credere che ci sia mai stata nei reparti di produzione una libertà analoga a quella che c'è in qualsiasi ufficio,.anche e soprattutto se ben organizzato. Durante gli anni e nei giorni dello scontro saranno stati progettati i nuoyi modi di lavorare, non solo i nuovi modelli, saranno stati ristabiliti rapporti di fiducia, comunicazioni, reti di collaborazione che poi hanno fatto in modo che tutto funzionasse da subito quando lo scontro è finito. Quelli con le facce tonde si sono adeguati anche perché c'era una qualche logica in ciò che gli veniva proposto e non solo perché si erano presi paura. Insomma mi piace pensare che alla Fiat ci sia stato non solo uno scontro tra capi in cui ha vinto il generale che è riuscito a disunire i' generali avversari, anzi ad avere dalla sua -quasi tutti i generali avversari contro i colonnelli (cosa che senz'altro è anche avvenuto) ma anche uno scontro su un mutamento organizzativo, in parte jnevitabile. E mi piacerebbe sapere cosa c'è di vero e di falso nel poco che mi immagino e nel moltissimo che non mi immagino neppure lontanamente. L'intervistato e l'intervistatore mi fanno fare pochissima strada. Peccato. Sarà per un'altra volta. 13
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