DISCUSSIONE/SOKOLOWICZ parati amministrativi ... ); oppure che: b) l'abbattimento delle barriere architettoniche "discende" dalle riforme "di struttura". Dunque, come sempre quando si giunge a passaggi decisivi, la questione della politica è, essenzialmente, questione di tempo: e la collocazione in calendario (quando? in quale ordine gerarchico?) dell'obiettivo definito "abbattimento delle barriere architettoniche" è ciò che consente di individuare amici e avversari. Dovrebbe essere chiaro che quanto detto è altra cosa dalla linea "state cheti, se potete" che va da don Bosco a un certo migliorismo liberal-comunista. In altre parole, fare ordinatamente una fila all'anagrafe è, senza dubbio, un'azione "rivoluzionaria" nelle condizioni date, ma a una condizione: che si sappia quanto costa. E non in termini di bon ton: bensì in termini di lotta politica, senza esclusioni di colpi, per una diversa razionalità nella pubblica amministrazione. Insomma, il fatto che dall'orizzonte della politica siano scomparse la rivoluzione e l'appropriazione violenta del potere non è sufficiente a togliere tragicità alla sfera dell'azione pubblica: e il fatto che la posta in gioco sia quella fila all'anagrafe e non il "potere operaio in fabbrica" (che pure resta questione decisiva) non riduce la lacerazione che il "conflitto per la fila" comporta. Fare ordinatamente quella fila e, tendenzialmente, ridurre il tempo di lavoro da essa richiesto non è "più facile" della rivoluzione socialista: se abbiamo capito qualcosa di cos'è politica.e cos'è potere nelle società del post-welfare, constateremo - e non paradossalmente - che è ''più difficile''. Ma, con ogni probabilità, più produttivo: più remunerativo in termini di incentivi economici e morali da distribuire equamente tra i cittadini. E, dunque, più gratificante e addirittura più bello. NOTIZIEDALCILE Joaqu(n Sokolowicz Santiago, 31 luglio 1988 Tutto daccapo, per l'opposizione, dopo quindici anni di dittatura e mentre Pinochet si accinge a proclamarsi successore di se stesso per altri otto. Quale che sia il risultato nelle urne, ammesso e non concesso che il dittatore sia disposto a riconoscere qualcosa di diverso dalla propria riconferma alla testa dello Stato, la lotta contro il regime è entrata in una nuova fase. "È un'ingenuità dell'opposizione immaginare di poter vincere il referendum", ha detto il professore Marcelo Mancilla, un ex democristiano che da dieci anni insegna Scienze politiche ali' Accademia Militare di Santiago. Tuttavia, la compattezza insolita raggiunta in questi ultimi mesi dalla maggioranza dello schieramento antigovernativo, sia pure attorno a obiettivi limitati, prospetta un rilancio delle battaglie politiche su basi più solide, dopo che a lungo i contrasti 8 Foto di Christopher Morris (Black Star/Grazia Neri). fra i partiti e all'interno di ciascuno di essi sulla strategia da seguire hanno favorito la paralizzante sensazione che "la guerra fosse finita''. Non che gli ostacoli sulla via verso la svolta saranno facilmente superabili nel prossimo futuro, ma l'alleanza di 16 partiti impegnati oggi nella campagna per il "No" da opporre all'unico candidato ammesso dai meccanismi del regime, appunto il generale-presidente, può diventare un fattore di pressione effettiva dentro il Cile e sul piano internazionale. Pressione per non darla definitivamente vinta al dittatore dopo che avrà formalizzato - com'è prevedibile - la sua decisione di permanere installato al Palazzo delìa Moneda almeno fino al 1997. Copre quasi l'intero spettro politico che va dal centrodestra alla sinistra, questo fronte: dai democristiani - ora guidati dalla destra interna di Patricio Aylwin - ai diversi raggruppamenti della frammentata famiglia socialista, dai repubblicani ai radicali, ai socialdemocratici, i cattolici di sinistra, una parte dei comunisti. Polemizzano i dirigenti del PC contrari a tale scelta: "Accettare la legalità della dittatura vuol dire aiutarla a perpetuarsi al potere". Sostiene invece il segretario della Conferenza episcopale, Monsignor Sergio Contreras: "Una possibilità di via d'uscita è meglio di niente". Significa accettare le regole del giocò imposte da Pinoch~t, infatti, la partecipazione al voto con il previo appello ai cileni perché si rechino negli uffici governativi ad iscriversi nei nuovi registri elettorali, mentre restano in vigore lo "stato di emergenza" proclamato con il colpo di stato del 1973 e il divieto al rientro per moltissimi esuli. È che non ci sono alternative plausibili nell'offensiva contro il regime, salvo la lotta. armata. A questo ricorso, però, si oppone la grande maggioranza delle forze politiche, anche perché il rischio di una situazione incontrollabile allontanerebbe anziché avvicinare la possibilità di un appoggio americano agli sforzi tendenti a una. "transizione". Inoltre, il rifiuto a forme radicali di resistenza è una èarta usata per negoziare con le formazioni della destra politica, che da parte loro sono travagliate da preoccupazioni per l'eventualità di controproducenti scosse rivoluzionarie provocate prima o poi dal prolungato accentramento del sistema sul potere di un uomo. Finora, "giornate di protesta" e scioperi contro la dittatura hanno lasciato le cose come stavano, mentre in Italia telespettatori e lettori di giornali si domandano come mai il regime di Santiago non sia stato ancora sommerso dalle successive valanghe di opposizione che ci vengono riferite. Una logica giornalistica aberrante trasmette spesso un'informazione incompleta, quindi faziosa, che impedisce di captare quella che è la realtà: cronisti di sinistra che intendono l'impegno come un dovere di sistematica diffusione di ottimismo quanto alla prossimità di una vittoria popolare anche se sulla base di fatti scarsamente rilevanti - forse per far piacere al proprio referente politico? -, oppure coloro che in effetti fanno i portavoce della DC nostrana e internazionale, disinformano. Il loro lavoro è anche controproducente ai fini di un sostegno esterno alla lotta dei cileni per la libertà, che necessita di una comprensione delle cose così come realmen-
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