Linea d'ombra - anno VI - n. 29 - lug./ago. 1988

DISCUSSIONI/BARINONI sione" che si è in diritto di pretendere. Quella è cronaca. Passiamo all'altro estremo: i libri di musicologia. Qui il discorso è più complesso. Il livello di tali lavori ha ormai da decenni abbandonato il limbo di un romantico pressapochismo dotto. C'è in giro molta autorevole erudizione, un certo abbottonato scientismo, e un rigore metodologico apparentemente impeccabile. Gran parte dello sforzo si indirizza verso la ricerca storiografica. Si dissolvono falsi luoghi comuni rimasti in piedi per decenni, si mettono a fuoco sempre più capillarmente le più diverse anse del repertorio. Si sciorinano talmente tante verità (rigorosamente documentate) che quasi non resta spazio per l'immaginazione. Si sono ormai ridotti al minimo i margini per qualche salutare equivoco. Tutto ciò ha l'aspetto di un collettivo, affascinante lavoro da cartografi: si redigono mappe sempre più accurate, dando una fisionomia verosimile anche alle regioni più inesplorate. Ha il sapore di una bella avventura: ma niente riesce a togliermi dalla testa che si tratta di qualcosa di sottilmente ma inesorabilmente inessenziale. Non dico inutile: inessenziale. Questo voglio dire: che a nulla serve conoscere il passato se si resta incapaci di decifrarvi la complicità con le ferite del presente. La tradizione musicale è disseminata di schegge di Senso figlie della stessa esplosione da cui ci curiamo qui e ora. L'opera musicale e colui che, adesso, l'ascolta sono il prodotto di un'unica, comune offesa ..Nell'emozione dell'ascolto riverbera, istintiva, la prova di una sotterranea famigliarità. La si sente, inequivocabile. Eppure: non si riesce a scriverla: cioè a farla affiorare fino alla superficie del Senso. Questo sì sarebbe essenziale: rivoltare la scrittura musicale fino a dissotterrare delle orme che si riconoscono come proprie. Le nostre orme. Come diceva Baudelaire: "C'est là que }'ai vécu ... " Nulla è davvero essenziale in un'analisi musicale se non ciò che lavora a risuscitare simili correspondences. Tutto il resto è pura archeologia accademica. Hobby da antiquari. L'ESPERIENZAESTETICA Mario Barenghi A prima vista può sembrare paradossale, eppure è un fatto. Il mondo moderno, che tanto spesso ci appare infestato da brutture d'ogni genere e talora addirittura stravolto dal cattivo gusto, è un mondo in cui la funzione estetica ha assunto un'importanza straordinaria. La società dei consumi, la società dello spettacolo e dello spreco, vive di immagini: e perciò esprime un'aspirazione, non sempre schietta, ma incessante e perfino spasmodica, verso la bellezza. Oggigiorno ogni cosa appare investita dalla funzione estetica. Non solo, com'è naturale, i beni durevoli o dotati di un ovvio valore simbolico - come il mobilio o i capi di abbigliamento - ma anche gli oggetti d'uso più spiccioe umile, gli strofinacci da cucina, i car94 tocci del latte, i tovaglioli di carta. Beninteso, non si tratta di un fenomeno nuovo, in linea di principio. La funzione estetica ha sempre condizionato le attività umane di comunicazione e di scambio: il commercio, segnatamente, non ha mai mancato di conferirle un rilievo specialissimo. Dovunque ci sia compravendita, c'è anche vetrina; e la vetrina sarà tanto più curata, quanto più agguerrita la concorrenza. In fondo anche le fantasiose formule imbonitorie degli ambulanti non miravano ad altro che a tentare le corde estetiche delle massaie (e solo involontariamente, e in via d'eccezione, quelle del sommo romanziere intento a rievocare /es cris de Paris dalla sua stanza di sughero). È questo un meccanismo universale: dovunque esista beneficio di scelta, è inevitabile si faccia ricorso a valori estetici, sia come espedienti persuasivi, sia come parametri di giudizio. Il mercato, in altre parole, al pari di altri istituti sociali (come la religione), tende a estetizzare la realtà, e poiché oggi tutto sembra assumere carattere di merce, tutto appare anche, di conseguenza, estetizzato. In questo senso non c'è dubbio che la pubblicità esprima davvero lo spirito dei nostri tempi, ed eserciti un influsso decisivo non solo sulle scelte dei consumatori, ma anche, più in generale, sull'immaginario collettivo: cioè sul modo di percepire e di concepire la realtà, sul modo di parlarne (e di parlarla), di appropriarsela, o di estraniarsene. L'esaltazione parossistica e l'esasperato sfruttamento della esteticità non ha peraltro reso il mondo "più bello", ma soltanto sottoposto la nostra sensibilità a una sollecitazione senza precedenti. Gli esiti sono stati, come prevedibile, contraddittori. Da un lato, cercando di far apparire quante più cose possibile quanto più possibilegradevoli e attraenti, la società moderna ha anche inventato il Kitsch; dall'altro, in virtù di quella che potremmo chiamare "la legge di Mida" (cioè per effetto di saturazione), la celebrazione indiscriminata del bello ha finito non solo per logorare rapidamente i canoni di bellezza tradizionali, ma per svalutare e involgarire l'idea di bello in sé. Nessuna sorpresa allora che l'arte, luogo privilegiato di espressione e di orientamento della funzione estetica, si sia trovata in preda a un'inedita crisi d'identità. Minacciata dall'improvvisa fortuna dell'estetico - che trascinava con sé, come intimo e necessario contraltare, l'inestetico (cioè il brutto) e come propria specifica negazione quello che potremmo chiamare l'anestetico (cioè la perdita di sensibilità verso l'opposizione bello/brutto almeno nella sfera delle attività umane: donde l'attuale estetizzazionedi tutto ciò che è naturale) - l'arte dicevo, ha spesso cercato rifugio in altri domini. Molti artisti si sono sdegnosamente rifiutati di assecondare i gusti invalsi, puntando su apparenze (più o meno scandalose e polemiche) di sgradevolezza; e, parallelamente, autorevoli pensatori hanno teorizzato le implicazioni mistificatorie del piacere estetico in quanto tale. Una parte ragguardevole della prassi e della riflessione artistica novecentesca ha così individuato la propria ragion d'essere a partire da funzioni diverse da quella estetica - prima fra tutte, la funzione conoscitiva (e su questo terreno finirono per incontrarsi, loro malgrado, Adorno e Lukacs).

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