Linea d'ombra - anno VI - n. 29 - lug./ago. 1988

STORII/ZORZI Giovani contadini (foto di August Sander, da I volti della società, Mazzotta 1976). fissa con occhi strani. Non sopporto quella vista e cerco un posto appartato. Nel sedermi altre monete cadono a terra. Stavolta le lascio perdere. Ne avevo davvero tante ... Con esse avrei potuto disegnare triangoli quadrati cerchi, tutte le figure possibili. Ma ero stanco e triste. La mente errava a suo piacimento. Da giovane mi capitava sovente di essere scambiato per un altro. lo fremevo di rabbia dentro, e loro a scusarsi che la somiglianza era perfetta. Com'era possibile che la gente avesse così poco spirito di osservazione! Forse nemmeno interesse. In uno scatto affondo le mani nelle tasche e incomincio a scagliare lontano tutte quelle monete. Stravolto osservo quel cimitero di monete scoperte. Mentre abbandonavo il giardino alcuni fanciulli vi facevano chiassosamente ingresso. L'uomo non c'era più. In un'edicola del centro il giornalaio mi ha fatto sedere su un panchetto. Ho raccolto qualche soldo e voglio andar via. Per ringraziarlo compro un giornale che getto nel più vicino contenitore di rifiuti. L'agitazione mi consuma. Nella stazione ferroviaria tremo di freddo come un bambino. Appoggiato a un pilastro guardo i viaggiatori salire sui treni. Il rumore delle porte che si chiudono mi fa sobbalzare. Non resisto più. Ma già è notte e io posso andar via. Stamane fermo a un semaforo in attesa che apparisse il verde, foglie senza vento cadevano su di me lievi e uguali. Ho sorriso al sole. Nel levare una foglia dai capelli ho perduto l'equilibrio. Ho visto due grosse ruote passare sulle mie gambe. Nella stanza d'ospedale ho contato sei letti tutti bianchi. All'infermiera che mi faceva l'iniezione ho chiesto del mio ombrello. Poco dopo sono arrivati i medici. Uno ha incominciato a tastare la gamba sinistra. lo ho detto che quella non mi doleva ma la destra. Lui mi ha sorriso, apprezzava molto il mio interessamento, però non dovevo essere io a insegnargli quel che doveva fare. lo non ho detto più nulla. Ho guardato fuori della finestra i colori delle macchine che s'incrociavano in un punto. Ho sentito un rintocco e poi un secondo. Erano undici, e ho pensato che a quell'ora suonava sempre la campana della ricreazione. &ASCATOLADASCARPE Rolando Zorzi L udwig era un signore anziano straniero che abitava nella casa accanto. Parlava l'italiano senza accento tedesco e il tedesco senza accento italiano. Ludwig era un uomo educato, veramente educato. Era stato con Marisa per anni, decenni, a una calibrata distanza di sicurezza fino alla fine. Dopo il funerale stava servendo caffè e liquori ai partecipanti al rito in casa della defunta. Sopra il fumo delle tazze incrociava qualche sguardo fatto per sfuggirsi, tra i bicchierini alitava qualche frase fatta e sommessa che non manca mai alle esequie. Poi strette di mano per tagliare fili di affetti dovuti ai dolenti. Rimasti soli noi due, Ludwig fece una mossa, uno scarto dalla sua educazione. Prese il vassoio d'argento e rovesciò la montagnola di buste in una scatola. Messo il coperchio, sopra scrisse CONDOGLIANZE, con uno sguardo come dire a chi lo guardava: È compito tuo rispondere. Quindi mi disse versando da bere: "Sai cosa c'era in questa scatola?" •'È una scatola da scarpe'', risposi con un sorriso da ebete, non capivo. "Se le è comperate tre giorni fa, ma non ha avuto la grazia di metter le". "Le scarpe?" "Sì. Gliele ho messe io, dopo averla vestita. Non ho mai capito 90 perché lì vestono e non gli mettono le scarpe. Mi fa pena pensare a quei piedi lì nelle calze, con quell'aria così misera". In un lampo lo vidi di là a vestirla, in camera sua. Le infilava le calze, il reggiseno, la sottoveste, la camicetta, il tailleur. Le braccia che lo avevano abbracciato gli cadevano da ogni parte sul letto, a lui, che era stato il suo amante, che chissà quante volte l'aveva svestita. "Che hai da guardarmi in quel modo?" mi disse. "Niente. Ero soprappensiero". "Aveva ancora dei bei piedi, sai", riprese dopo aver versato di nuovo da bere. "Da ragazza devono esser stati stupendi. lo li ho visti una volta, anni fa, in un museo di Praga ... No, non guardarmi in quel modo, non sono ubriaco". "Mi chiedo di che stai parlando". "Di un quadro. Te ne ha mai parlato?" "No, mai". "Lei voleva rivederlo, quel quadro, ma aveva un certo timore, e così il viaggioa Praga è sempre stato rimandato ... Ma te ne avrebbe parlato, un giorno o l'altro". "Puoi farlo tu, adesso". "È una storia lunga, e io ne so poco". "Sempre più di me". "Beviamo, prima". Insieme alzammo i bicchieri alla salute eterna della donna scomparsa. Poi Ludwig partì con quel che aveva da dire di lei: "Avrà avuto quindici anni alla fine della guerra, l'altra guerra. Allora la valle era Austria, impero, e in paese, all'Hotel Vittoria, c'era lo stato maggiore ormai in disfatta. In giro si vedeva spesso un ufficiale di cavalleria con pennelli e colori, un boemo che da borghese faceva il pittore. Non dipingeva paesaggi, ma persone. E voleva fare anche il ritratto di una ragazza dell'altopiano, di quelle che andavano a piedi nudi da San Giuseppe a Tutti i Santi, capisci?" "Capisco". "Cos'è che capisci?" "Che andavano scalzi i ragazzini, lo so, da San Giuseppe ai Santi. Sette mesi all'anno". "Vedo che sei forte in matematica. Anche in fisica?" "Che vuoi dire?" "Se sai perché andavano scalzi". "Per non consumare le scarpe, penso". "Gli zoccoli". Educatamente Ludwig cominciava ad attaccare. Perciò gli dissi a bruciapelo: "Con la scusa dell'arte il boemo si faceva le ragazzine della valle, o mi sbaglio?" "Anche fosse, lui almeno le faceva sentire importanti, e ha fatto un bel quadro. Va' a Praga a vederli, i piedi della nostra donna". "E il resto?" "Il resto non era suo. Il busto e l'ovale del viso li aveva presi da due sue coetanee". L'anziano signore austriaco si stava versando un'altra volta da bere. Al che gli dissi: "Scusami, Ludwig. Andremo a Praga insieme".

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