la persiana: dentro di me, l'ho maledetta per l'eternità; poi, nella rabbia, ho trovato la forza di scrivere la seconda lettera. L'ho messa in una busta, ho appiccicato il francobollo e l'ho fatta spedire. Speriamo che arrivi in fretta. E se poi il tempo e il destino fossero la stessa cosa? Con la posta di stamattina, ho ricevuto una lettera anonima piena di minacce. Dicono che la mia ora è giunta, che mi uccideranno presto, che ormai per me è tutto inutile. Lo stile è tipico di una lettera di questo genere, eppure c'è qualcosa che non mi persuade, come se chi l'ha scritta tentasse di nascondere un'indomabile perizia sintattica. Ho riflettuto per qualche tempo, poi ho telefonato alla polizia: volevo, più che altro, poter contare su un testimone. Ho chiesto di parlare col commissario Vincenti, che conosco dai tempi dell'università. Amedeo è stato gentilissimo e mi ha mandato subito un agente. Adelaide, molto spaventata, ha persino tirato fuori dall'armadio una bottiglia di mandarinetto che custodisce come una reliquia e ne ha offerto un bicchierino all'appuntato. Alfano, si chiama. lo gli ho raccontato quel poco che c'era da raccontare e lui, alla fine, ha voluto vedere la lettera. L'ho cercata per tutta la stanza, ho chiamato anche Adelaide, ma non l'ho trovata. - Era qui, sul tavolo - ho mormorato. Alfano ha dato un'occhiata in giro, poi ha scelto un tono lieve, ma serio, e ha detto: - Non si preoccupi, non c'è problema. - Mi ha teso la mano e se n'è andato. Non ho avuto nemmeno la forza di accompagnarlo alla porta. Verranno domani, verranno tutti domani sera. Mi ha telefonato Alfredo e mi ha preannunciato la visita. - Verranno anche Francesca e Roberto - ha detto alla fine, come se stesse aggiungendo un particolare. Ha consentito che un breve silenzio precedesse la mia risposta. - Preferirei evitare di rivederla. - Non ha neanche aspettato che finissi la frase, voleva impedire ai miei pensieri di coagularsi troppo. - È importante che lei venga. Cerca di abituarti all'idea. - Ha riagganciato, lasciandomi solo con i disturbi della linea. Mi sono sprofondato nella poltrona e ho pregato Adelaide di portarmi una camomilla. Ho notato che prova un certo imbarazzo nei miei confronti; esita a parlarmi e, quando lo fa, vedo i suoi occhi pieni di ombre come se si fossero affacciati a un pozzo. Credo che si senta in colpa verso di me, ma che non possa confessarlo neanche a se stessa. lo, invece, mi sento come una fortezza assediata dal nulla, come se una luce di piombo avesse cupamente illuminato la mia apatia. "Ho cercato un'immagine senza significato per addormentarmi, un pensiero vuoto". Ho cercato per tutta la notte, poi il giorno, che era sembrato tardare tanto, si è spalancato come una porta aperta all'improvviso. Mi sono alzato con la bocca impastata, teso come una corda. Meno male che il caffelatte era caldo al punto giusto: ogni tanto Adelaide ... -Pomeriggio grigissimo, pioggerellina senza requie."'sono arrivati tutti insieme. Roberto si è subito seduto sulla mia poltrona e Antonio mi ha chiesto per l'ennesima volta come stavo. - Benissimo - ho risposto. Davvero patetico. Stavo guardando, alle spalle di Alfredo, Francesca che era appena entrata nella stanza dopo aver salutato Adelaide. Aveva gli occhi lustri, pieni di riflessi di luce. Mi ha baciato l'aria vicino alle guance e si è seduta sul divano. · STORIE/SOLINAS Che silenzio. È restato muto anche Alfredo, lui che è un vecchio specialista di frasi brillanti. La pioggia era diminuita, dalla casa si distinguevano nitidi i vari rumori che compongono la città, acquattati nell'aria grigia. Antonio, molto imbarazzato, si è spostato verso la finestra: la luce gli ha ritagliato il profilo con una crudeltà minuziosa. Quando è arrivato l'appuntato Alfano, ho capito che lo stavano aspettando: solo allora si sono tutti disposti ordinatamente nella stanza, quasi costringendomi a sedermi alla scrivania. Alfredo, con un guizzo malizioso delle sopracciglia, ha iniziato a parlare, usando quel tono di buonanimo, un tanto offensivo, con cui si parla ai malati. All'inizio non sono riuscito a fare attenzione a quello che diceva; ho osservato i suoi gesti ampi e vaghi, l'ostinato simulacro di sorriso che gli si è disegnato sulle labbra. Poi pian piano ho capito e, nel panico, mi sono girato verso Francesca per leggerle negli occhi: erano nudi, ma mi tenevano lontano. Erano vigili e cauti. Sentivo che era avvenuto qualcosa di irrevocabile, ma non ho fatto una piega. Ho ascoltato con molto aplomb Antonio che mi parlava in termini davvero lusinghieri del dottor Riva: naturalmente, lo facevano per il mio bene. - D'altronde - ha aggiunto Roberto, - non avresti dovuto cercare di spedire quelle lettere ... - Antonio avrebbe voluto fulminarlo, ma ormai era troppo tardi. L'appuntato Alfano, sorridendo, ha tirato fuori dalla borsa le mie due lettere: le ho riconosciute dalla busta azzurrina. "Maledetta Adelaide", ho pensato. Immobile come una statua al centro della scena, ho cercato per l'ultima volta lo sguardo di Francesca, ma lei ha nascosto il viso dietro un'espressione completamente vuota. Mi è dispiaciuto più per lei che per me: io lo so che non si può né amare né odiare il proprio destino. Fuori, la pioggia è cessata del tutto, l'ultimo chiarore si è sgranato sui vetri appannati. - Preparo le valigie - ho annunciato. RACCONTO Salvatore Solinas 5 ono vecchio e mendico. Bella la risposta! L'ho coniata col frivolo proposito di stupire chiunque mi chiedesse chi sono io. Non è finora avvenuto che la dicessi ad alcuno. Ma per me fa lo stesso. Da quel momento me la vado ripetendo ad ogni istante. Non mi stanco mai. È una blanda ossessione che mi distoglie dai pensieri più gravi. Non sonò più certo se lo siano ancora, ma temo che senza quella chiusura i miei giorni sarebbero infelici. Ho dimenticato i nomi di tutti. Solo poche volte mi sovviene per caso il mio. lo allora lo scrivo subito su un pezzetto di carta. Non ne ho mai ritrovato uno. Un giorno intingerò l'indice nell'inchiostro e lo scriverò sul muro di fronte alla porta. Dall'alto in giù. Le lettere orizzontali mi parrebbero ombre di condannati in attesa di venire fucilati. Il nome obliquo, specie se lungo come il mio, suscitava in me l'emozione di uccelli che s'alzassero in volo uno dietro l'altro. Però io di nomi ne avevo due, solo che il seconcfo""t6abor,rivo e nori· l'ho mai considerato mio. Quando era necessario che lo scrivessi insieme col cognome, allora assolveva in modo egregio alla sua funzione di allungare la firma e perciò il volo. Era rispettabile e dava lustro alla mia persona. Ma io lo trascuravo affatto o di lui rimaneva talvolta l'iniziale col puntino allato. Era strano e mi divertiva vedere che la mia firma disposta in determinati modi poteva formare un ventaglio che s'apriva a piacere o un soffietto. Com'era bianca la prima pagina! Il quaderno appena comprato odorava di tinta fresca. 87
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