Linea d'ombra - anno VI - n. 29 - lug./ago. 1988

STORII/BONASSO Gli antropofagi convertiti furono una minoranza. La maggior parte non aveva alcuna possibilità di ritorno all'umanità. Molti erano stati corrotti nel corso del lavoro, o si erano dedicati a quel lavoro perché già corrotti. Que)li che avevano delle perplessità, gli antropofagi convertiti, non differivano molto dai guerriglieri falliti. ammazzerà. Se ci lascia vivi c'è qualche motivo ... e l'unico modo per sottrarsi è fuggire"; Era convinto che il suo progetto fosse giusto e, conscio delle grosse difficoltà che avrebbe incontrato nel metterlo in pratica, si concentrò nella lettura delle riviste. Il suo lavoro nell'archivio lo gratificava con la vorace revisione di quanta carta stampata cadeva nelle sue mani, e lui lo aveva battezzato come "la fuga verso la realtà". Nonostante gli competesse solo la revisione delle riviste, cercava di leggere tutto ciò che passava per l'ufficio, anche i cablogrammi e il materiale che il Partito produceva all'esterno. Da buon lettore sapeva distinguere quel poco che i giornali scrivevano tra le righe; confrontandolo con ciò che si diceva, senza alcuna reticenza, ali' estero, tracciava un "quadro della situazione" che non suppliva alla "mancanza di linea" o alla discussione nell'ambito del Partito, però gli permetteva di controllare ciò che succedeva in Argentina con una maggiore informazione rispetto all'immensa maggioranza degli argentini liberi. La gran profusione di materiale stampato aveva convertito l'archivio in un luogo di riunione spontaneo degli abitanti dell'oltretomba. Sequestrati e ufficiali della marina convergevano lì per passare il tempo, prendere un mate o un caffè e dare un'occhiata a qualche rivista. Poco a poco si era convertito in luogo di riunione dell'ESMA, la scuola marina dell'esercito. Spinti dalla gran vocazione nazionale alla ciarla, gli argentini torturatori conversavano instancabilmente con gli argentini torturati. I primi, logicamente, godevano di maggiore libertà nell'esporre le proprie opinioni, mentre i secondi dovevano sempre modificarle con un atteggiamento sfiduciato, per dimostrare che si stavano "recuperando" e che potevano tornare ad essere "utili" alla società. Con il passar del tempo anche questo cambiò e i torturatori cominciarono a truccare le proprie opinioni per non sembrare "reazionari", "gorilla", o "oligarchi". E così, mentre un sequestrato che aveva passato la vita a studiare gli effetti della polvere esplosiva faceva professione di fede al parlamento, un ufficiale della marina che odiava Per6n da quando andava all'asilo-doveva ammettere che "aveva fatto molto per il popolo". La comunicazione, che dall'esterno si sarebbe ritenuta impossibile, era facilitata dalla comune estrazione di classe, in un universo illusorio di identiche abitudini e persino di identici pregiudizi che un imbecilleavrebbe definito "l'identità nazionale". Attento osservatore del fenomeno (e vittima delle conseguenze) Mateo lo aveva sintetizzato in una frase arguta: "Il piccolo borghese è instancabile nella creazione degli archetipi opposti: può produrre sumultaneamente Poi Pot o Nixon". Nei lunghi pomeriggi d'autunno, quando il freddo si impadroniva di "Capucha" e della "Pecera", e le ore si allungavano crudelmente, era normale vedere Cuervo Astiz che leggeva "Siete dias" o Puma Perrén che se la spassava con le foto di "Gente". La forza di attrazione di quel sostituto del caffè o del club, di quella terra di nessuno dove si mescolavano le illusioni e le idee, i rancori e gli affetti di coloro che si erano combattuti fino alla morte, era così forte che nell'archivio apparivano persino quelli a cui era stato esplicitamente vietato ogni rapporto con i prigionieri e anche quelli che non ispezionavano più il "Gruppo di Lavoro". Era difficile prevedere quali mostri avrebbe generato una simile unione e che·influenza avrebbe esercitato un tipo di vita sull'altra. A priori, chi ha avuto la fortuna di non oltrepassare i portoni della scuola, potrebbe garantire che l'influenza "determinante" era quella dei carcerieri. La realtà, però, non è così semplice. O, comunque, tutte le regole ammettono eccezioni. E il caso volle che certi centurioni della ESMA finissero come quei legionari romani, rozzi e primitivi, che un bel giorno si svegliarono, con sorpresa e rispetto, nel mondo ellenico che avevano sconfitto. Molti ufficiali della marina credettero fermamente nella logica che li portò a uccidere mentre dominava senza discrepanze la legge dello sterminio. Però quando si dedicarono all'antropofagia, quando iniziarono - come certe tribù - a "mangiarsi" le proprie vittime, per acquisire la scienza e il valore del vinto, qualcuno entrò nel "looping" di angustia che estirpò in lui la volontà di combattere. Certamente gli antropofagi convertiti furono una minoranza. La maggior parte era esaltata dalla grandezza delle proprie azioni durante la campagna repressiva e non aveva alcuna possibilità di ritorno all'umanità. Molti, inoltre, erano stati corrotti nel corso del lavoro, o, forse, si erano dedicati a quel tipo di lavoro perché già corrotti. Però quelli che avevano delle perplessità, gli antropofagi convertiti, non differivano molto dai guerriglieri falliti. A tale sottogruppo apparteneva il Chispa. Il Chispa non lavorava più nel GT/32 (Gruppo di Lavoro 32), nonostante fosse stato uno dei più fanatici e dei piu abili ricercatori. Gonzalo Sanchez (questo è il suo nome) amava il mare, ma rimase sulla costa a lavorare in Prefettura. Era architetto navale, perché gli piacevano le navi e le costruzioni marittime, ma finì per fare l'assassino. Quando raggiunse le punte massime del terrore, commise la viltà di innamorarsi della vedova di un nemico e fu rovinato per sempre. Era giovane allora, aveva meno di 30 anni. Bruno, corpulento e atletico, solitamente aveva i baffi neri, molto folti. Insieme al Cuervo Astiz era stato )"'operatore" più audace, il più efficiente. I "federali", che disprezzavano gli ufficiali della marina nel '76 perché li vedevano molto moderati nella controrivolta urbana, avevano rispetto per il Chispa. E lo allontanarono quando, nel marzo di quell'anno, abbandonò il GT per inserirsi in un corso di polizia. Ignoravano che, molto probabilmente, lui stesso avrebbe chiesto di essere esonerato, o che il Tigre e gli altri capi, una volta resisi conto dei suoi dubbi, avrebbero deciso di esonerarlo. Il Chispa compiva una sorta di pellegrinaggio al centro delle sue angosce e perplessità per cercare il motivo del cambiamento irreversibile avvenuto in quell'ultimo anno di vita. E ogni volta che tornava al suo destino avvertiva con rammarico che il peso era maggiore, che la ferita, lungi dal chiudersi, lo stava lasciando esangue. 81

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