si oppone alla bur.ocrazia? I dolci, i teneri, i deformi, gli ubriaconi, gli esseri della natura. Il mio cammino, dal villaggio all'università, avrebbe dovuto fare di me un burocrate. Se non fossi stato scrittore, avrei potuto essere ministro ... Ma avevo la volontà ostinata di allontanarmi da questa via. È la nascita di mio figlio che mi ha rivelato il vero cammino della mia vita. Nel mio caso non si tratta· affatto di benevolenza umanitaria verso i minorati. Credo semplicemente di essere nato dalla parte dei minorati. È un 'altra forma di periferia. Geograficamente, sono nato in una regione periferica. Culturalmente, amo tutto ciò che è periferico. E nella mia vita familiare, ritrovo dunque il mio tema prediletto. Non c'è una differenza fra lo scrittore che lei è e l'istituzione che lei rappresenta? Una cosa è certa: non sarei membro dell'Accademia delle Arti e non riceverei medaglie. Non ho intenzione di diventare uno scrittore dell'establishment. Ricevo attacchi insistenti. Mi piace molto essere attaccato. Probabilmente perché mi sento a disagio all'interno dell'establishment. Lei ha scritto nel 1965 un testo intitolato Il diritto di rompere con il Giappone. A che punto è, a questo proposito? È solo su questo terreno che mi sento istituzionale. Mi sento responsabile, in quanto· giapponese di cinquantadue anni, del Giappone, della sua politica e della sua economia. Faccio molte critiche a questo riguardo, anche se non mi considero in una "situazione" di critica. Rispetto alle critiche rivolte dalla Francia al Giappone, voglio assumermi le mie responsabilità. A parte ogni considerazione di politica interna, non pensa che in questo momento il Giappone sia piuttosto oggetto di elogi da parte dello straniero, soprattutto in campo cultura/e? Lei trova? Non credo che lo straniero apprezzi davvero la cultura giapponese. Almeno, questa cultura, come io la concepisco, non mi sembra che sia capita in Europa. Piuttosto è negli Stati Uniti che è meglio percepita. Ora, gli americani considerano piuttosto i giapponesi come dei nemici. È la guerra economica. C'è ugualmente un problema di razzismo: immaginate un francese e un giapponese a New York. È il secondo che subirà una discriminazione. Ma malgrado tutto, penso che gli americani comprendano bene i giapponesi. Del resto a me piace fare dei corsi nelle università americane. In compenso, di che cosa 's'interessano i francesi? Dell'esotismo di Mishima. E quando vedo qualcuno come il romanziere Kenji Nakagami conversare con Derrida, egli porta l'aura dell'esotismo giapponese per potere conversare con un francese. Letteratura come contestazione della cultura. A proposito di orientalismo, mi piacerebbe interrogarlasu INCONTRI/OE questa idea che molta gente si fa della letteratura, in particolare della letteratura giapponese. Questa gente pensa che la letteratura sia una rappresentazione della cultura, e, in quest'ottica, privilegiano un certo tipo di letteratura, quella che dà il "sapore" della suddetta cultura, da cui il successo di un Kawabata. E io non penso che la sua opera, malgrado ilf o/k/ore regionaleche vi è presente, trovi favo represso questo genere di lettori. Per me la letteratura è necessariamente una contestazione della cultura. Ora, quello che è curioso è questo paradosso per cui, per la generazione successiva, questa contestazione diventa una espressione della cultura. Basta vedere come Céline ha finito per appartenere al patrimonio culturale della Francia. In Mishima, non c'è un atomo di contestazione. Così in Kawabata, così in Inoue. La letteratura deve rompere con la cultura contemporanea. Nello stesso tempo, lo scrittore ha un destino tragico che fa ch'egli non possa essere separato dal suo paese. Credo di essere cosciente di questo problema. Io non penso neanche per un solo secondo di essere l'espressione della cultura giapponese. Sarebbe una vergogna potersi dire "giapponese di Sony", "giapponese di Honda" o "giapponese di Kawabata". Secondo me, solo la letteratura può formulare un'auto-affermazione critica della cultura giapponese. È quello che io cerco nel mio lavoro di scrittore. Ma in questo momento, in Giappone, non nota una risalita del conservatorismo, tradizionalismo culturale o neonazionalismo sul piano ideologico? Ci sono, in effetti, sempre più intellettuali che pensano che il loro ruolo sia di rappresentare la cultura giapponese. Queste persone non esitano ad attaccarmi. È evidente che non sono d'accordo con loro. Penso che il discorso sulla cultura giapponese, così com'è stato formulato durante un secolo di modernizzazione, debba essere rimesso in causa. Su questo punto sono rivoluzionario. Questi intellettuali avanzano la seguente argomentazione: "Poiché abbiamo ragione da quarant'anni, cioè dalla fine della guerra, abbiamo sempre avuto ragione, da un secolo". Masakazu Yamazaki è il bardo di questo movimento. 75
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