Linea d'ombra - anno VI - n. 29 - lug./ago. 1988

INCONTRI/OE Il suo immaginario è molto originalenella letteraturagiapponese, ed è strano per me sentire che lei lo ricollega a Rabelais e alla sua cultura regionale. Studiando la letteratura francese, ero inizialmente attirato da scrittori che i giapponesi non stimavano particolarmente. Piuttosto che leggere i miei contemporanei, preferivo leggere Rabelais. D'altra parte Gaston Bachelard è stato molto importante per me. L'ho scoperto a ventiquattro anni e non ho mai smesso di rileggerlo. Egli definisce l'immaginario come la facoltà di rimuginare e deformare un oggetto percepito nel presente. La penso esattamente allo stesso modo. Bisogna cercare di creare un immaginario che non sia quello imposto dalla cultura di Tokio, né quello di Mishima ... È seguendo questo cammino che ho ritrovato l'immaginario del mio villaggio e della sua foresta. È diventato il centro della mia opera. Sono convinto che l'immaginario faccia difetto alla cultura giapponese. Io cerco di creare qualche cosa che possa trasformare questa cultura sprovvista d'immaginazione in un universo dominato dall'immaginario. Si trattava per me di trasformare questa cultura del "centro", questa cultura di un secolo di modernizzazione, questa cultura imperiale, per farne quella di Okofuku! Questa ricerca si confonde con il mio impegno politico riguardo al nucleare, ma la mia preoccupazione fondamentale è creare un immaginario. Crede che questo progetto possa esserecompreso dai giapponesi? . Su di me si dice spesso: "Esagera. Il suo stile è contorto! 'È troppo lontano dal linguaggio classico... eccetera". A que- , sti rimproveri io rispondo: "Perché no?". Io mi assumo la ; responsabilità di tutto questo. Io esagero apposta, voglio crea- : re delle immagini diverse da quelle che sono date, uno stile · diverso da quello che è dato. Non penso di essere potente, ma credo che, da quando scrivo, ho acquistato una certa forza. Il professor Watanabe una volta m'ha detto: "Lei è calpestato, schiacciato dalla critica. Ma insiste. Mi ricorda una 1 risposta di Hernani: Io sono una forza che va". Credo, in effetti, di essere provvisto di questa "forza che va", che mi permette di creare un'opera "contorta", ispirata dal realismo grottesco. Questo mi ha ugualmente permesso di sopravvivere per trent'anni agli attacchi dell'ambiente letterario. Attorno a me non trovo nessuno scrittore giovane suscettibile di fronteggiarlo al mio fianco. Questo mi rattrista molto. Come elabora il suo stile? Scrivo all'incirca due pagine al giorno. Tengo questo ritmo pressapoco per tre anni. A quel punto il mio manoscritto ha un migliaio di pagine. Lo riduco della metà. Questa riduzione mi costringe a riscrivere il testo. È precisamente a causa di questo lavoro che si rimprovera al mio stile di essere "contorto", "denso ma senza freschezza". Di fatto, io scrivo ancora una terza versione. Questa è destinata a rendere il mio testo più limpido. Mi si accusa di avere un linguaggio opaco, ora, io detesto l'opacità: io voglio che il mio stile sia insieme chiaro e complesso. Per esempio, amo molto Céli74 ne, anche se non mi piace ideologicamente; penso che sia un pensatore profondo, dallo stile molto chiaro. Per me è un modello. Riscrivere equivale a munire il testo di una struttura. Strutturare, secondo me, significa sovrapporre parecchi strati. La letteratura consiste proprio nel differenziare diversi livelli. Ciò che è stratificato viene percepito molto malamente dai giapponesi che, in generale, preferiscono la semplicità. Ma quando i giapponesi parlano di semplicità, si riferiscono al vago. Io ho in orrore il vago. Si può benissimo restare ambigui, senza essere vaghi: credo che sia questo l'importante. Per potere restare ambigui all'interno di una certa complessità, bisogna saper rendere chiara questa struttura complessa. Scrivendo, lei pensa ai suoi contemporanei o alla posterità? Oppure scrive nell'assoluto senza considerare i suoi lettori? Io scrivo soltanto per i miei contemporanei giapponesi. Non scrivo assolutamente per la posterità. Neanche per gli stranieri. Sostanzialmente non mi preoccupa essere tradotto. Quello che conta per me, è scrivere in giapponese per i giapponesi che vivono contemporaneamente a me. Non è da parte sua un 'affermazione paradossale? È il modo di esprimersi che potrebbe avere uno scrittore commerciale. È proprio questo che ricerco: voglio scrivere come uno scrittore commerciale. Molta gente dice che io non scrivo per i miei contemporanei. Ma in realtà, io scrivo soltanto per loro. Dalla parte dei minorati Mi potrebbe parlare di suo figlio? Ho appena terminato un romanzo che ho intitolato Lettera agli anni di nostalgia. È per concludere i miei trent'anni di carriera. Ho preso per tema del mio romanzo la seguente domanda: "C'è stato questo incidente, la nascita di mio figlio minorato mentale: come fare a farmene carico come se si trattasse del mio stesso destino?" Studiando, ho lavorato su Sartre. E gli esistenzialisti parlano di contingenza. Si tratta di assumere questo incidente, come se fossi io stesso l'autore della contingenza. Sono arrivato a credere che da ventiquattro anni io facevo della letteratura soltanto per capire perché mio figlio è nato con una deficienza cerebrale. Mio figlio è essenziale per me. La sua nascita ha dunque modificato profondamente il suo atteggiamento verso la letteratura? Radicalmente. Nel realismo grottesco, Rabelais e Dostoevskij privilegiano le mostruosità di ogni genere, le malformazioni, gli "idioti" ... Io ho compreso davvero queste cose soltanto dopo la nascita di mio figlio. Sa, io non amo affatto la gente normale, benché mi sforzi di essere normale ... Penso di stare dalla parte degli esseri deformi, come i minorati, gli "idioti". È il mio punto di partenza. Qual è il contrario del mostro e delle anomalie? La burocrazia. E che cosa c'è che

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