Linea d'ombra - anno VI - n. 29 - lug./ago. 1988

ILLETTORDEIMANOSCRITTI James Atlas K ipnes, il responsabile della sezione. narrativa di "New York Life", stava fissando un platano morto in giardino quando sentì un tonfo fuori dalla porta. Si alzò all'istante, come un disoccupato in sala d'aspetto convocato per un colloquio di lavoro, e uscì a prendere la posta. Sul pavimento c'era un pacchetto di lettere legato con uno spago - un buon bottino. Diede un'occhiata alla prima busta e vide che veniva dal Ripetitore: il marito (o l'amante?) di una donna il cui ultimo racconto era stato accettato da Kipnes. I due scrittori avevano cognomi diversi, ma abitavano allo stesso indirizzo: 356 West Undicesima strada, appartamento 14G. Da quando il racconto della donna era stato comperato, l'uomo mandava parecchi manoscritti alla settimana. Kipnes li immaginava seduti alle rispettive macchine da scrivere nell'appartamento 14G - chissà perché aveva l'impressione che non si trattasse di un appartamento molto grande - l'uomo con gli occhi fissi fuori dalla finestra e le orecchie tese ad ascoltare il ticchettio della macchina da scrivere della donna nella stanza accanto. Doveva essersela vista brutta, il giorno in cui lei aveva ricevuto la notizia. Forse aveva cercato di mostrarsi contento. "Ehi, ma è fantastico, Laura! Andiamo subito al White Horse a festeggiare". L'uomo aveva inviato un racconto con la posta dello stesso giorno, ma Kipnes aveva aspettato una settimana, prima di restituirglielo. Perché creare problemi? Solo, l'uomo non migliorava. Non ce l'avrebbe mai fatta a vendere uno dei suoi racconti. Kipnes si sentiva in colpa. Diede un'occhiata all'indirizzo: c/o Bidnik, 603 West End Avenue. Se n'era andato. Kipnes passò in rassegna le buste arancioni. Un racconto del marito di una donna che aveva il cancro. A intervalli di pochi mesi, un nuovo capitolo del comune calvario arrivava alla porta di Kipnes. I Primi Sintomi. La Diagnosi. L'Operazione. La Convalescenza. Anche la moglie scriveva della sua esperienza; aveva mandato un manoscritto intitolato Non entrare dolcemente in quella buona notte. Trentasette anni soltanto, consulente di orientamento al Reed College, dopo aver saputo della malattia si era buttata nel giardinaggio. Una vera e propria ossessione. Il manoscritto parlava delle gioie della concentrazione e della dedizione a un compito, dell'impulso umano a resistere di fronte alle calamità. Il manoscritto non era "adatto alla rivista" aveva scritto Kipnes nella lettera con cui lo rifiutava, ma sperava di esser riuscito a comunicare la propria commozione. Kipnes aprì la busta proveniente dall'Oregon con apprensione. L'ultimo racconto del marito della malata (Remissione) aveva lasciato adito a speranze, ma non si sapeva mai. Scorse velocemente la pagina. Disastro: il protagonista del STORIE/ATLAS racconto aveva investito il cane nel viale di casa, mentre partiva in gran fretta per portare la moglie dal dottore. La moglie stava morendo. Kipnes si versò una tazza di caffè e portò la posta nello studio. Aveva cominciato a piovere. La pioggia picchiava e scorreva giù per i vetri sporchi. Dura da accettare: un attimo prima si è vivi, un istante dopo morti. E sembravano una coppia così affiatata. Le loro giornate erano felici e piene di attività. Vivevano con i due figli in una casa vittoriana alla periferia di Portland, con la veduta delle montagne in lontananza. La moglie amava il proprio lavoro; l'uomo passava le mattinate a scrivere, poi andava a prendere i bambini a scuola. I racconti raccontavano quella storia. Kipnes aprì un'altra busta e cominciò a leggere: una donna in volo per Miami si trova a sedere accanto a un uomo in brache attillate e gilet antiquato e scopre che si tratta di Guy de Maupassant. Decide di abbandonare la famiglia e scappare con lui a Parigi. ("Oh, Guy", esclamò sopra il rumore dei motori, "saremo così felici insieme, vedrai!") Kipnes infilò il manoscritto nella busta già affrancata per la restituzione e sorseggiò il caffè. Era ossessionato dalla consulente di orientamento che stava morendo di cancro. Aveva solo tre anni più di lui. Non la conosci nemmeno, disse a se stesso. Ma in un certo senso invece la conosceva. Sapeva di quella coppia più di quanto loro stessi sapessero di sé. A tremila miglia di distanza, lui era un nome su una testata - come uno di quei buoni samaritani che sedevano in un seminterrato a rispondere alle chiamate di una quantità di aspiranti suicidi. Solo che quei due non volevano esser consolati; volevano essere pubblicati. Erano pronti a raccontare ai 400.000 lettori di "New York Life" cose che non si sarebbero mai detti a vicenda. Forse quella sfortunata donna sospettava che il marito ce l'avesse con lei perché stava morendo. Che trovasse più facile preoccuparsi per il cane investito nel viale che non affrontare l'idea dell'imminente destino della moglie. I giornali non pubblicavano mai i nomi delle vittime di un crimine o di un incidente aereo prima che le autorità avessero informato i familiari dell'accaduto. Gli scrittori si affrettavano a dare la notizia a tutti. Quanti morti, pensò Kipnes, guardando con scarso interesse una donna che si stava vestendo a una delle finestre di fronte. La guardava da mesi, la sera, di solito, quando sedeva con un binocolo nello studio, al buio, a contemplare la scena locale. Kipnes sospettava che lei sapesse di essere guardata. Si spogliava con gesti languidi, aggraziati, imbarazzati, e poi si allungava sul letto, avvolta nella vestaglia trapuntata, con gli occhi fissi fuori dalla finestra. Di giorno, però, si comportava con naturalezza. Kipnes era solo uno scrittore, chino sulla scrivania come mille altri nell'Upper West Side. E ora? La donna era ritta davanti allo specchio, in mutandine e reggiseno, e si guardava. Kipnes si accorse che gli stava venendo un'erezione. Ricordò a se stesso che doveva prendere in considerazione l'idea di sposarsi: così non avrebbe più dovuto sedersi davanti alla finestra col binocolo 61

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