minismo classico è nato proprio allo scopo di porre fine a questa condizione di segregazione, che ha origine in un falso mito. Finché certe donne, e certe donne che scrivono, avranno esperienze o psicologie specifiche, il loro femminismo non si affermerà. In campo artistico, il femminismo è proprio l'idea che'Si oppone alla segregazione; ciò significa abolire certe divisioni mitologiche e dichiarare che l'immaginazione non può essere "liberata" perché è già libera. E infatti, affermare che "l'immaginazione è libera" è tautologico. L'immaginazione è per natura e per definizione libertà e autonomia. Io, quando scrivo, sono libera. Nei panni della scrittrice sono tutto ciò che mi viene voglia di diventare. Posso pensare di essere un maschio, una femmina, una pietra, una goccia di pioggia, un pezzo di legno, un abitante del Tibet o la spina di un cactus. Nella vita invece non sono libera. Nella vita, maschio o femmina che sia, ho certi compiti; ho doveri e responsabilità; ho il mal di denti, che dipende dalla mia natura; sono divorata da lavori faticosi e dalla frammentazione. La mia libertà è legata al bisogno. In altre parole, devo sottostare. Che sia femmina o maschio, sono soggetta alla salute o alle malattie, ai guadagni e alle spese, al fatto di essere figlio di qualcuno e padre di qualcun altro. La società, che non è ancora un'utopia, mi dice di mettermi lì a fare una certa cosa, oppure di stare alla larga e di non farla. Nella vita accetto questi dettami della Società, che mi sembrano gli stessi della Civiltà, mentre litigo per tutti gli altri. Ma quando scrivo, cos'hanno a che fare con me la Società e il suo protocollo? Quando scrivo, tengo sotto controllo un gradioso Come Se. Scrivo Come Se fossi davvero libera. E questo Come Se non è un mito. Nel momento in cui lo proclamo, nel momento in cui il mio comportamento di scrittore lo esprime, esso comincia a vivere. Gli scrittori - mi riferisco ai romanzieri e ai poeti, agli scrittori di immaginazione - non sono sociologi né storici della società, né critici letterari, giornalisti o uomini politici. Il neologismo "donna scrittrice" contiene in sé il seguente messaggio sociologico o politico: "Certo, crediamo nell'umanità intesa come-un-tutto. Certo, crediamo che uno scrittore sia uno scrittore, punto e basta. Ma per un po' troviamoci insieme come donne, in modo da diventare politicamente forti, eticamente forti, un fenomeno sociale visibile e vitale; ci separeremo soltanto per un certo periodo, un SAGGI/OZICK periodo dedicato al rafforzamento e poi, quando potremo riunirci al mondo portando con noi potere e dignità, ci riuniremo e ci dichiareremo a favore dell'unità della specie umana. Questa condizione temporanea costituirà la nostra strategia di lotta contro la Società". Ecco qui la voce della "donna scrittrice". Ma è una voce erronea. Pensiamoci un attimo: nella vita intellettuale le nuove generazioni maturano ogni quattro o cinque anni. Per coloro che non erano presenti nel momento in cui questa strategia è stata attivata, essa non sembrerà affatto una strategia; sarà l'unica realtà. Gli scrittori scopriranno presto di essere nati in una di queste due categorie, "donne scrittrici" o "scrittori", e ci si aspetterà che tutti gli "scrittori" appartengano al sesso maschile - un'atmosfera sociale e letteraria poco allettante, che il mondo ha già avuto occasione di conoscere. "La letteratura non può né dovrebbe occupare la vita di una donna": così il Poeta Laureato Robert Southey ammonì Charlotte Bronte. Ma era la prima metà dell '800. Sono passati soltanto vent'anni da quando il curatore di un'antologia di letteratura russa, parlando dell'influenza internazionale di uno scrittore sovietico, fece notare che "nel caso di certe dame-scrittrici inglesi, si può dire che abbia avuto un effetto certamente disastroso''. Questo curatore però non ci parla di quei gentiluomini-scrittori inglesi che erano anche cattivi imitatori. Come questo, si potrebbero citare tantissimi altri esempi, ugualmente impeccabili nel generare quella forma di discredito che scaturisce inevitabilmente dalla segregazione. Il successo del femminismo ha m'esso alla corda visioni simili, ma la regressione si troverà la strada spianata quando il termine "scrittore", che è puro, non classificatorio, non polemico e non politicizzato, verrà nuovamente limitato a una metà degli scrittori esistenti. Non solo. Quella strategia si fonda sull'ipotesi temporanea di una non verità. Ci viene garantito che una volta cessata l'utilità della strategia, verrà riaffermata la condizione naturale dell'unità. Ma abbandonarsi alla menzogna, anche se per un solo istante, è pericoloso. Il cosiddetto temporaneo mostra un'inclinazione ineluttabile a trasformarsi in abitudine radicata. Ogni uomo politico sa che qualsiasi iniziativa politica "temporanea", per quanto spacciata come cura limitata, tende in realtà a restare scritta sul libro per sempre. Le strategie diventano istituzioni. Se le scrittrici promettono di organizzarsi come "donne scrittrici" soltanto "temporaneamente'', di sottostare a una definizione deviante del loro 55
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