Linea d'ombra - anno VI - n. 29 - lug./ago. 1988

SAGGI/MIROLA Ferma restando la necessità di incoraggiare iniziative consimili, di commenti a opere contemporanee condotti con la stessa cura di solito riservata ai classici antichi, non è credibile che la comprensione di un testo così impervio e capitale per la definizione della nostra letteratura moderna debba corrispondere alla dimostrazione della sua infinita sensatezza. Apparentemente, certi scrittori pretendono da noi la dedizione totale, forse la vita, quando poi un paio non ne basterebbero. Meglio imparare da loro e capire che il pennello va tolto dalla tela prima che ci cada di mano e, fuor di metafora, che l'impossibile infinità del commento deve trasformarsi nella giustificazione e nella migliore utilizzazione della sua parzialità, in un elogio dell'incompiutezza prevista e governata, addirittura. Dell'incompiutezza di Gadda, che presagiva e si predisponeva al rifiuto dell'ordine originario del testo da parte dell'interprete; e di quella dell'interprete, che, per assegnare un suo ordine al testo, deve riconvertire in una sequenza e in un discorso e appunto potare ferocemente la complessità conquistata. Così si passa, parole di Gadda e dovere di chi scrive professionalmente, dal "noto" al "notificato". Altre lezioni sono state imparate in questi anni. Dicevamo che la citazione da Cecchi, un altro Emilio, era superflua e che semmai dallo stesso articolo noi avremmo citato altro. Per esempio, non ci saremmo lasciati sfuggire l'opportunità di smentire la previsione per cui "l'estrema difficoltà del necessario mestiere impedisce una sfrenata imitazione del modello di Gadda": previsione che viene giusto dopo l'auspicio, espresso in un precedente articolo di argomento gaddiano, "che gli scrittori non meno dei lettori sapessero ugualmente impararne quel tanto che c'è da imparare". Ci sono in giro ancora troppe scimmie di Gadda, per credere davvero nella difficoltà di fargli il verso o nell'efficacia deterrente di quella difficoltà, che semmai ha funzionato come un richiamo irresistibile per gli aspiranti scrittori in cerca di brevetti e prove del nove. E poi il "contagio" che escludeva Cecchi, proprio in quanto lasciava intendere una intuizione acuta e precoce circa la reale natura della vocazione didattica gaddiana, avrebbe già allora dovuto dimostrare il contrario. A noi anzi il "contagio'", più per la sua prevedibilità che non per la sua reale diffusione, sembra l'ultimo anello della catena che, sia pure parzialmente, ci è appena passata sotto gli occhi. Ricapitoliamo e completiamo: l'incompiutezza gaddiana corrisponde a una diversa organizzazione del racconto, non più soprattutto lineare, e si inquadra in un progetto di aggiornamento della narrativa condotto all'insegna del1'essenzialità e consistente nella decisione di esperire le possibilità estreme della letteratura e del linguaggio; la frammentazione del racconto viene compensata dalla aggregabilità delle parti in riferimento a una continuità d'ordine superiore; tale continuità è sì in primo luogo quella idealmente autobiografica, ma si manifesta macroscopicamente come stile, uno stile reso inconfondibile attraverso la regolarità dei suoi eccessi; lo stile, che riguarda persino le più capricciose 46 varianti grafiche o di pronunzia, investe l'istituto linguistico nel suo complesso, senza risparmiar nulla e quasi sostituendoglisi in tutto e per tutto, come una specie di lingua ombra; esso comprende, oltre agli scarti dalla norma, la norma stessa, restituita a una motivazione o virtuosisticamente mantenuta in vita dove sembrerebbe impossibile e dove infatti la lingua viene sottoposta a spettacolari tensioni deformanti; la difficoltà della scrittura gaddiana, la ragione che la sostiene e la competenza che essa richiede, coincide dunque con la sua esemplarità paradigmatica; leggereGadda significa imparare una lingua, non il "gaddese" ma il "poetese" della narrativa novecentesca, tributario del contemporaneo mito del linguaggio poetico; c'è una singolare consonanza, che abbiamo cercato di sottolineare più volte, tra gli obiettivi dello scrittore e quelli dei suoi critici, come se Gadda volesse realizzare in anticipo l'opera interpretata, o almeno già scomposta in segmenti e nelle rubriche capaci di contenerli. Partito alla ricerca di una grammatica del racconto alla quale adeguarsi, Gadda ha insomma finito per raccontare la grammatica, un "come si scrive" del quale non ha fornito un modello, e perciò è stato frainteso, indicandone piuttosto i limiti estremi e illustrandone le risorse con una esemplificazione quasi scolasticamente esuberante. La sua è stata, se vogliamo parafrasare ancora Jakobson, la più metodica e imprevedibile proiezione del principio d'equivalenza dall'asse della combinazione su quello della selezione, ottenuta raccontando insieme con le sue ossessioni l'ossessiva regolarità con cui la lingua e l'invenzione letteraria, messealle strette da chi ne voleva cavar fuori il massimo, si limitavano a declinare le proprie generalità e a fornire gli estremi della pratica grammaticale che le riguardava. Esattamente le stesse risposte che la Cognizione rilascia a chi la incalzi insistentemente. Del resto, che la letteratura si fosse trasformata in un esercizio scolastico, lo aveva detto a modo suo anche Ionesco. Qui, con le pezze d'appoggio e una proposta d'interpretazione meno schematica, comincia un altro discorso. ABBONARSIÈMEGLIO LINEA D'OMBRA è mensile a ogni abbonato un libro in dono: Il lavoro del Living Theatre (ad esaurimento) Racconti cinematografici di Werner Herzog (Ubulibri) lire 50.000 annuali su c.c.p. 54140207 intestato a Linea d'Ombra Edizioni Via Gaffurio, 4 - 20124 Milano ·

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