Linea d'ombra - anno VI - n. 29 - lug./ago. 1988

na Taddea. Insomma, dalla penna di Don Ramon, con tutte le intenzioni tragiche, i cachinni e le frustate del poeta ai suoi pupi, par che sia sortita, stagliata in nero, una versione parodistica dell'Otello. Né mancano reminiscenze molieriane. Soltanto, in luogo del ripiegamento chiuso (C'est toi qui l'a voulu, Georges Dandin!) lo spagnolo sbocca nella tragedia. E Don Friolera spara all'impazzata. Peppino De Filippo ha dato al personaggio del tenente cornuto un risalto perfetto, da baritono di ·prosa: un risalto di mustacchi coi salvapunte, di interiezioni cavernose, di sbruffoneria mortificata, di gelosia flagellante e insieme di dolore comico: la quintessenza del grottesco. È per la via del grottesco, infatti, che l'attor comico ha superato e oltrepassato gli effetti patetici e drammatici che pareva gli fossero preclusi dalla sua stessa apparente costituzione di grande "mamo", erede diretto degli zanni della Commedia dell'arte. In Don Friolera Peppino s'è quadrato a dovere: ha rispettato il testo alla virgola; ha stagliato potente il suo personaggio fra le figurine più o meno scialbe degli altri personaggi. Paola Borboni ha recitato con l'intelligenza che la distingue: forse il "croquis" di Donna Loretita (personaggio fiacco) è rimasto un po' superficiale: l'eccessiva frammentarietà e l'analisi inevitabilmente sommaria dei caratteri data la frequenza e la rapidità dei mutamenti di ambiente. Il Privitera ha dato alla figura di Pacecco un rilievo intenso: ha fatto del barbitonsore un amante al tempo stesso ardente estasiato ed innocente. A posto gli altri. Lo spettacolo è stato accolto dal pubblico con viva cordialità. Chiamate alla fine di ciascuno dei tre atti a Bragaglia, che ha curato la difficile orchestrazione della commedia con la solita veemente perizia, a Peppino De Filippo, alla Borboni e agli altri attori. Fonti di questi scritti Articoli di presentazione a trasmissioni radiofoniche (i titoli con l'asterisco riguardano le trasmissioni curate da Gadda). GalileoFerrarise gli scienziatipiemontesi, in "Radiocorriere", a.28, 1951, n. 5, p. 13. "Mestieri", ivi, a.28, 1951, n. 18, p. 9. Cristoforo Colombo, ivi, a.28, 1951, n. 41, p. 13 (siglato con tre asterischi). Luigi Xlii, ivi, a.29, 1952, n. 13, p. 13. Luigi IV, ivi, a.29, 1952, n. 30, p. 12 (non firmato). Luigi XV, ivi, a.29, 1952, n. 50, p. 13. Ritratto di Santayana, ivi, a.29, 1952, n. 36, p. 13. Niccolò Ugo e "l'aurea beltade", ivi, a.35, 1958, n. 48, p. 9. Recensioni "Le corna di Don Friolera", in "Scenario", a. I5, 1951, n. 19, pp. 17-18 (firmato E.G.). Inoltre, lo spoglio del "Radiocorriere" ha portato al rinvenimento di tre articoli quasi certamente di Gadda, ma non firmati e che pertanto non vengono qui pubblicati. Eccone l'indicazione per esteso: Il gatto parlante che incontrò un vero uomo. Radiodramma di ArSAGGI/MEROLA thur Miller. Giovedì ore 22,50 - Terzo Programma, a.28, 1951, n. IO, p. 12. Fra il garofano e la spada. Di Rafael Alberti - Lunedì ore 22,35. Terzo Programma, a.28, 1951, n. 18, p. 15. Terzo Programma. L'osservatore dello spettacolo. Domenica ore 22,15 circa. Sabato ore 22.15 circa, Terzo Programma, a.29, 1952, n. 38, p. 13. A SCUOLADA GADDA Nicola Mero/a I grandi romanzi di Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana e La cognizione del dolore, sono rimasti incompiuti. C'est-là son moindre défaut, verrebbe da dire a chi non ha mai amato lo scrittore lombardo. Secondo invece Emilio Manzotti, che della Cognizione cura ora una onerosa "Edizione critica commentata con un'appendice di frammenti" (Einaudi, Torino 1987, pp.LXXXII + 581), tale incompiutezza non sarebbe né pregiudizievole né casuale e non si spiegherebbe comunque nella maniera più ovvia e letterariamente insignificante, ma rifletterebbe una idiosincrasia gaddiana, se non una vera e propria strategia antiletteraria. Niente cecidere manus o rese senza condizioni della letteratura alla vita, ma una deliberata, metodica riduzione ai minimi termini di "quel tanto di gratuito, di gioco convenzionale, di invenzione di fatti e di legami tra di essi che è inerente in maggiore o minore misura ad ogni narrazione letteraria", e, al suo interno, appunto l'abolizione di "quel culmine di letterarietà che sono le conclusioni". Cercheremo di non dimenticare, procedendo nella nostra esposizione, come il primo a non tollerare "quel tanto di gratuito", implicito nella interruzione anticipata dei romanzi almeno quanto nella convenzionale letterarietà della loro eventuale conclusione, sia proprio il critico, qui nella persona di Manzotti, né che insomma il critico e lo scrittore sembrano impegnati nella stessa ricerca di motivazioni d'ordine superiore o, se vogliamo chiamarla così, nella stessa strategia antiletteraria. Se Gadda non si rassegnava alla banale falsità delle consuete conclusioni romanzesche, Manzotti non cede al caso nemmeno l'ultima parola che il buon senso di solito gli assegna. Intanto però dobbiamo convenire che uno spiritaccio paradossalmente antiletterario coesiste con la pretesa opposta anche in altri scrittori e anche fuori del periodo considerato, mentre in effetti nemmeno al lettore principiante, e alla sua più viva suscettibiltà nei confronti del fuoco di sbarramento predisposto da Gadda, l'incompiutezza sembra un carattere estrinseco e accidentale dei romanzi maggiori, né una loro prerogativa. In essa, tendiamo tutti piuttosto a vedere "una qualità essenziale della scrittura gaddiana", come ha sostenuto Guglielmo Gorni, l'aspetto macroscopico di una piu generale propensione all'ellissi e la cifra riassuntiva di un estremismo letterario particolarmente conseguente, cioè della difficile letteratura polemicamente opposta dallo scrittore 43

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