vario di imbarazzi del genere). Il Magiotti, il marito della Mocenni, era figlio unico (e orfano di madre) a un decrepito possidente terriero (quaranta dei migliori poderi di Toscana) terrorizzato da una idea: "chi governerà i miei fondi quando sarò sottoterra. Combinato questo matrimonio al figliolo, il tremebondo nonagenario incontrò ed ebbe, nella nuora Mocenni divenuta Magiotti, una ragioniera e una superfattora insperata, che i contadini adoravano, alla cui prole di quando in quando ella sapeva aprire ... un asilo d'infanzia, o un flacone di polìgala. Il Magiotti figlio, e marito alla "donna gentile", era un po' piccoletto: quel ch'è peggio (ma gli storici sorvolano) aveva un capoccione, voglio dire una testa, grossa tre volte la mia: e piena d'acqua. Sì, poverino: lo avete indovinato: era idrocèfalo. Da doverlo custodire vita natural durante in apposito locale, sotto guardia perpetua d'una infermiera mugellese, attenta e rubesta. Alto l metro e 35, quando lo incoraggiavano a dire "bonaparte", si sìorzava, e riusciva a dire "roba-robare". Codesto marito "di mano" (formula giuridica allora in uso) fu lui appunto, co' suoi quaranta poderi, che valse alla moglie, "di mano" il titolo di "donna gentile". Di lei oggi, con ogni amore e culto, vien fatto pensare: è stata gentile con tutti, salvo che con se stessa. Il Foscolo amò donne in carne, cioè viventi e splendide (a' giorni suoi) nella realtà biologica del mondo, nella superba carnalità delle stirpi d'Italia: in più celebrò alcune donne di marmo le cui forme, sprovvedute di tegumenti indumentari propriamente detti, sembrano aleggiare nel suo sogno a una quota "aerea" sfiorando cogli "eterei" lor pregi le vette dei poggi di Bellosguardo. Fra esse le Grazie o Càriti, scolpite in due successive redazioni dallo scarpello imbattibile di Antonio Canova. Il gruppo canoviano delle Càriti si raccomanda alla nostra ammirazione per la elegante morbidezza delle superfici e pienezza dei volumi, ad assumere i quali il marmo così egregiamente si presta: ma riesce difficile immaginare le tre sorelle collocate su degli altari, per quanto pagani. Ristrette nella loro delicata e direi consorziata gentilezza, con pettinature a cono di proporzione dolicocefalica e di tipo alessandrino-austriaco-parmense, non ci pare ch'elle siano molto in vena di porgere ascolto alle domande dei supplici: impegnate come sono in un loro scambio di idee affatto sororale con la Talia, poi, che rivolge quasi le "spalle" alla folla e al nostro stesso sguardo un tantino archeologizzato. Ci inducono piuttosto a ripensare quella specie di ermetismo di casta per cui il Collegio delle Vestali teneva certe riunioni ove l'accesso era inibito agli uomini. Il loro abbraccio trinitario è probabilmente il simbolo di una sorellanza tecnica alquanto chiusa, nei confini degli atti e degli obblighi, dei "compiti" di eleganza e di intelligenzaa loro demandati. Orazio, un poeta che le venerò con più successo di Ugo le chiama "tarde" ossia difficili, "a sciogliere il loro nodo": segnesque nodum so/- vere Gratiae. Il Canova ha addobbato le loro belle persone e contristato l'occhio degli esperti con certi lini esigui, ricadenti a guisa di ghirlandette lungo la superficie polita del marmo raffigurante la carne: quasi un accenno di peignoir non privo di un certo suo simbolistico realismo. Il Foscolo disarSAGGI/GADDA mato di fronte al marmo come di fronte alla carne, al primo vederle deve essere stato raggiunto da un ictus valevole per un decennio di attività endecasillabica e per milleseicento endecasillabi. La stupenda sciarada con cui apre il carme ci impone di entrare nell'ideai sacello occupato dalle creature del collega Antonio: c'impone di entrare, e di adorare: Alle Grazie immortali Le tre di Citerea figlie e sorelle È sacro il Tempio, e son d'Amor sorelle Dopo qualche altra notiziola, il sublime imperativo: Entra ed adora. Ritratto di Santayana Il destino di Jorge Santayana sembra segnato dalla migrante avventura del nonno materno, un "libero pensatore" che lasciò le Baleari e la Catalogna per trasferirsi con la moglie in Iscozia, dove gli nacque una bimba, la madre del filosofo. Dalla Se.ozia, poi, alla Virginia; dalla Virginia console nordamericano a Barcellona, per una decina d'anni; da Barcellona console spagnolo verso le Filippine, con la figliola, senza la moglie che rimase in patria. A Bataan, una delle isole minori dell'arcipelago, la figliola conobbe Ruiz de Santayana, giovane funzionario coloniale spagnolo, ma non Io sposò: sposò a Manila certo George Sturgis, d'una famiglia di commercianti nordamericani (di Boston). Lo seguì a Boston, gli diede tre figli, ne rimase vedova in pochi anni. Durante un viaggio a Madrid rivide Ruiz de Santayana, che si era frattanto ritirato dalla carriera, e dipingeva. Stavolta si sposarono. Il 12 dicembre 1863, a Madrid, nacque loro Jorge. La prima infanzia di Jorge trascorse ad Avila, ove il padre soggiorn_ava,indi a Boston, ove la madre era tornata a soggiornare. L'adolescenza e la scuola a Boston, presso la mamma e gli Sturgis: con gite estive in lspagna a riabbracciare il papà. Spagnolo di sangue e di indole, la lingua che J orge adottò fu quella della scuola e dell'ambiente ove trascorreva la maggior parte dell'anno: fu, dunque, l'inglese. "Filosofo e poeta nordamericano" è termine esatto per riguardo alla lingua di cui si valse. In realtà si trovò nella condizione migliore per studiare e conoscere il mondo anglosassone e la cultura puritana senza appartenervi interamente, o senza aderirvi affatto. Il senso "libero e positivo" venutogli dal nonno, quella disperata ricerca delle eventuali "verità" che si celano dietro le parvenze del mondo, al di là delle nozioni sistematiche, sembrano costituire il mòvente prediletto (e d'altronde la tematica vasta) della speculazione di Jorge Santayana. La carriera? Studi medi a Boston, università di Harvard, diploma in filosofia nel 1886, borsa di studio, due anni a Berlino, Platone e Aristotele: la carriera del professore di filosofia: lettore, poi professore ordinario ad Harvard fi-noal 1912. Il gusto del disegno ereditato dal pittore padre; un taccuino di disegni, quasi un diario grafico. Lasciata l'America nel 1912, trascorse due anni in lspa41
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