Linea d'ombra - anno VI - n. 29 - lug./ago. 1988

SAGGI/QUINEAU Esistono un certo numero di analogie tra il teppista e il filosofo, ma anche un certo numero di opposizioni gravi, che potrebbero giungere fino al lancio di sassi. Il tampone dialettico tra questi due modi di essere è il poliziotto. Come ha scoperto e distinto il teologo teppista Kierkegaard. posito (Galtier-Boissière e P. Devaux, /oc. cit., p. XXXV, col. 2): "Non affrancate mai i minchioni". Con questo adagio, il filosofo garantisce più il suo comportamento che non il suo linguaggio. Non si vede in questa considerazione una facezia (facile) sulla difficoltà del linguaggio filosofico, sul vocabolario di Lalande per esempio, tronfio come un trattato di chimica organica. I filosofi hanno esitato sulla questione, gli uni tendendo al linguaggio comune, gli altri legittimando un certo tecnicismo: "molti libri avrebbero potuto essere più chiari se non avessero voluto esserlo", è Kant a dirlo nella sua prefazione alla 1 • edizione della Critica della ragion pura. Da Eraclito a Heidegger, i filosofi si sono distribuiti sulla scala dell'oscuro. Il primo "depose il suo libro, come offerta, sull'altare di Artemide dopo averlo scritto in termini oscuri (asaphesteron) di proposito, affinché, si dice, potesse essere letto soltanto da persone capaci (dunameno1), e sfuggisse al disprezzo che segue la divulgazione". Dello stesso Eradito, Diogene Laerzio racconta che (cito la traduzione di Robert Genaille), "avendogli chiesto di stabilire per (gli Efesini) delle leggi, egli li disprezzò, perché secondo lui da molto tempo i costumi politici della città erano pessimi". (Non condivido l'opinione di R. Genaille che commenta così questo passo, n. 242: "Questa ragione sembra un pretesto: il rifiuto di Eraclito di partecipare alla vita politica dev'essere l'effetto del suo carattere ombroso e del suo gusto per il ritiro"). Ritiratosi vicino al tempio di Artemide, giocava agli astragali con dei bambini. ("Il Tempo (Ai6n) è un bambino che gioca a trictrac: regalità di un bambino". E i commentatori di Eraclito citano a questo punto la quartina di Omar Khayyam). Gli Efesini in cerchio intorno.a lui, l'osservavano giocare, con curiosità (questa parola non è nel testo greco): "Che avete da stupirvi, buoni a nulla (kakistol), disse loro, non è meglio questo che amministrare la repubblica con voi?" Non sarebbe meglio tradurre "kakistoi" con "banda di minchioni" piuttosto che con "buoni a nulla"? "Di Eraclito, scrive Heidegger nella sua lettera a Jean Beaufret ("Fontaine" n° 63, pagina 796), si racconta una frase che avrebbe detto ad alcuni stranieri che desideravano incontrarlo. Venendo avanti, lo videro che si stava riscaldando vicino al forno di un panificio. Interdetti si fermarono, tanto che, vedendoli esitare, lui li incoraggiò invitandoli a entrare e dicendo: Anche in questo luogo, in effetti, gli dei sono presenti". Heidegger commenta così quest'aneddoto: "La folla dei visitatori stranieri, importuna e curiosa, il suo primo sguardo sul luogo di soggiorno del pensare fa delude e la disorienta. Si aspetta di incontrare il pensatore in circostanze diverse dallo scorrere abituale della vita degli uomini, e che portino i segni dell'eccezionale, del raro e dell'eccitante". E un po' più avanti: "Ma Eraclito vicino a un forno non è neppure occupato a cuocere. È lì soltanto per riscaldarsi e in questo modo tradisce, in un luogo decisamente quotidiano, tutta l'indifferenza 30 nei confronti della propria vita. La vista di un pensatore che ha freddo è di poco interesse". E il pensatore che ha freddo finisce per dire ai suoi visitatori: "Anche in questo luogo, gli dei sono presenti". Tutto questo, fino a "in questo luogo", significa che Heidegger non digerisce le conseguenze della disfatta tedesca, è infastidito dalla condizione che le autorità di occupazione francesi gli hanno riservato, è infastidito ancora di più dalle visite dei curiosi, anche di mestiere, turisti talvolta impertinenti come quel Gandillac (eppure, un filosofo) che mentre guarda i suoi baffetti alla Charlot ("Les Temps modernes", n° 4, gennaio 1946, p. 714) pensa a "certi aspetti bonaccioni del fiihrer". Un filosofo che.sopporta male che gli si manchi di rispetto: si vendica con l'allegoria e proietta il volgare nelle cantine (cavernose) dell'incomprensione in cui scompaiono sia il volgare che la mancanza di rispetto. Innalza nella sua soffitta il forno quotidiano di Eraclito (nel quale non si fa cuocere due volte lo stesso pane) e pronuncia allora parole sacre come "l'essenza del mostruoso", des Ungeheuren. Può allora parlare degli "dei", il "boscaiolo della Foresta Nera", mentre alla volta di questa stessa Foresta si dirigono quattro neri libertini in cammino verso il castello di Silling per il ciclo delle loro centoventi giornate, e mentre in questa stessa Foresta viene a rifugiarsi, a Sigmaringen, il giorno di San Fedele, un maresciallo di Francia in difficoltà. Tra le etimologie citate della parola voyou dobbiamo inoltre ricordare quella proposta da Ch·.Nisard ("Revue de l'Instruction publique", 29 novembre 1860) e citata da Littré, che fa risalire voyou a voirou, cioé a garou (mannaro), cioé a Werwolf. Di questa origine molto foresta-nerastra Littré dice che "è improbabile". E definisce il voyou "un bambino del popolo, sporco e maleducato". Cita quindi due versi dei Iambes di Barbier, che non fanno parte di La Curée bensì di La Cuve. Barbier non è molto considerato nelle recenti storie della letteratura francese anche se sopravvive nella maggior parte delle antologie. Arland riconosce che "nella sua volgarità c'è dell'ardore e una forza reale". Poiché questa poesia (La Cuve) non è molto nota, ecco la sua descrizione del voyou (sembra che si tratti della prima apparizione di questa parola, dunque nel 1831; a questa data risale un passo del Peter lbbetson di Georges du Maurier: "I ragazzini volgari, che giocavano per strada: i voyous di Passy" (p. 52 della traduzione; nel testo voyou è in francese), ma mentre l'episodio si colloca nel periodo di Luigi-Filippo, Peter Ibbetson fu scritto verso il 1890). La Cuve, è Parigi. La razza di Parigi, è il pallido voyou Gracile, dal colorito giallo come un vecchio soldo; È il ragazzo chiassoso che in ogni momento vediamo Indolente e vagabondo, a bastonare i mag'ri cani Lontano da casa sua, a tracciare col carbone fischiettando Mille disegni impuri sui grandi muri; Questo ragazzo non crede, su sua madre ci sputa,

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