senza averne le qualità: 'Il monello di Parigi è sensibile a tutti i buoni sentimenti. Il voyou di Parigi possiede tutti i vizi' (A. de Castone). 'È un vero voyou!- Che voyou!' si dice l'uomo di ogni età e di ogni classe, di aspetto o di comportamento abbietto". Ignoro chi sia il A. de Caston a cui Lorédan Larchey si riferisce. Nei suoi Autori citati e consultati (p. XXXIX della 10• edizione), gli si avvicina soltanto il nome di Castillon. Ma quale? Il geometra che ha trovato una soluzione del gradevole problema "inscrivere in un cerchio un triangolo i cui lati passino per tre punti dati" oppure l'autore degli Aneddoti cinesi? oppure il fratello di quest'ultimo? Delvau (che litigò forte con Larchey), s.v.: scrive: "Monello di Parigi, figlio perduto della pubblica via, prodotto mostruoso del fango e del ciottolo; letamaio su cui spira l'eroismo; ospedale ambulante di tutte le malattie dell'umanità, brutto come Quasimodo, crudele come Domiziano, spiritoso come Voltaire, cinico come Diogene, coraggioso come Jean Bart, ateo come Lalande, - in una parola, un mostro. Tipo vecchio come i muri. Ma la parola è moderna, anche se si è voluto farla risalire fino a Saint-Simon che tratta da voyeux i piccoli borghesi del suo tempo". A parte il fatto che, per definire il voyou, questo lessicografo abbia bisogno dei nomi di due filosofi, di un erudito, di un ammiraglio, di un imperatore e di un personaggio di romanzo, è interessante tornare alla radice voir (vedere). Infatti, se il voyeux è voyeur, e vagabonda, e "circola dappertutto", che cosa può distinguerlo con chiarezza dal phi- /osophe? Devono esserci dei segni distintivi, finora trascurati nel corso di questa ricerca. È evidente che si potrebbe pensare al fatto che il voyou è un monello, uno sbarbato, mentre il philosophe passa per essere piuttosto barbuto. Tuttavia, sottolineare l'aspetto della giovinezza, per i lessicografi significa datarsi. Ciò è la prova di un'evoluzione linguistica: nel linguaggio corrente contemporaneo un voyou non designa in special modo un monello. Al contrario. Un voyou, come viene inteso dalle parti della Porte de Champerret o della Porte de Moli tor, può avere fino a trenta, trentacinque anni. Un monello maleducato, è un "piccolo" voyou. Un vero voyou, secondo l'uso attuale (del Port-aux-Foins), deve essere abbastanza consapevole del suo carattere di voyou. Dunque un bambino, un monello, non può essere altro che un "piccolo" voyou: le recenti ricerche della psicologia, della sociologia, della pedologia, della giurisprudenza, ecc., hanno imparato e insegnato che il bambino è "irresponsabile". Per lui sono "buone" soltanto le case di correzione. Il bambino non è mai un vero voyou: è soltanto piccolo. Un voyou, un vero voyou, dev'essere responsabile e consapevole, quindi condannabile; si deve poterlo spedire in prigione, relegarlo, infamarlo. Nello stesso tempo dev'essere responsabile e inconsapevole come un philosophe - e voyeur, e contemplativo. Il fatto che la contemplazione dei "philosophes" del Luna-Park si applicasse, per così dire, a cosce, natiche e biancheria di donne, non vuol dire che non fosse un'attività di contemplazione. E se il voyou non è necessariamente un marmocchio, e il philosophe un barbuto, come distinguerli? Forse SAGGI/QUINIAU dai loro gusti di abbigliamento? Ma il voyou non porta necessariamente berretto e tirabaci; e dopo la contaminazione del mondo greco da parte del virus cristiano il phi/osophe non è più contraddistinto dalla vestizione (cfr. Laerzio, passim). Di Descartes, Adrien Baillet dice che"non era mai trascurato, e soprattutto evitava di vestirsi da filosofo" (p.276 dell'edizione di La Tavola Rotonda, Parigi 1946). Di lui dice anche che aveva "il colorito assai pallido dalla nascita fino a quando uscì di collegio, poi venato di venµiglio spento fino a quando si ritirò in Olanda, e quindi un po' oliyastro fino alla morte" (p. 275). Poiché questi avvenimenti risalgono rispettivamente al 1596, 1612, 1628, 1649, vediamo che Descartes passò 16/53esimi della sua vita con la carnagione pallida, 16/53esimi con la carnagione pallida venata di "vermiglio spento" e 2l/53esimi con la carnagione un po' "olivastra", cioè all'incirca il 300/ocon il colorito pallido, il 30% con lo stesso venato di vermiglio spento (ah! questo vermiglio spento!) e il 400/ocon il colorito olivastro. Una bella vita bene equilibrata, quanto al colore. Sarebbe auspicabile che ne venisse data una rappresentazione cromatoschematica, per esempio nella forma di quei piccoli album di foto che si fanno scorrere col pollice, forma primaria del cinema. In questo caso i disegni (sono apparsi dei Mickey in questa forma) utilizzerebbero il ritratto di Franz Hals, una certa fantasia infantile, e naturalmente i dati impressionisti forniti da Adrien Baillet. Muovendosi così, Descartes non correrebbe certo il rischio di sembrare ''un phi/osophe''. È qui del resto la grande distinzione tra il filosofo antico e il filosofo moderno. Quest'ultimo non aspira a nessuna vestizione, a nessun aspetto particolare, nel senso che a queste cose preferisce una sana correttezza borghese; con una punta di aristocrazia in coloro che precedono la Rivoluzione francese (così Descartes, la cui casata, dice Baillet, è sempre stata considerata una delle migliori della Touraine), (così Leibniz, intrattenitore, come Goethe, di piccoli principi tedeschi); con una punta di operaismo in Spinoza. Il filosofo greco, al contrario, è caratterizzato da una spiccata tendenza a distinguersi dall'uomo comune. Non vuol essere preso per un minchione. Gli piace apparire - quest'atteggiamento continua fino all'Empedoclismo. Il filosofo moderno, che crede di essere per il fatto di pensarsi, si dis-pensa dall'apparire. La differenza è all'interno. A proposito di Bacone, quell'uomo di mondo, Soloviev dice che il "tenore positivo delle sue concezioni( ... ) non è di carattere filosofico, dal momento che non esce dai limiti della concezione volgare secondo cui il mondo che ci raffiguriamo come assolutamente reale, con tutta la diversità del suo contenuto oggettivo, esiste in sé, al di fuori di noi, ma, nello stesso tempo, può essere conosciuto da noi in modo adeguato". ( Crisi della filosofia occidentale, pp. 183-184). L'esigenza essenziale del filosofo è dunque non essere considerato un minchione. È la più grande ingiuria che si possa fare a un filosofo; spesso viene riparata col sangue (cfr. GaltierBoissière e P. Devaux, Dizionario di argo!, p. XXXV, col. I), con sangue intellettuale s'intende. E, esattamente come l'uomo del Mitan, il filosofo ha un "adagio" a questo pro29
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