Linea d'ombra - anno VI - n. 29 - lug./ago. 1988

t'oggi a confrontarsi, quella tra "l'osso" dell'interno montuoso dove poco era possibile fare e "la polpa" delle coste e collinare dove tanto era possibile fare, si sentiva come molti di noi, vecchi o meno vecchi, certamente sopraffatto dal quel "terremoto" non fisico che aveva sconvolto l'Italia negli anni del boom e poi nei Settanta, ma certamente non domato. E continuava imperterrito a studiare e a pensare. Mi recai a trovarlo, circa un mese e mezzo o due prima della sua morte, e fui ancora una volta travolto dalla sua intelligenza e dalla sua carica di precisa progettualità. Ricordo, di quel lungo colloquio, l'insistenza nel chiedere informazioni su gruppi, riviste, iniziative di cui fossi a conoscenza, nel Sud, e alcune impagabili battute. Come, per esempio, riferendosi agli intellettuali italiani di oggi, l'impossibilità di usare per loro dei modi di dire come quello celebre di Ernesto Rossi sull' "aria fritta" (magari friggessero aria!) e quello più anonimo sull' "acqua fresca" (ce ne fosse!). Stava scrivendo le sue memorie, e disse che il problema non era per lui quello di non ricordare le cose fatte, ma ''perché'' le aveva fatte. Per esempio, il fatto di essere entrato e rimasto per qualche anno nel Partito comunista. Oggi ci è possibile giudicare con più distanza e intelligenza pesi e valori, e pensare che la Terza internazionale ha condizionato non solo la vita della generazione dei Rossi-Doria e della successiva, ma anche quella della nostra, in modo certamente non così drammatico. Ma che fatica per liberarsi di tanti falsi problemi e di quel "progetto teorico-organizzativo" stolido, fideistico, oppressivo, (il "modello leninista" che ha finito, negli anni '70, per produrre le varie assurdità dei "gruppi", e che tuttora, con i cascami della parte più forte di un "Manifesto" pur sempre togliattista, con OP, con parte del PC e dei sindacati, si riproduce e ripete, nulla inventando e tentando di nuovo - una avanguardia di classe" via l'altra)! La riconquista di una indipendenza di pensiero, di una tensione pratico-utopica attuabile nell'oggi, di una chiarezza del rapporto tra fini e mezzi, e perfino di un entusiasmo, e di una persuasione, passa anche, deve passare, attraverso la conoscenza e lo studio di figure come quella di Rossi-Doria. Anche se i "padroni del vapore" e gli intellettuali di chiesa, regime, scuderia, continueranno a snobbarli, forti della loro Politika. * * * INCONTRI IL VALOREPIÙ ALTO IncontroconRomanoBilenchi a cura di Grazia Clzerchi Ciò che più colpisce leggendo e rileggendo Amici di Romano Bilenchi, ora ristampato da Rizzo/i (arricchitodi una parte finale rispetto alla prima edizione einaudiana del 1976), è che si tratta sì di un libro di memorie, ma non solo. Amici è anche un libro di narrativa: l'andamento, il ritmo, la densità sono tipici'de/ romanzo, dell'opera d'invenzione pur essendo tutti i protagonisti dei quattordici capitoli persone reali, chiamate sempre col loro nome e cognome. Come sarebbe importante che Bilenchi andassè avanti in quest'opera di scavo! Infatti, nonostante il revival di autobiografie, epistolari, diari, è indubbio che la tendenza principale dell'oggi sia di abolire il passato e vivere come cicale impazzite (si avvertono continuamente boati, frane, colate di lava che inghiottono uomini, storia e storie.. .). Si pensi ad esempio agli anni (1948-56)in cui dirigeva "Il Nuovo Corriere" ("l'unico quotidiano culturalmente indipendente della sinistra italiana", come ha scritto Geno Pampa/ani): sentendoglieli rievocare a voce, si desidererebbe li mettesse subito per iscritto, col suo stilefermo, asciutto e intenso che non ha da noi né antesignani né seguaci. Altra cosa importante di Amici (i quali, a eccezione di Maccari, sono tutti morti) è che Bilenchi evita ogni oleografia: via le immaginette, i "santini", la celebrazione acritica (com 'è d'uso fare): Vittorini come Rosai come Pound sono presenti anche nei loro aspetti contraddittori, ci appaiono fragili e ostinati, allegri e disperati, imprevedibili. E così questi ritratti del nostro maggior scrittore italiano "sono incontri di vita", ha scritto ancora Geno Pampa/oni, per me il miglior critico di Bilenchi. Ripercorriamo Amici con Romano Bilenchi. Nel primo capitolo, Torino 1931, domina la figura di Mino Maccari, un uomo "buono e altruista". Maccari era ed è un uomo molto libero, mai fazioso. Un grande umorista. Se in quegli anni lontani era fascista, lo era molto a modo suo: direi meglio che era già allora un populista. I suoi disegni, le sue xilografie più belle pigliavano in giro certi aspetti negativi del fascismo. Partecipò alla marcia su Roma vestito con un maglione nero, un impermeabile da donna color crema e invece della pistola un pollo spennato. In più teneva in mano un lume a petrolio. Nella famosa soIL CONTISTO _staa Orte scrisse su un muro: "O Roma o Orte". Dopo l'esperienza alla "Stampa", fu mandato al "Popolo d'Italia", ma durò poco. Venne inviato a far la cronaca di una cerimonia fascista; al ritorno, mentre si accingeva a scrivere il pezzo, vomitò tutta la colazione sulla scrivania. Uscì e non lo videro più. L'ho rivisto qualche anno fa: per fortuna è sempre lo stesso. Rapallo 1941: qui il protagonista è Ezra Pound, ritratto con ammirazione, compassione e divertimento. Con lui parli anche di Hemingway, che ammiravi molto. Per me Hemingway è lo scrittore che ha risolto la crisi della narrativa mondiale creata da Joyce. Ha colto come pochi il senso del tempo in cui è vissuto: un vero scrittore sociale. Di lui ovviamente prediligo Fiesta e i racconti. Sempre in questo capitolo definisci Carlo Bo "la nostra guida spirituale". Grazie a Bo mi sono definitivamente ripulito della provincia e del fascismo. Era allora uno cÌeipochi che aveva letto tutto e di tutto. È stato ad esempio lui a introdurre la poesia spagnola in Italia. Il terzo capitolo, Il marchese, è ambientato al caffè della Giubbe Rosse. Un caffè mitico ... Era il nostro punto d'incontro. Ci incontravamo di sera: una ventina di amici. Ricordo che di toscani ce n'erano quattro su venti: Bigongiari, Bonsanti, Luzi e io. Arriva ora lo splendido e famoso capitolo su Rosai: I silenzi di Rosai. Vi si nota anche una tua competenza benprecisa inpittura. A quando risale questa tua passione? Ai tempi della scuola elementare. Grazie a Maccari e a Rosai la sviluppai al massimo. Ricordo che giravo l'Italia per mostre. E quando hai cominciato a interessarti al giornalismo? Fu un capocronista della "Stampa" - purtroppo non ne ricordo il nome - a entusiasmarmi di questo mestiere, e mi dissi: "Voglio farlo anch'io". Sempre in questo capitolo scrivi: "Per me l'amicizia è superiore a qualsiasi divergenza politica". L'amicizia è il valore più alto, io sono molto fedele alle amicizie; penso a quella con Luzi o con Bo o con Macrì. O con Rosai che era tutto, insieme ad es.empio coraggioso e vigliacco. 17

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