DISCUSSIONE/GIACCHÈ Il montaggio di Autoritratto di gruppo simula o simboleggia la dinamica e la sregolatezza dei ricordi. Di quelli personali dell'autrice, di quelli degli intervistati, di quelli raccolti da fonti scritte, di quelli datati con precisione, di quelli senza tempo e senza spazio, adoperati come fondali di sentimento o come esercizio della ragione. vivace e perfino troppo espansivo, quella memoria non è certamente viva, ma è salva. La corrente di intimità in cui si trova immersa, la protegge senza contaminarla. Il trucco è riuscito. Il privilegio della testimonianza "Inaugurazione dell'anno accademico. Il rettore in ermellino e mazza, le pellicce un po' fanées. Diciassette anni - ha detto - da quando questa cerimonia fu interrotta per gravi eventi, il fatidico anno accademico '67-68". Il Sessantotto è un anno e un argomento da trattare con prudenza, anche se poi ci fa ridere il riserbo del rettore. Ma è proprio riassaggiando il gusto di quell'irrisione - che dunque può essere ancora evocata - che ci si accorge del tipo e del perché di tanta delicatezza. Non c'è nostalgia di giovinezza che tenga, è ancora un problema di memoria: abbiamo lasciato lì, o in quei paraggi, una situazione di contraddizione che ancora viene da rimpiangere. Scrive la Passerini in un paragrafo dedicato alle "Origini": "La nostra identità si costruisce a partire da contraddizioni. Anche i racconti che sottolineano la continuità della propria vita estraggono dalla materia autobiografica - per quanto riguarda gli anni della formazione - i temi ricorrenti della scissione, della differenza, del contrasto". A quel contrasto si resta affezionati; contro la forzata educazione a pacificarlo, si è sempre tentati dall'entusiasmo spontaneo in favore del "superamento" (delle contradd_izioni), inteso come indefinita iterazione di un passaggio attraverso il trionfo ... A quel contrasto è dedicato il '68: in rapporto a quello ci si può spiegare la visione e la vita per nulla totalitaria, in quello che "era un universo totalizzante, in cui il privato e il pubblico si mescolavano". La consapevolezza della contraddizione e l'abitudine alla contrapposione davano energia e insieme rendevano relativo sia l'imperativo della contestazione globale come ansia di fabbricare e far crescere la giustizia, sia il mito dell'ininterrotta rivoluzione come modello di una più piccola lotta continua da portare nelle cose e nelle persone di tutti i giorni, fino al particolare del "fra noi", fino al dettaglio del "fra sé e sé". "Contrapposizioni di classe, di regioni e di zone, di politica e di religione. Settentrione contro meridione, immigrati antichi contro immigrati recenti, ricchi contro poveri, ricchi da sempre e ricchi da poco. Cultura alta e cultura bassa, lingua italiana e lingua locale". Quell'Italia divisa e litigiosa, ricordata come connotato delle "Origini", è il paesaggio di cui si prova una ragionevole eppure dissennata nostalgia. Si può meglio spiegare e capire a fronte del presente unidimensionale, allora soltanto in profezia, oggi imperante. Come a fronte dell'attuale accettata impotenza, ogni volta che appare come l'atteggiamento indotto da un irrefutabile valore esterno, invece che come sensazione o riflesso di una mancanza, di una sconfitta: il clima culturale - e di più i suoi strumenti e organizzazioni inattaccabili e capillari (il sistema?) - è di una soffocante nuova convenzionalità. Il conformarsi non dà più lo spazio e il senso per il suo contrario: il . 14 conformismo dunque non esiste più. Come riuscire allora ad alimentare o a sperimentare le alterità o le differenze? Oppure, come riuscire a farne a meno? Questi interrogativi o, se si preferisce, queste ingenuità, si rinviano di solito al Sessantotto come in un rifugio. Chiunque oggi li vivrebbe con incertezza e vergogna. La memoria di allora viene a essere paradossalmente utilizzata alla stregua della rimozione. Questo, se non la sacralizza, certo la tramuta in zona di intimità e riservatezza. Più che anno di origine degli attuali cambiamenti, sembra che il '68 faccia letteralmente da contraltare; nella memoria individuale quella data, anche contro la ragionevole evidenza, spiega la parte di identità che è rimasta "contro lo spirito del tempo". Né senza questo contrasto con il presente, alcuni potrebbero più definire i propri valori. È certo comunque che il '68 è proseguito oltre i suoi avvenimenti e perfino oltre i suoi protagonisti. L'uso traslato è arrivato a coprire o a scomunicare qualunque atteggiamento di ribellione giovanile, di contestazione o provocazione o derisione delle forme convenzionali e istituzionali. Il sospetto di un nuovo '68 si è affacciato a ogni minima espressione di protesta scolastica e non. La sostanza dell'esperienza si è appesantita e inorgoglita di attribuzioni anche improprie, ma è pur vero che ha segnato una generazione e così ha permesso che appunto le generazioni, in quanto tali, potessero ancora differenziarsi (per l'ultima volta?) attraverso la modalità drammatica del conflitto. Eppure, vista più da vicino, la generazione si frantuma in più piccoli gruppi, quasi secondo i cicli scolari. O ancora, la generazione si ritrova suddivisa a seconda della selezione delle esperienze, delle precocità e dei ritardi, delle attese e delle delusioni di volta in volta provate davanti alle occasioni edificabili o disponibili. Appartengono dunque al '68 persone distanti, anche per l'età: i rari predecessori che ne avevano sperato e predicato l'avvento, un certo numero di appena laureati ma non ancora integrati, la gran parte degli studenti delle università, e quanti si incuriosirono e si contagiarono degli studenti medi. Per tacere degli epigoni e degli eredi. A ciascuno è toccato il privilegio della propria testimonianza, ma, dentro i vari gruppi e possibili sottogruppi locali, le frequenti rivendicazioni di storie individuali e di attraversamenti personalissimi sono spesso · una difesa contro un'evidente ed eccessiva somiglianza di vita e di soggettività. All'interno dei gruppi la sostanza dell'esperienza è collettivamente riconosciuta. Per esempio quell'eccesso di riso, di scherzo, di gioia entusiastica o di festa scadente, che nell'Autoritratto di gruppo è dipinto anche come interdizione e ostilità verso la depressione e i singoli depressi, è più intenso e più tipico della fascia generazionale "nata" dentro il '68, miracolata dalla scoperta di una.soggettività collettiva, piuttosto che attratta dal valore del collettivismo. Così come l'autrice si rivela invece come appartenente di una generazione appena più vecchia: di quelli che anticipano sensazioni e politiche ribelli con lo stigma - o il marchio di garanzia, a seconda dei punti di vista - dell'unicità, nei tempi in cui il contratto di solidarietà e affetto
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