la memoria contro la storia Incontro un amico che non vedevo dal '68. Combinazione da ventennale: in un altro anno o periodo avremmo lo stesso ricordato quei tempi, sarebbe stato inevitabile, ma non ci saremmo sognati di parlare di Storia. "Nel '68 in Italia non è successo niente - mi dice-, anzi a riguardare i vecchi calendari e i giornali, gli annuari e le enciclopedie, è un anno che non c'è stato affatto. Non l'hanno contato, è stata una svista. La fretta e il progresso l'hanno fatto saltare per errore. Per questo adesso cercano di riparare mettendo su la sua celebrazione. Tutto quello che la gente dice di aver fatto o provato o pensato in quell'anno, era già successo prima. Come hanno sfacciatamente retrodatato un sacco di cose che sono accadute dopo". Lo scherzo sta in piedi. La storia che, come poi dovemmo ammettere, è fatta di nomi e di date, non segna in esclusiva nessun avvenimento veramente innovante, "sessantottino". Il maggio francese, l'agosto cecoslovacco, quelli sì. Ma in Italia si può dire che il '67 e il '69 sono in grado di mangiarsi tutto quello che c'è in mezzo. Il '68 è un delirio della Storia? L' ecmnesia è classificata tra i deliri della memoria. Il passato è scambiato col presente: la memoria costituita con la memoria costituente. A pensarci bene, una volta liberata dai capitoli del tempo convenzionale, sollevata dallo sforzo e dal- )'ossessione di una "memoria della memoria", la situazione non sembra affatto patologica. Il lago della memoria è aperto e disordinato, come dimostrano i sogni. Come talvolta dimostrano i piccoli inconfessati miracoli delle visioni, o le grandi dichiarate ubriacature delle droghe. Ma, per il libro di psicologia, l'ecmnesia è "uno stato frequente che si può incontrare in tutte le situazioni patologiche alle quali si accompagna una dissoluzione della coscienza''. Potrebbe fare al caso nostro: dal '68 ad oggi si è forse vissuta una qualche dissoluzione della coscienza? Facciamo la prova: viene più facile e giusto ridiscendere con la memoria fino al '68, ovvero risalire più compostamente la storia da allora ad oggi? L'uno e l'altro senso, oltre a provocare confusione, si confondono essi stessi? Luisa Passerini è una che scrive storia e che raccoglie memoria. Ha fondato se non il suo mestiere, il suo valore e la sua notorietà nella scommessa di conciliazione di questo doppio binario. Era inevitabile che la storia orale la spingesse troppo in avanti, fino al passato troppo prossimo, fino al "presente storico"; la miniera dell'oralità ha sempre meno profondità da offrire, esce presto a cielo aperto. Era presumibile che la sfida della memoria arrivasse troppo vicina a sé, fino alla tentazione di comprendervi i propri ricordi o di essere usata come auto-analisi. Dev'essere così che il progetto di una ricerca internazionale sulla memoria del Sessantotto ha dato origine anche un a Autoritratto di gruppo (Astrea-Giunti), con l'autrice in qualche modo fuori dal quadro, ma solo perché collocata nell'abbondante cornice che lo contiene. Anzi il gioco è quello di ritrovarsi sfumata all'orizzonte intero che avvolge il ritratto, impegnata a trasparire DISCUSSIONE/GIACCHI nello sfondo e, come spettatrice, piazzata in modo da impedirne la vista - diretta - agli altri, ai lettori. È un ritratto di gruppo rigidamente mantenuto nel suo interno. È questa comprensione e avvolgente partecipazione che lo rende autoritratto, nel senso di ritrovato o acquistato per il proprio album, perché vi si trovasse immerso, sposato. Il libro finge di perdersi fra passato e presente, di volersi confondere fra la ricerca e la testimonianza, fra la propria e l'altrui memoria, ma la contraddizione che lo motivà e lo sostiene è ancora quella professionale, fra storia e memoria. "Ho letto anche molti giornali, ne ho osservato le foto, dove i miei intervistati compaiono splendidi, giovani, decisi. Tutto sembra molto lontano, arcaico, al sicuro in questi archivi, di dove la ricerca ne resuscita l'immagine come un'olografia. Solo l'archivio dà questo tipo di emozione, non la memoria''. La memoria, viene di continuare, non è una fonte. Non è un contenitore, ma un "interno". Vagliarla o distillarla per ottenere scrittura di storia, può essere quasi un gesto di violenza e di magia, un po' come il procedimento dei cacciatori di teste: occorre l'esagerata distanza della morte, e attendere altro tempo, molto altro tempo al sole. La memoria può essere interrogata, ma non oggettualizzata; e, nonostante la rigorosa moda informatica dei nostri tempi, la memoria non è sinonimo di ordine. Più si cercano in lei le verità e le energie delle relazioni in vita, meno sarà simile od obbediente alla cronologia, che è ancora largamente sinonimo di storia. Più risulterà oggettiva e attendibile, meno apparirà vitale e dunque meno servirà il suo contributo. La memoria - quella tutta intera, che vale la pena di interrogare e di usare - sarà sempre patologicamente confusa con il presente, sempre così inscindibile dal soggetto, da attrarre il desiderio e la libertà di memoria del soggetto esterno che la spia. Allora, se per il ricercatore la distanza non è troppa o non è garantita, come evitare il "parlare di sé"? E come distinguerlo? Il trucco dell'Autoritratto di gruppo è nella costruzione di un finto e regolato gioco di interferenze: il montaggio simula o simboleggia la dinamica e la sregolatezza dei ricordi. Di quelli personali dell'autrice, di quelli - divenuti docu- · mento - degli intervistati, di quelli raccolti da fonti scritte e però come posseduti e riciclati nel proprio "orale". Di quelli datati con precisione, dal '68 ai progressivi dintorni, di quelli relativi al "presente" della ricerca e della scrittura, di quelli senza tempo o senza spazio, adoperati come fondale di sentimento o come esercizio della ragione. Il libro si presenta come fosse il racconto della quotidianità e dell'esistenzialità - anche contingente, ma non casuale - di un periodo e di un tentativo di ricerca sul '68; ma poi si presta davvero a contenerne la memoria. La scatola che sta al centro è forse la testimonianza corale più efficace e riuscita del momento e del movimento di allora. Ordinata e razionalizzata inveceche liberata, la memoria degli intervistati non rischia compiacimenti consolatori, mentre controlla quelli potenziali del lettore. Costretta all'interno di un involucro autobiografico più 13
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==