Linea d'ombra - anno VI - n. 29 - lug./ago. 1988

DISCUSSIONE/BACIGALUPO fatto da qualche bestia grigia che ne ricaverà denaro e onori accademici. Io invece morirò in un fosso perché non ho osservato il comandamento che dice: 'Rispetterai le imbecillità dei tuoi maggiori affinché il tuo ventre venga ingrassato dalle prebende che è loro dato conferire' ". È una saggia norma accademica a cui si conoscono rare eccezioni, ma vi sono momenti in cui essa non sembra garantire un turnover abbastanza rapido, il caso, secondo alcuni interpreti, del Sessantotto, e allora esplode il conflitto. Il modernismo può dunque leggersi anche come una lotta per il potere, non miseramente accademico, ma culturale in senso lato, una lotta animata da percezioni reali di una crisi che si cerca di ignorare, da un talento assai notevole, e conclusa con l'effettiva riscrittura della tradizione passata e presente in primo luogo culturale ma poi anche accademica. Gli studenti leggono ancora all'università e già a scuola, nonostante qualche sporadica rivolta successiva, i libri che piacevano a Eliot e Pound, non quelli amati da Robert Bridges o fohn Middleton Murry o Mario Praz, il quale certo in Inghilterra era più vicino ai Georgiani arcadici che agli Imagisti o Vorticisti e loro seguaci, cioè agli inglesi che agli americani e angloirlandesi... · Antistoricismo, ironia, contestazione/riaffermazione della tradizione, contaminazione dei generi: questi tratti della poetica modernista si ritrovano dunque nelle traduzioni nate in questo ambito, anzi lo stesso concetto di traduzione verrà messo in questione dando luogo, se si vuole, a tutta la fenomenologia dell'opera modernista. Così troviamo secondo i casi, e spesso in una stessa opera, traslitterazione, calepino, traduzione letteraria, imitazione, rifacimento, citazione, metodo mitico, parodia ecc. Pound fa la parte del leone in questo contesto, giacché più spesso di altri s'innamora d'una pagina e pratica con essa tutto un Kama Sutra di accoppiamenti possibili. I Cantos cominciano con una traduzione volutamente camuffata di Omero e finiscono con una citazione dell'allodola di Bernart de Ventadorn e sono un'imitazione della Commedia e delle Metamorfosi, proprio un ircocervo di scritture composite, tutte in varie maniere traduttive. Ma fra le cose più belle di questo poeta ci sono anche altre imitazioni e traduzioni originalissime, dal Seafarer all'Omaggio a Sesto Properzio alle Odi confuciane alle Trachinie: tutte opere a loro volta tradotte in altre lingue, il che lascia subito intendere la loro particolarità e novità. A un livello meno vistoso, rapporti analogamente vari e complessi con testi preesistenti determinano opere esemplari e ormai imprescindibili di quella stagione. Eliot è ossessionato da frasi di Dante, Cavalcanti e Mallarmé e ce le ridice, se ne appropria nella sua lingua; Joyce riscrive Omero e Giambattista Vico; Williams inseriscebrani di Saffo e Teocrito nelle sue opere e nel poema Paterson facendoli parlare, contro Pound ed Eliot, quello ch'è per lui l'americano genuino; Marianne Moore dedica (spreca secondo alcuni) anni a tradurre integralmente La Fontaine ... I seguaci, da Allen Tate e Louis Zukofsky a Robert Duncan, seguiranno questa scia, leggendo riscrivendo imitando. Fa eccezioneWallace Stevens, di cui non si conosce una sin100 Ezra Pound (foto di Vittorugo Contino) e T. S. Eliot (foto di Cecil Beaton, Londra, National Portrait Gallery). gola traduzione, giacché egli tende a scrivere un'opera autonoma, assolutamente autoreferenziale, portando all'estremo l'antistoricismo e i modi ironici dei suoi coetanei. Ma per lui si può parlare di traduzione interna, da linguaggio comune in linguaggio poetico o cifrato, e anche di un rapporto intertestuale con la tradizione romantica e simbolista inglese e franéese. Mentre i modernisti esuli avevano svuotato il concetto di originalità, Stevens ne fa quasi il fulcro del suo lavoro, riallacciandosi a Whitman ed Emerson. Per lui tradurre è inevitabilmente rifare e che ragione può esservi di rifare quando c'è tanto da/are? Così nel 1944 scrivendo ad Allen Tate per ringraziarlo di una sua traduzione del Rervigilium Veneris (un testo canonico del modernismo da quando era stato citato da Pound ed Eliot in prosa e versi), aggiunge questa punzecchiatura: "Perché spendete tempo a tradurre la poesia di altri?" È una domanda semplicissima che fa riflettere, ma certo nella stragrande maggioranza dei casi tradurre, a differenza di scrivere poesia in proprio, è un'attività socialmente e culturalmente di qualche utilità. E per il poeta modernista tradurre/imitare può essere un'operazione assolutamente essenziale, quella in cui egli meglio si esprime, avendo trovato nell' "originale" una struttura, per dirla con un celebre luogo di Eliot (Ulysses, l'ordine e il mito), con cui ordinare il caos della contemporaneità. È il caso dell'Omaggio a Sesto Properzio di Pound, in cui Edoardo Sanguineti ravvisava di recente ("L'Indice", marzo 1986) il centro dell'opera poundiana, compiendo acutamente in un'unica soluzione un percorso che altri critici vanno percorrendo più lentamente. L'originalità di Stevens ha causato e continua a causare problemi ai suoi lettori, rendendo una buona parte della sua opera arida e confusa non meno di certi canti, anch'essi ahimé originali, di Pound: ed è probabile che le traduzioni e imitazioni di quest'ultimo continueranno a trovare più estimatori di certi gelidi poemetti stevensiani. Entrambe comunque, originalità proibitiva e imitazione irriverente, sono lezioni difficili da recepire. Imitatori del tono sboccato con cui Pound ha rifatto i classici ve ne sono stati tanti, di solito poco felici (il Catullo di Peter Whigham, quello affatto mostruoso di Louis Zukofsky); e nessuno-·siaugura di ripetere il purgatorio di una lettura di Stevens con un suo imitatore. Mais d'abord il/aut etrepoète, recita il vecchio adagio, se ci si vuole prendere certe libertà: lo dimostrano le Imitations (1961) di Robert Lowell, che ha talora saputo essere, come per l'episodio di Brunetto Latini nella Commedia, traduttore insieme felice e rispettoso. Un'altra via, quella dell'elaborazione moderata della lezione modernista, è seguita da Robert Fitzgerald nella sua Odissea del 1961: semplicità di linguaggio, asciuttezza, rifiuto della cadenza epica, ma sostenuti da una attenzione costante alla lettera originale. "La bellezza è un breve tirare fiato fra un cliché e un altro", osserva ancora Pound nel suo saggio sui traduttori elisabettiani. La traduzione, allo stesso titolo dell'originale, è un modo di costituire uno di questi fiati o gasps. li cliché, per Pound come per Sanguineti, è il "poetese"; la bellezza è invece la percezione extralinguistica che entra nella lingua. Tutti

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==