Linea d'ombra - anno VI - n. 29 - lug./ago. 1988

- LUGLIO/AGOSTO 1988 - NUMERO 2'} ' mensile di storie, immagini, discussioni UYMONDQUENEAU: FILOSOFIETEPPISTI CARLOEMILIOGADDA: NOVETESTIRITROVATI CYNTHIA OIICK: LmERATURAEPOLITICASESSU. ROBERT S EINER: ILROMANZOPOST-MODERNO KENIABUROE: DALLAPARTEDEIMARGINALI i.' MIGUELBONASSO:OESAPARECIOOS POESIEDIFAYCHIANGESALVADOR ESPRIU UCCONTIITALIANI ESTUNIERI I BAMBINIEL'OSPEDALE SPED. IN ABB. POSTALE GR. 111-70%- VIA GAFFURIO, 4 - 20124 MILANO LIRE10.000

LeggereEinaudi Primo Levi Opere Volume secondo Romanzi e poesie I romanzi di invenzione (Lachiave a stella,Se non ora,quando?) con cui Levi si è affermato scrittore a pieno titolo, e le poesie (Ad oraincerta), originale elaborazione dei suoi temi civili e umani. Introduzione di Cesare Segre. «Biblioteca dell'Orsa», pp. xxxv-640, L. 42 ooo Tahar Ben Jelloun Notte fatale Nel romanzo che ha vinto il Premio Goncourt 1987 la storia di Ahmed, nato femmina dopo sette sorelle e cresciuto come maschio per volere del padre, conosce uno sviluppo imprevedibile. A cura di Egi Volterrani. «Supercoralli», pp. 165, L. r8 ooo Fabrizia Ramondino Un giorno e mezzo Napoli, settembre 1969: la storia di una generazione divisa tra la passione d'un futuro da inventare e lo smarrimento d'una perduta misura del vivere. «Supercoralli», pp. 207, L. 22 ooo IanMcEwan Bambini nel tempo Il mistero di una bambina rapita e inutilmente ricercata attraverso i percorsi della memoria, è al centro del nuovo romanzo del piu sottile e inquietante scrittore inglese d'oggi. Traduzione di Susanna Basso. «Supercoralli», pp. 221, L. 22 ooo EricRohmer La mia notte con Maud Sei racconti morali Il cinema di Rohmer nasce da questi racconti: storie di emozioni appena accennate, di donne forti, di amori difficili. A cura di Sergio Toffetti. Traduzione di Elena De Angeli. «Supercoralli», pp. x-227, L. 24 ooo Silvina Ocampo e Adolfo Bioy Casares Chi ama, odia Un albergo in un luogo isolato, gioielli rubati, un detective che mischia le carte in un romanzo che si trasforma in gioco raffinato sul filo di molteplici indizi. A cura di Angelo Morino «Supercoralli», pp. 137, L. 16 ooo Marguerite Yourcenar Memorie di Adriano seguite dai Taccuini di appunti In edizione tascabile uno dei grandi romanzi dei nostri anni. Con un saggio in cui Lidia Storoni Mazzolani, traduttrice d'eccezione, traccia un ritratto inedito della Yourcenar. «Gli struzzi», pp. 333, L. 15 ooo Mario Fortunato Luoghi naturali «Fortunato appartiene a quel genere di scrittore raro nella letteratura italiana di oggi che pur partendo da uno stato d'animo poetico riesce tuttavia ad essere narratore» (Alberto Moravia, «Corriere della Sera»). «Nuovi Coralli», pp. 153, L. ro ooo Arduino Cantàfora Quindici stanze per una casa Quindici storie visionarie costruiscono una minuziosa architettura dell'immaginario. «Nuovi Coralli», pp. 255, L. 16 ooo Louis-Ferdinand Céline Casse-pipe Le disavventure del corazziere Céline, ovvero un viaggio al termine di una sola incredibile notte, alla vigilia della Grande Guerra. Questo romanzo incompiuto resta uno dei grandi libri di Céline. A cura di Ernesto Ferrere. «Nuovi Coralli», pp. 123, L. ro ooo Massimo Mila Lettura del Don Giovanni di Mozart Dopo Le nozze di Figaro, Mila ci offre ora una magistrale lettura del capolavoro mozartiano. «Pbe», pp. v-264 con 27 esempi musicali nel testo, L. 16 ooo Jean-Jacques Pauvert Sade Un'innocenza selvaggia. 1740-1777 Sade privato: gli inizi d'una tragica carriera di libertino. «Saggi», pp. xx-344, L. 34 ooo André Chastel Favole Forme Figure Questi saggi del grande storico francese spaziano dal '400 al '900, indagando la tradizione dei generi e l'evoluzione delle tecniche, e i significati simbolici di immagini e figure della storia dell'arte. Traduzione di Marisa Zini e Maria Vittoria Malvano. «Biblioteca di storia dell'arte», pp. xx1-282 con 155 illustrazioni fuori testo, L. 65 ooo Successi: Rosetta Loy Le strade di polvere Premio Campiello. «Lo consiglio perché è un libro fuori del consueto che si legge con molta passione». (Natalia Ginzburg, L'Espresso). «Supercoralli», pp. 245, L. 20 ooo Seconda edizione. Sebastiano Vassalli L'oro del mondo Finalista Premio Comisso. «Supercoralli», pp. v-175, L. 18 ooo Tahar BenJelloun Creatura di sabbia A cura di Egi Volterrani. «Supercoralli», pp. 175, L. 18 ooo Seconda edizione Bohumil Hrabal Una solitudine troppo rumorosa Unica versione integrale, a cura di Sergio Corduas. «Supercoralli», pp. 121, L. 14 ooo

Rimini,Riccione,Bellaria-lgea M rina,Cattolica, MisallOAdriatico, ·~ Santarcangelo Veracchio s sollOassociate inRimini& Co. · I~~ l'impresaearopeadelleoacanze ... ~ -- - . . e e cultura è cornunicazwn . comprensorio turisticod'Europacordialitàconvivialità consolidat ospitalitàcoinvolgimento cosmopolitismo costae collinaconchigli corollecozzecoccinelle cocomeri cocktails compagni di giochie di avventure controcor ••m rentecontagiare d'allegriacorpicolo : · ritiecolorati col ombiecolombelle conigliette conos cereco~eggiare c ~ onturbareco nquistarecorrispo •~mzs~~ nderecotta coccole coppiaconi ----- !l!rl__.~!: gelatoeco ppedichampag necomfort cortesiacorrobor ~..-.: -L__.- arsicorrerecom unicazione ecultur ~ rr:==~~:I\~~=-- acompetizioni c • • RIMINIRICCIONE BELLARIA-IGEA M RINA CATroUCA MISANOADRIATICO SAN'&\RCANGEW VER;T&O ~~ rA Azienda di PromozioneTuristica delCircondario di Rimini ngress1econvegni cooperazione c certi coloridellanottecol azioneinriva lmar eall'albacolbombolo necolmodellafelicità. 47037Rimini/Piazz.ale Indipendenza, 3 T.0541-51331

,. lti terra . \ piu amata voci della letteratura palestinese a cura di Pino Blasorie Tommaso Di Francesco Introduzionedi Luce d'Eramo Nellemigliorilibrerie.L. 20.<XXl DistribuzionePDE il manifesto

Direi/ore Goffredo Fofi Direzioneeditoria/e Lia Sacerdote Gruppo redazionale AdelinaAletti, GiancarloAscari,Mario Barenghi, AlessandroBaricco,StefanoBenni,Alfonso Berardinelli,Paolo Beninetti,Gianfranc,pBettin, Franco Brioschi,MarisaCaramella,CesareCases, SeverinoCesari, GraziaCherchi,FrancescoCiafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, VincenzoConsolo, Stefano De Matteis, Bruno Falcetto,Fabio Gambaro, PiergiorgioGiacché,AurelioGrimaldi,Giovanni Jervis, Filippo La Pona, Gad Lerner, Claudio Lolli, Marco Lombardo Radice,Maria Maderna, Luigi Manconi, DaniloManera, Edoarda Masi, Santina Mobiglia,Maria Nadotti, AntonelloNegri, Cesare Pianciola,GianandreaPiccioli,Bruno Pischedda, FabriziaRamondino,AlessandraRiccio, Robeno Rossi, Franco Serra, Marino Sinibaldi,Paola Splendore,Gianni Turchetta,EmanueleVinassa de Regny, Gianni Volpi. Progel/oGrafico Andrea Rauch/Graphiti Ricercheiconografiche Carla Rabuffetti Relazionipubbliche MiriamCorradi Pubblicitàsei/oreeditoriale EmanuelaMerli ViaGiolitti, 40 - 10123 Torino Tel. 011/832255 Hanno inoltrecollaboratoa questonumero: Antonio Aliverti, FilippoAzimonti, Paola Bensì, laia Caputo, FrancescoCavallone, Paola Costa, VincenzoCottinelli, Roberto Delera, Franca de Dominicis, Giorgio Ferrari, GiovanniGiovannetti, Giovanni Giudici, ReginaHayon Cohen, Laura Lepetit, Bruno Mari, Vanna Massarotti Piazza, Roberta Mauanti, Claudio Meldolesi,Grazia Neri, Cristina Peraboni, Emanuela Re, Marco e Anna RossiDoria, Franca Valerio, FrancescaZannese, e le librerie Cooperativa LibreriaPopolare di Via Tadino 18 e Feltrinellidi Via Manzoni a Milano. Editore Linea d'Ombra Edizionisrl Via Gaffurio, 4 - 20124 Milano Tel. 02/6690931-6691132 Fotocomposizionee montaggi multiCOMPOS snc Distribuzionenelleedicole MessaggeriePeriodiciSpA aderente A.0.N. Via Famagosta, 75 - Milano Tel. 02/8467545-8464950 Distribuzionenelle librerie POE - VialeManfredo Fanti, 91 50137 Firenze - Tel. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini, 6 Buccinasco(Ml) - Tel. 02/4473146 LINEA D'OMBRA mensiledi storie, immagini,discussioni Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393 Direttore responsabile:Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo Ill/70"7o Numero 29 - Lire I0.000 Abbonamenti Abbonamento annuale: 1TALIA: L. 50.000 da versare a mezzo assegno bancario o clc postale n. 54140207 incestato a Linea d'Ombra ESTERO: L. 70.000 I manoscrilli non vengono restituiti Si risponde a discrezionedella redazione. Si pubblicanopoesiesolo su richiesta. UNIID'OMBRA anno VI luglio/agosto 1988 numero 29 EDITORIALI 12 92 94 97 99 Piergiorgio Giacché Alessandro Baricco Mario Barenghi Stefano Ve/atti Massimo Bacigalupo Autoritratto di gruppo, in un interno Ancora una volta L'esperienza estetica Le vje della decostruzione Modernismo e traduzione IL CONTESTO 16 Memoria (G. Fofi su Manlio Rossi-Doria); Incontri (con Romano Bilenchi a cura di G. Cherchi); Confronti (G. Fofi su Fabrizia Ramondino, G. Turchetta su V. Cerami, G. Bufalino e G. Rugarli); Consigli/sconsigli (G. Cherchi sui libri per l'estate); Horror (S. Benni sul diario di Simon Shillaber); Cinema (G. Volpi su li pranza di Babelle e Zoo di vetro); Musica (M. Lorrai su Prince); Televisione (O. Pivetta sulla noia dei varietà). POESIA 68 83 Fay Chiang Salvador Espriu STORIE 4 47 61 65 78 85 86 87 90 Elfo AA.VV. James Alias Catherine Texier Miguel Bonasso George Tabori Bruno Arpaia Salvatore Solinas Rolando Zorzi INCONTRI 50 58 72 Cynthia Ozick Robert Steiner Kenzaburo Oe SAGGI 28 33 43 54 Raymond Queneau Carlo Emilio Gadda Nicola Mero/a Cynthia Ozick Promemoria Temporale pomeridiano a cura di Mario Maffi Poesie a cura di Alberto Cristo/ori Identità, segreti L'ospedale ha i cuochi salati Il lettore di manoscritti Scene di vita a New York Ricordo della morte a cura di Joaqufn Sokolowicz Guardie e ladri Il vecchio e il male Racconto La scatola di scarpe Il senso esiste a cura di Maria Nadotti Il romanzo post-moderno negli U.S.A. a cura di Roberto Cagliero Dalla parte dei periferici a cura di Ry6ji Nakamura Filosofi e teppisti Otto articoli e una recensione a cura di Lamberto Montanari A scuola da Gadda Letteratura e politica sessuale 103 104 Gli autori di questo numero La copertina di questo numero è di Elfo (distr. Storiestrisce)

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DISCUSSIONE/GIACCHi AUTORITRA11ODI GRUPPO, IN UN INTERNO Piergiorgio Giacchè I testimoni privilegiati Sarà certo capitato anche a qualcuno di voi di sentirsi rammentare che sono passati vent'anni dal 1968. In effetti, apescare con un po' di attenzione non in mezzo agli avvenimenti - ché quelli non interessano a nessuno - ma tra gli "eventi", si potrebbero raccogliere le segnalazioni di numerose iniziative curiosamente coincidenti. Quasi si volesse o dovesse celebrare, che so?, una sorta di "ventennale" del '68. Ma sì, chiamiamolo così... Vent'anni sono un tempo sufficientemente antico e non ancora perduto: ottimale per l'invenzione di una tradizione che riassuma e assolva i precedenti tradimenti. La scadenza utile per la possibile ascesa dei valori e la caduta in prescrizione dei reati. Sembrano un tempo liturgico: l'ora solenne in cui si possono aprire gli animi al perdono, ovvero almeno ai favori dell'ultima simonia, quella delle indulgenze. A un certo punto la Storia fa comodo, e la memoria diventa facile. È s.trano, dopo anni di sviluppi e cambiamenti e deviazioni, dopo un "decennale" in cui si è festeggiata la svendita e l'oblio, quanto facilmente e improvvisamente fluiscano i ricordi. Prima sui giornali e davanti alle telecamere, poi anche dal vivo, in convegni e conferenze giocate a metà fra le vecchie lezioni cattedratiche e i nuovi corsi di apprendimento. Infine anche in redivivo, allestendo party/revival dentro le gloriose università, stavolta veramente "occupate", fra studenti e professori di allora, cioè fra professori di allora e professori di oggi (con qualche senatore in più), con la presenza optional di Autorità e Questori, in memoria dell'Autoritarismo e della Repressione, come compariva allora nei titoli di testa: tanto per far capire che differenza passa - ritrovata la calma e l'ottica giusta - fra le guerre civili e le battaglie civili, com'erano in definitiva le scaramucce di allora. Nel nervosismo della ricostruzione dei fatti e della riconsiderazione dei fenomeni, i vari, eppure sempre i soliti, "testimoni privilegiati" non sono sempre d'accordo; sono comunque concordi nell'ambizione e nella necessità di passare (letteralmente) alla Storia. Pertanto scavare nella memoria ed esibire i propri ricordi non è affatto l'atteggiamento dominante: piuttosto sembra di assistere a un febbrile lavoro di riportare in memoria. Non c'è l'ansia, nemmeno narcisista, di recuperare o resuscitare qualche dato o fatto personale, mentre invece si partecipa al festival delle opinioni e dei giudizi - meglio se definitivi - per riportare appunto in memoria, cioè spingere all'indietro e sistemare in bell'ordine, cose che forse continuerebbero a galleggiare confuse nel presente. E, siccome il lavoro pesante dei dragamine è già stato fatto, resterebbero per lo più cose innocue, ma 12 ingombranti sul piano politico e indigeste per la linea, cioè per la cura del personale. Le resistenze di alcuni nel non voler parlare del Sessantotto, nel non voler partecipare alle sue celebrazioni, forse si spiegano così. Non si motivano con i residui del rigore anticonformista, né con le nostalgie sconvenienti di quella Politica prima ridefinita e poi smarrita, né tantomeno con i pignoli distinguo di quella che sarebbe_ stata storia personalissima di ognuno ... Invece è la sensazione inconfessabile di vivere in una cultura e società quasi per nulla segnata dalle pubblicizzate tracce ed eredità di quel momento o di quel movimento, ma tuttavia afflitta dalla permanenza insolubile di alcuni temi e problemi "di allora", ancora non metabolizzati; permanenza di ragioni e valori diventati inoffensivi ma rimasti incoerenti e incomprensibili, verso i quali si ha il sospetto che non sia giusto consegnarli al passato. Meglio sarebbe se, sia pure decomposti, si lasciassero sopravvivere nell'humus in cui si riducono le identità e le bandiere, nello spazio esiguo di una potenziale fertilità, dunque paradossalmente fuori da un certo tipo di ordinata (anche nel senso di ''comandata'') comunicazione. I "testimoni privilegiati" invece non la p<;nsanocosì. Organizzati in speciali manipoli a seconda dell'editore o dell'emittente, si danno da fare per non perdere l'ultima occasione della insistente profezia del "saranno famosi". Non importa se le intenzioni sono quelle di favorire il dibattito di una società e di una sinistra che finalmente "deve fare i conti" con l'annoso problema (e devono tornargli, s'intende!), ovvero se li motiva uno slancio più privato e più generoso, di contribuire al necessario disincanto, con quei giochi di fanciullesca ironia di cui solo loro, padrini dell'effimero, sono stati capaci. Quello che conta è rendersi disponibili al necessario e disinquinante lavoro enzimatico, a cui sono chiamati. E ce ne sono di quelli che, dall'inizio dell'anno, promossi da sessantottini a sessantottologhi, lavorano indefessi a consegnare pareri e memorie, a esaltare lo slancio di un anno inspiegabilmente fatidico, ma anche a minimizzare i drammi e i sorrisi di quella stagione da "città dei ragazzi". Ma allora, se non si vuole la rivalsa e non si ottiene il guadagno, bisogna marxisticamente chiedersi, rubando una citazione classica dai minacciosi contro-volantini del PCI di provincia, "cui prodest?". Insomma, perché? L'indulgenza ha certo i suoi sfumati vantaggi, se si tratta di tollerare di più e meglio il diverso, o lo sconfitto. Ma il fatto è che invece, come decolorante della radicalità, come diluente della dialettica, l'indulgenza diventa l'atmosfera rarefatta della dissolvenza, piuttosto che dell'assoluzione. Ebbene è ora che il Sessantotto vada in dissolvenza incrociata con la situaz"ione presente. In cambio, purgato dai suoi postumi influenzali e perfino dalle metastasi tumorali che gli sono state attribuite, diverrà "storia". Il lavoro dei testimoni privilegiati non sarà stato inutile. Lo si può, anzi, dire parte di un impegno che si può fraintendere come l'esatta prosecuzione di quello allora rivendicato: non dovevamo fare la Storia?

la memoria contro la storia Incontro un amico che non vedevo dal '68. Combinazione da ventennale: in un altro anno o periodo avremmo lo stesso ricordato quei tempi, sarebbe stato inevitabile, ma non ci saremmo sognati di parlare di Storia. "Nel '68 in Italia non è successo niente - mi dice-, anzi a riguardare i vecchi calendari e i giornali, gli annuari e le enciclopedie, è un anno che non c'è stato affatto. Non l'hanno contato, è stata una svista. La fretta e il progresso l'hanno fatto saltare per errore. Per questo adesso cercano di riparare mettendo su la sua celebrazione. Tutto quello che la gente dice di aver fatto o provato o pensato in quell'anno, era già successo prima. Come hanno sfacciatamente retrodatato un sacco di cose che sono accadute dopo". Lo scherzo sta in piedi. La storia che, come poi dovemmo ammettere, è fatta di nomi e di date, non segna in esclusiva nessun avvenimento veramente innovante, "sessantottino". Il maggio francese, l'agosto cecoslovacco, quelli sì. Ma in Italia si può dire che il '67 e il '69 sono in grado di mangiarsi tutto quello che c'è in mezzo. Il '68 è un delirio della Storia? L' ecmnesia è classificata tra i deliri della memoria. Il passato è scambiato col presente: la memoria costituita con la memoria costituente. A pensarci bene, una volta liberata dai capitoli del tempo convenzionale, sollevata dallo sforzo e dal- )'ossessione di una "memoria della memoria", la situazione non sembra affatto patologica. Il lago della memoria è aperto e disordinato, come dimostrano i sogni. Come talvolta dimostrano i piccoli inconfessati miracoli delle visioni, o le grandi dichiarate ubriacature delle droghe. Ma, per il libro di psicologia, l'ecmnesia è "uno stato frequente che si può incontrare in tutte le situazioni patologiche alle quali si accompagna una dissoluzione della coscienza''. Potrebbe fare al caso nostro: dal '68 ad oggi si è forse vissuta una qualche dissoluzione della coscienza? Facciamo la prova: viene più facile e giusto ridiscendere con la memoria fino al '68, ovvero risalire più compostamente la storia da allora ad oggi? L'uno e l'altro senso, oltre a provocare confusione, si confondono essi stessi? Luisa Passerini è una che scrive storia e che raccoglie memoria. Ha fondato se non il suo mestiere, il suo valore e la sua notorietà nella scommessa di conciliazione di questo doppio binario. Era inevitabile che la storia orale la spingesse troppo in avanti, fino al passato troppo prossimo, fino al "presente storico"; la miniera dell'oralità ha sempre meno profondità da offrire, esce presto a cielo aperto. Era presumibile che la sfida della memoria arrivasse troppo vicina a sé, fino alla tentazione di comprendervi i propri ricordi o di essere usata come auto-analisi. Dev'essere così che il progetto di una ricerca internazionale sulla memoria del Sessantotto ha dato origine anche un a Autoritratto di gruppo (Astrea-Giunti), con l'autrice in qualche modo fuori dal quadro, ma solo perché collocata nell'abbondante cornice che lo contiene. Anzi il gioco è quello di ritrovarsi sfumata all'orizzonte intero che avvolge il ritratto, impegnata a trasparire DISCUSSIONE/GIACCHI nello sfondo e, come spettatrice, piazzata in modo da impedirne la vista - diretta - agli altri, ai lettori. È un ritratto di gruppo rigidamente mantenuto nel suo interno. È questa comprensione e avvolgente partecipazione che lo rende autoritratto, nel senso di ritrovato o acquistato per il proprio album, perché vi si trovasse immerso, sposato. Il libro finge di perdersi fra passato e presente, di volersi confondere fra la ricerca e la testimonianza, fra la propria e l'altrui memoria, ma la contraddizione che lo motivà e lo sostiene è ancora quella professionale, fra storia e memoria. "Ho letto anche molti giornali, ne ho osservato le foto, dove i miei intervistati compaiono splendidi, giovani, decisi. Tutto sembra molto lontano, arcaico, al sicuro in questi archivi, di dove la ricerca ne resuscita l'immagine come un'olografia. Solo l'archivio dà questo tipo di emozione, non la memoria''. La memoria, viene di continuare, non è una fonte. Non è un contenitore, ma un "interno". Vagliarla o distillarla per ottenere scrittura di storia, può essere quasi un gesto di violenza e di magia, un po' come il procedimento dei cacciatori di teste: occorre l'esagerata distanza della morte, e attendere altro tempo, molto altro tempo al sole. La memoria può essere interrogata, ma non oggettualizzata; e, nonostante la rigorosa moda informatica dei nostri tempi, la memoria non è sinonimo di ordine. Più si cercano in lei le verità e le energie delle relazioni in vita, meno sarà simile od obbediente alla cronologia, che è ancora largamente sinonimo di storia. Più risulterà oggettiva e attendibile, meno apparirà vitale e dunque meno servirà il suo contributo. La memoria - quella tutta intera, che vale la pena di interrogare e di usare - sarà sempre patologicamente confusa con il presente, sempre così inscindibile dal soggetto, da attrarre il desiderio e la libertà di memoria del soggetto esterno che la spia. Allora, se per il ricercatore la distanza non è troppa o non è garantita, come evitare il "parlare di sé"? E come distinguerlo? Il trucco dell'Autoritratto di gruppo è nella costruzione di un finto e regolato gioco di interferenze: il montaggio simula o simboleggia la dinamica e la sregolatezza dei ricordi. Di quelli personali dell'autrice, di quelli - divenuti docu- · mento - degli intervistati, di quelli raccolti da fonti scritte e però come posseduti e riciclati nel proprio "orale". Di quelli datati con precisione, dal '68 ai progressivi dintorni, di quelli relativi al "presente" della ricerca e della scrittura, di quelli senza tempo o senza spazio, adoperati come fondale di sentimento o come esercizio della ragione. Il libro si presenta come fosse il racconto della quotidianità e dell'esistenzialità - anche contingente, ma non casuale - di un periodo e di un tentativo di ricerca sul '68; ma poi si presta davvero a contenerne la memoria. La scatola che sta al centro è forse la testimonianza corale più efficace e riuscita del momento e del movimento di allora. Ordinata e razionalizzata inveceche liberata, la memoria degli intervistati non rischia compiacimenti consolatori, mentre controlla quelli potenziali del lettore. Costretta all'interno di un involucro autobiografico più 13

DISCUSSIONE/GIACCHÈ Il montaggio di Autoritratto di gruppo simula o simboleggia la dinamica e la sregolatezza dei ricordi. Di quelli personali dell'autrice, di quelli degli intervistati, di quelli raccolti da fonti scritte, di quelli datati con precisione, di quelli senza tempo e senza spazio, adoperati come fondali di sentimento o come esercizio della ragione. vivace e perfino troppo espansivo, quella memoria non è certamente viva, ma è salva. La corrente di intimità in cui si trova immersa, la protegge senza contaminarla. Il trucco è riuscito. Il privilegio della testimonianza "Inaugurazione dell'anno accademico. Il rettore in ermellino e mazza, le pellicce un po' fanées. Diciassette anni - ha detto - da quando questa cerimonia fu interrotta per gravi eventi, il fatidico anno accademico '67-68". Il Sessantotto è un anno e un argomento da trattare con prudenza, anche se poi ci fa ridere il riserbo del rettore. Ma è proprio riassaggiando il gusto di quell'irrisione - che dunque può essere ancora evocata - che ci si accorge del tipo e del perché di tanta delicatezza. Non c'è nostalgia di giovinezza che tenga, è ancora un problema di memoria: abbiamo lasciato lì, o in quei paraggi, una situazione di contraddizione che ancora viene da rimpiangere. Scrive la Passerini in un paragrafo dedicato alle "Origini": "La nostra identità si costruisce a partire da contraddizioni. Anche i racconti che sottolineano la continuità della propria vita estraggono dalla materia autobiografica - per quanto riguarda gli anni della formazione - i temi ricorrenti della scissione, della differenza, del contrasto". A quel contrasto si resta affezionati; contro la forzata educazione a pacificarlo, si è sempre tentati dall'entusiasmo spontaneo in favore del "superamento" (delle contradd_izioni), inteso come indefinita iterazione di un passaggio attraverso il trionfo ... A quel contrasto è dedicato il '68: in rapporto a quello ci si può spiegare la visione e la vita per nulla totalitaria, in quello che "era un universo totalizzante, in cui il privato e il pubblico si mescolavano". La consapevolezza della contraddizione e l'abitudine alla contrapposione davano energia e insieme rendevano relativo sia l'imperativo della contestazione globale come ansia di fabbricare e far crescere la giustizia, sia il mito dell'ininterrotta rivoluzione come modello di una più piccola lotta continua da portare nelle cose e nelle persone di tutti i giorni, fino al particolare del "fra noi", fino al dettaglio del "fra sé e sé". "Contrapposizioni di classe, di regioni e di zone, di politica e di religione. Settentrione contro meridione, immigrati antichi contro immigrati recenti, ricchi contro poveri, ricchi da sempre e ricchi da poco. Cultura alta e cultura bassa, lingua italiana e lingua locale". Quell'Italia divisa e litigiosa, ricordata come connotato delle "Origini", è il paesaggio di cui si prova una ragionevole eppure dissennata nostalgia. Si può meglio spiegare e capire a fronte del presente unidimensionale, allora soltanto in profezia, oggi imperante. Come a fronte dell'attuale accettata impotenza, ogni volta che appare come l'atteggiamento indotto da un irrefutabile valore esterno, invece che come sensazione o riflesso di una mancanza, di una sconfitta: il clima culturale - e di più i suoi strumenti e organizzazioni inattaccabili e capillari (il sistema?) - è di una soffocante nuova convenzionalità. Il conformarsi non dà più lo spazio e il senso per il suo contrario: il . 14 conformismo dunque non esiste più. Come riuscire allora ad alimentare o a sperimentare le alterità o le differenze? Oppure, come riuscire a farne a meno? Questi interrogativi o, se si preferisce, queste ingenuità, si rinviano di solito al Sessantotto come in un rifugio. Chiunque oggi li vivrebbe con incertezza e vergogna. La memoria di allora viene a essere paradossalmente utilizzata alla stregua della rimozione. Questo, se non la sacralizza, certo la tramuta in zona di intimità e riservatezza. Più che anno di origine degli attuali cambiamenti, sembra che il '68 faccia letteralmente da contraltare; nella memoria individuale quella data, anche contro la ragionevole evidenza, spiega la parte di identità che è rimasta "contro lo spirito del tempo". Né senza questo contrasto con il presente, alcuni potrebbero più definire i propri valori. È certo comunque che il '68 è proseguito oltre i suoi avvenimenti e perfino oltre i suoi protagonisti. L'uso traslato è arrivato a coprire o a scomunicare qualunque atteggiamento di ribellione giovanile, di contestazione o provocazione o derisione delle forme convenzionali e istituzionali. Il sospetto di un nuovo '68 si è affacciato a ogni minima espressione di protesta scolastica e non. La sostanza dell'esperienza si è appesantita e inorgoglita di attribuzioni anche improprie, ma è pur vero che ha segnato una generazione e così ha permesso che appunto le generazioni, in quanto tali, potessero ancora differenziarsi (per l'ultima volta?) attraverso la modalità drammatica del conflitto. Eppure, vista più da vicino, la generazione si frantuma in più piccoli gruppi, quasi secondo i cicli scolari. O ancora, la generazione si ritrova suddivisa a seconda della selezione delle esperienze, delle precocità e dei ritardi, delle attese e delle delusioni di volta in volta provate davanti alle occasioni edificabili o disponibili. Appartengono dunque al '68 persone distanti, anche per l'età: i rari predecessori che ne avevano sperato e predicato l'avvento, un certo numero di appena laureati ma non ancora integrati, la gran parte degli studenti delle università, e quanti si incuriosirono e si contagiarono degli studenti medi. Per tacere degli epigoni e degli eredi. A ciascuno è toccato il privilegio della propria testimonianza, ma, dentro i vari gruppi e possibili sottogruppi locali, le frequenti rivendicazioni di storie individuali e di attraversamenti personalissimi sono spesso · una difesa contro un'evidente ed eccessiva somiglianza di vita e di soggettività. All'interno dei gruppi la sostanza dell'esperienza è collettivamente riconosciuta. Per esempio quell'eccesso di riso, di scherzo, di gioia entusiastica o di festa scadente, che nell'Autoritratto di gruppo è dipinto anche come interdizione e ostilità verso la depressione e i singoli depressi, è più intenso e più tipico della fascia generazionale "nata" dentro il '68, miracolata dalla scoperta di una.soggettività collettiva, piuttosto che attratta dal valore del collettivismo. Così come l'autrice si rivela invece come appartenente di una generazione appena più vecchia: di quelli che anticipano sensazioni e politiche ribelli con lo stigma - o il marchio di garanzia, a seconda dei punti di vista - dell'unicità, nei tempi in cui il contratto di solidarietà e affetto

DISCUSSIONE/GIACCHE con gli altri .era tanto più possibile e forte, quanto più fondato sull'esaltazione delle libere e solitarie individualità. Certamente i vari comportamenti, con diversità di peso specifico non trascurabili, continuano a valere oltre il gruppo che ne è portatore, ma la bohème delle origini e la psicoanalisi come epilogo non sono storia di tutti, sono storia per tutti. Anche nel caso dell'autrice dell'Autoritratto, la collocazione generazionale sembra connotare il punto di vista più delle differenze personali e delle esperienze professionali. È come essersi fabbricati prima e, magari, essersi analizzati e smontati dopo, ma non è soltanto una questione di lunga o di breve durata; si sottolineano le stesse cose in modo diverso, ovvero il linguaggio dei segni si ripete uguale per distanti significati. La "presa di parola" ha più valore, nel racconto della Passerini, che la presa di coscienza, dove per altro si può azzardare che la Coscienza sia stata il soggetto dell'azione, come si fosse trattato di una razionale ma irragionevole occasione di "possessione". Così altre caratteristiche di una generazione più datata, come la scoperta del terzo mondo e del mondo in generale o ancora come l'incontro con il "movimento situazionista'' delle origini, piuttosto della scoperta e della pratica del situazionismo della decadenza, dove frammentazione e ironia sapranno di più debole e autodistruttiva amarezza. In definitiva un percorso più ampio e più esterno offre il vantaggio di una più rigorosa distanza dal racconto del Sessantotto studentesco, convenientemente ascoltato e riferito, e insieme intimamente condiviso; allo stesso tempo le altrui testimonianze restano prigioniere nell'interno del proprio romanzo. Ma è proprio questo il punto e il mezzo in cui si riscontra il massimo pregio del lavoro. Il gioco dei pretesti è invertito. Il racconto di superficie è le storie di più attuale e viva quotidianità personale sono l'approccio e lo schermo délla ricerca: non l'involontario terminale narcisista, ma lo strato di necessaria protezione. Tanto più efficace, anche verso se stessa, quanto più costruito di sincere e svendute confessioni. La memoria raccolta - compresa la lunga auto-intervista alla testimone Luisa Passerini - si può allora rivelare progressivamente vincente. I frequenti ritorni al tempo presente dello svolgimento dell'indagine e del momento della scrittura, arrivano gradualmente alla minore o nulla significatività. Il confronto con quel passato li avvilisce. Gli amori e i dolori della scrittrice con X e con G. scemano di peso e si espongono all'ironia o al ridicolo. "Risibili", li avrebbe chiamati lei alcuni anni prima. Il presente appare quasi ingiustificato e incollocabile nel resto della storia personale e collettiva: nella memoria si intravvedono i modi naiJs e le ricette radicali per una terapia del comportamento impraticabile, eppure più sana dell'analisi. Ovviamente indietro non si ritorna, e però si è incentivati a pensare che contro la storia, almeno contro l'esito e la resa della storia personale, armare la memoria può servire a qualcosa. Non "riportare in memoria", né, data la distanza, ricorrendo ai metodi e alle terminologie da sca"'.o: armare la memoria nel senso in cui si arma una nave ... 15

IL CONTESTO MEMORIA L'OSSOELAPOLPA Goffredo Fofi La laica vitalità di Manlio Rossi-Doria ha avuto sempre un grande fascino su coloro che l'hanno frequentato, formata com'era di un'attenzione concretissima al "ben fare" (e subito, non per i posteri) e di alternativa rasserenante alla cupezza lenin-stalinista dei suoi contemporanei, anche di quell'Emilio Sereni, pur grande colto, con il quale divise un'intensissima giovanile amicizia e una vocazione scientifico-pratica allo studio-trasformazione dell'economia agraria e del nostro Sud contadino. Entrati assieme nel PC clandestino, provarono entrambi la galera fascista, ma ancora negli anni Trenta RossiDoria fu tra i primi ad abbandonare il comunismo, scegliendo per il suo futuro una militanza di riformatore il più possibile indipendente nell'analisi e nel giudizio, secondo quei sani criteri di alto individualismo di cui, credo, aveva in Salvemini, come molti della sua generazione, un forte modello. Nel bellissimo libro L'orologio, forse il miglior "romanzo politico" della nostra letteratura, Carlo Levi descrive il giovane Rossi-Doria nel personaggio che si chiama, mi pare, Marco Valenti: pagine rivelatrici di un carattere determinatosi sulla scelta di una solida linea di condotta, di lucidità di visione e chiarezza d'intervento. Oggi che la parola laico suona per noi quasi insulto (la usano infatti per definirsi Craxi come Scalfari, Agnelli come Pansa) è difficile ricordare ai più giovani cosa potesse un tempo significare: quando si era schiacciati tra le due chiese rossa e bianca, comunista e cattolica, tra Stalin e Pio XII, tra Togliatti e De Gasperi. E quanta indipendenza di giudizio, libertà di pensiero richiedesse definirsi tali. Ho usato prima per Rossi-Doria la parola riformatore, e non riformista; forse per un residuo di pregiudizio "rivoluzionario", ma forse anche perché di veri riformisti, tra tanti che si dichiarano tali, ce ne sono in giro pochini, e forse anche perché la parola riformatore mi pare inglobare una visione più alta, un atteggiamento più accanito, una morale più rigorosa, una scelta più strenua, un giocarsi più profondo che ben si addicono alla biografia di Rossi-Doria. Quando egli si schierò dentro un partito (il PSI) o si assunse incarichi paragovernativi, lo fece da "azionista", dichiarando una scelta contingente, un modo di agire che aveva bisogno, per ottenere i suoi risultati, di quella specifica alleanza o di quella specifica corresponsabilizzazione. 16 Nelle foto esemplari che pubblichiamo sopra, vediamo Rossi-Doria compiere l'ultimo atto, attorno al '50, di una lunga lotta anche personale culminata nella riforma agraria in Calabria, la distribuzione per sorteggio delle parcelle di terra ai contadini della Sila. Il suo ultimo libro pubblicato è, se non erriamo, la breve Relazione sullo stato delle zone colpite dal terremoto, con tutte le proposte pratiche che ne conseguivano, edita da Einaudi. Aveva 75 anni ed era già un pensionato, quando era accorso, da privato cittadino, in Irpinia, a verificare, studiare, progettare ... Fondatore e direttore, creatore dell'osservatorio di economia agraria di Portici, ha formato intere generazioni di operatori, che sono oggi tra le rare "forze sane" dell'intellighenzia del Sud. E tante cose andrebbero ancora ricordate di lui, dal sodalizio con i due eccezionali lucani Rocco Scotellaro e Rocco Mazzarone (quest'ultimo vivo e vegeto, uno di quei personaggi di cui la cultura italiana dovrebbe vergognarsi di non averli mai "diffusi" e onorati: ma ci risiamo: i riformatori "di base" non sono mai stati amati dai potenti della politica e della cultura delle grandi Chiese comunista, cattolica, laico-capitalista), alla incessante attività polemica ma sempre motivata nei confronti dei politici e dei loro consiglieri. Rossi-Doria fu scienziato sociale non meno che riformatore, e fino all'ultimo presente al proprio tempo e alle sue rinnovantesi responsabilità. Egli, che aveva stabilito e diffuso negli anni Ciquanta una distinzione "classica" su cui il pensiero meridionalista continua tut-

t'oggi a confrontarsi, quella tra "l'osso" dell'interno montuoso dove poco era possibile fare e "la polpa" delle coste e collinare dove tanto era possibile fare, si sentiva come molti di noi, vecchi o meno vecchi, certamente sopraffatto dal quel "terremoto" non fisico che aveva sconvolto l'Italia negli anni del boom e poi nei Settanta, ma certamente non domato. E continuava imperterrito a studiare e a pensare. Mi recai a trovarlo, circa un mese e mezzo o due prima della sua morte, e fui ancora una volta travolto dalla sua intelligenza e dalla sua carica di precisa progettualità. Ricordo, di quel lungo colloquio, l'insistenza nel chiedere informazioni su gruppi, riviste, iniziative di cui fossi a conoscenza, nel Sud, e alcune impagabili battute. Come, per esempio, riferendosi agli intellettuali italiani di oggi, l'impossibilità di usare per loro dei modi di dire come quello celebre di Ernesto Rossi sull' "aria fritta" (magari friggessero aria!) e quello più anonimo sull' "acqua fresca" (ce ne fosse!). Stava scrivendo le sue memorie, e disse che il problema non era per lui quello di non ricordare le cose fatte, ma ''perché'' le aveva fatte. Per esempio, il fatto di essere entrato e rimasto per qualche anno nel Partito comunista. Oggi ci è possibile giudicare con più distanza e intelligenza pesi e valori, e pensare che la Terza internazionale ha condizionato non solo la vita della generazione dei Rossi-Doria e della successiva, ma anche quella della nostra, in modo certamente non così drammatico. Ma che fatica per liberarsi di tanti falsi problemi e di quel "progetto teorico-organizzativo" stolido, fideistico, oppressivo, (il "modello leninista" che ha finito, negli anni '70, per produrre le varie assurdità dei "gruppi", e che tuttora, con i cascami della parte più forte di un "Manifesto" pur sempre togliattista, con OP, con parte del PC e dei sindacati, si riproduce e ripete, nulla inventando e tentando di nuovo - una avanguardia di classe" via l'altra)! La riconquista di una indipendenza di pensiero, di una tensione pratico-utopica attuabile nell'oggi, di una chiarezza del rapporto tra fini e mezzi, e perfino di un entusiasmo, e di una persuasione, passa anche, deve passare, attraverso la conoscenza e lo studio di figure come quella di Rossi-Doria. Anche se i "padroni del vapore" e gli intellettuali di chiesa, regime, scuderia, continueranno a snobbarli, forti della loro Politika. * * * INCONTRI IL VALOREPIÙ ALTO IncontroconRomanoBilenchi a cura di Grazia Clzerchi Ciò che più colpisce leggendo e rileggendo Amici di Romano Bilenchi, ora ristampato da Rizzo/i (arricchitodi una parte finale rispetto alla prima edizione einaudiana del 1976), è che si tratta sì di un libro di memorie, ma non solo. Amici è anche un libro di narrativa: l'andamento, il ritmo, la densità sono tipici'de/ romanzo, dell'opera d'invenzione pur essendo tutti i protagonisti dei quattordici capitoli persone reali, chiamate sempre col loro nome e cognome. Come sarebbe importante che Bilenchi andassè avanti in quest'opera di scavo! Infatti, nonostante il revival di autobiografie, epistolari, diari, è indubbio che la tendenza principale dell'oggi sia di abolire il passato e vivere come cicale impazzite (si avvertono continuamente boati, frane, colate di lava che inghiottono uomini, storia e storie.. .). Si pensi ad esempio agli anni (1948-56)in cui dirigeva "Il Nuovo Corriere" ("l'unico quotidiano culturalmente indipendente della sinistra italiana", come ha scritto Geno Pampa/ani): sentendoglieli rievocare a voce, si desidererebbe li mettesse subito per iscritto, col suo stilefermo, asciutto e intenso che non ha da noi né antesignani né seguaci. Altra cosa importante di Amici (i quali, a eccezione di Maccari, sono tutti morti) è che Bilenchi evita ogni oleografia: via le immaginette, i "santini", la celebrazione acritica (com 'è d'uso fare): Vittorini come Rosai come Pound sono presenti anche nei loro aspetti contraddittori, ci appaiono fragili e ostinati, allegri e disperati, imprevedibili. E così questi ritratti del nostro maggior scrittore italiano "sono incontri di vita", ha scritto ancora Geno Pampa/oni, per me il miglior critico di Bilenchi. Ripercorriamo Amici con Romano Bilenchi. Nel primo capitolo, Torino 1931, domina la figura di Mino Maccari, un uomo "buono e altruista". Maccari era ed è un uomo molto libero, mai fazioso. Un grande umorista. Se in quegli anni lontani era fascista, lo era molto a modo suo: direi meglio che era già allora un populista. I suoi disegni, le sue xilografie più belle pigliavano in giro certi aspetti negativi del fascismo. Partecipò alla marcia su Roma vestito con un maglione nero, un impermeabile da donna color crema e invece della pistola un pollo spennato. In più teneva in mano un lume a petrolio. Nella famosa soIL CONTISTO _staa Orte scrisse su un muro: "O Roma o Orte". Dopo l'esperienza alla "Stampa", fu mandato al "Popolo d'Italia", ma durò poco. Venne inviato a far la cronaca di una cerimonia fascista; al ritorno, mentre si accingeva a scrivere il pezzo, vomitò tutta la colazione sulla scrivania. Uscì e non lo videro più. L'ho rivisto qualche anno fa: per fortuna è sempre lo stesso. Rapallo 1941: qui il protagonista è Ezra Pound, ritratto con ammirazione, compassione e divertimento. Con lui parli anche di Hemingway, che ammiravi molto. Per me Hemingway è lo scrittore che ha risolto la crisi della narrativa mondiale creata da Joyce. Ha colto come pochi il senso del tempo in cui è vissuto: un vero scrittore sociale. Di lui ovviamente prediligo Fiesta e i racconti. Sempre in questo capitolo definisci Carlo Bo "la nostra guida spirituale". Grazie a Bo mi sono definitivamente ripulito della provincia e del fascismo. Era allora uno cÌeipochi che aveva letto tutto e di tutto. È stato ad esempio lui a introdurre la poesia spagnola in Italia. Il terzo capitolo, Il marchese, è ambientato al caffè della Giubbe Rosse. Un caffè mitico ... Era il nostro punto d'incontro. Ci incontravamo di sera: una ventina di amici. Ricordo che di toscani ce n'erano quattro su venti: Bigongiari, Bonsanti, Luzi e io. Arriva ora lo splendido e famoso capitolo su Rosai: I silenzi di Rosai. Vi si nota anche una tua competenza benprecisa inpittura. A quando risale questa tua passione? Ai tempi della scuola elementare. Grazie a Maccari e a Rosai la sviluppai al massimo. Ricordo che giravo l'Italia per mostre. E quando hai cominciato a interessarti al giornalismo? Fu un capocronista della "Stampa" - purtroppo non ne ricordo il nome - a entusiasmarmi di questo mestiere, e mi dissi: "Voglio farlo anch'io". Sempre in questo capitolo scrivi: "Per me l'amicizia è superiore a qualsiasi divergenza politica". L'amicizia è il valore più alto, io sono molto fedele alle amicizie; penso a quella con Luzi o con Bo o con Macrì. O con Rosai che era tutto, insieme ad es.empio coraggioso e vigliacco. 17

IL CONTESTO Dal lungo, vivacissimo capitolo dedicato a Vittorini - Vittorini a Firenze - estrapolo un punto, quello riguardante la vostra diatriba sul Gattopardo: "L'ultima volta che ci telefonammo fu per discutere e benevolmente insultarci a proposito del Gattopardo ... " È un libro grandissimo, di qualità artistica indiscutibile. È un libro pieno di dolore. Vittorini, più che sbagliarsi, forse non lo lesse neanche. "Lo vuoi leggere, per piacere?", gli dissi al telefono In Notti d'agosto dove vive e muore Leoné Traverso, accenni a un libro del Cinquecento, di autore ignoto, in cui la "tensione è paragonabile oggi soltanto a quella dei racconti e dei romanzi di Kafka". Che è, scusa l'inciso, il mio scrittore preferito ... Kafka ce l'ho tanto addosso che non rie18 sco a leggerne più di venti pagine per volta. Tralaltro, Il castello mi fece capire // podere di Tozzi ... Una parentesi: in questa stanza hai dei gran bei quadri, vedo due Rosai, tre Marcucci... Se potessi scegliere, due quadri che vorresti avere qui? Un Picasso e un Matisse. Perché Mario Luzi non ha un suo capitolo? Ho avuto con lui un rapporto troppo quotidiano e nello stesso tempo troppo frammentario, come del resto con Bo: durano entrambi da cinquant'anni. Sono due tra le persone cui voglio più bene. Del capitolo La rosa non finita, dedicato a Ugo Capocchini, voglio citare solo una CONFRONTI frase, splendida: "Anche lui, come Rosai, come altri nati nella nostra terra, era un uomo che aveva capito che la vita è un percorso misterioso e disperato". Devo però lamentarmi per l'assenza nel tuo libro di figure femminili. Non ci sono dunque state donne importanti nella tua vita, aparte tua madre e quelle insegnanti di cui mi hai parlato un 'altra volta? È stata ed è molto importante la mia seconda moglie, Maria, che conobbi nel 1950 al "Nuovo Corriere", dove era segretaria di redazione. Nel penultimo capitolo, Il duca, gli altri e una rivista, parli delle avventure e disavventure della rivista "Società", che si proponeva di "studiare l'Italia dal vivo. E questo studio sarebbe più utile fari o oggi, perché tutti parlano de/l'Italia al massimo traverso le cifre e non traverso la terra e le persone". Se la dovessi dirigere oggi... ? La rifarei così. L'ultimo capitolo di Amici è dedicato a Mario Fabiani che, scriveBilenchi,fu "il primo comunista italiano che dopo essere vissuto nell'Unione Sovietica mi confessò apertamente il suo dissenso per l'organizzazione politica che vi era stata realizzata". Quando arriva la notizia della morte di Stalin, Bilenchi si reca con lui in federazione. "Arrivammo in federazione. Entrammo, c'erano compagni che piangevano. Si fecero intorno a Mario. 'Intanto piangete poco. È morto un dittatore', disse. Lo guardarono sorpresi. Salimmo le scale. Al primo piano, in uno stanzone affollato, Mazzoni gli venne incontro. Mazzoni disse: 'Sono turbato'. Fabiani: 'Perché?'. Mazzoni: 'Come, non lo sai? È morto il compagno Stalin'. Fabiani: 'Lo so. Era ora. È morto troppo tardi'. Non ricordo più la reazione degli altri". Così termina Amici. ILROMANZODINAPOLI Goffredo Fofi Dopo Althenopis e le Storie di patio, senza dimenticare un volume di storie di vita dei "disoccupati organizzati" fine Settanta, cioè dopo l'autobiografia-divagazione, il racconto, l'inchiesta, Fabrizia Ramondino arriva al romanzo e ci arriva, come si poteva, forse, attendersi e auspicare, però con qualche tremore, con grandiosa semplicità. Un giorno e mezzo (Einaudi, pp. 216, L. 22.000) suggerisceaccostamenti di aggettivi apparentemente incongrui: è grandioso/semplice, è

Nella pagina di fronte: Bllenchl In una foto di Vincenzo Cottlnelll. DI lato: Fabrizia Ramondlno In una foto di Giovanni Giovannetti. corale/intimo, è lukacsiano/lirico ... È un romanzo che ambisce alla dimensione più vasta e rappresentativa, a dire Napoli e la sua storia recente e parte significativa dei suoi ceti, secondo un procedimento bensì teatrale, e cioè di specifica tradizione napoletana, di una cultura che prima di Un giorno e mezzo si può dire non abbia mai dato un vero romanzo ad esprimerla nella sua essenza e totalità, ma solo grande teatro. La scena è.classica (una villa fatiscente e le sue diramazioni, coi suoi tanti abitanti che vanno dai nobili decaduti e i loro eredi agli "studenti di Portici" agli abitanti sottoproletari dei "bassi", ecc.) e classicamente teatrale, come la concentrazione degli accadimenti nel "giorno e mezzo" (una domenica e mezzo) del titolo: la coralità "sociologica" di Viviani, la concentrazione "festiva" di Eduardo, alla Sabato, domenica, lunedì. È scena barocca, ma di un barocco residuale che ingloba anche l'ininglobabile, non solo stucchi e cornici e quinte e macerie, ma anche piante e animali, cacche e bambini, e il bric-à-brac variato che viene da più epoche e stili. E si apre, classicamente a mezzocolle, sul golfo e sul mare, e accoglie, tra i suoi abitanti fissi, ospiti a raffica, in riunioni politiche che velocemente scivolano nel conviviale, o in a-parte di confessione e di sfogo, di incontri provvisori, di confronti anche dolorosi. Napoli, la più facilmente e naturalmente internazionale delle città italiane, ha d'altronde mantenuto la sua tradizione di scambio e non sorprendono, qui, le Karin e gli Jorgos, i Corduras e le Hutta che vi scivolano dentro per mischiarsi transitoriamente o definitivamente ai "nativi". La variante attiva e "storica" di questo giorno e mezzo è data dal "movimento": il giorno e mezzo è dell'autunno '69, quando una generazione di giovani intellettuali - di origine nobile e borghese come di origine piccolo-borghese o più raramente proletaria - scopriva e "faceva" la politica, e lo scontro era tra i (genericamente) "populisti", e i "marxisti" rigidi e dottrinari, i primi troppo dentro la gente per modificarla, forse, quanto i secondi troppo fuori, rifugiati nei cieli gelidi della teoria "perché trasformare la realtà" è a Napoli più che altrove, davvero "troppo arduo". Una diffusa e dominante affettività, che rende a volte gli affetti interscambiabili, irrita i più politici, quanto l'astrattezza irrita i più istintivo-corporei dei maschi, mentre le donne sembrano, esse, la parte solo all'apparenza passiva (la parte dominante di una città-femmina), la cui sintonia con il giro lento del tempo e della terra dà forza e vena e saggezza anche nella rottura. Ma è l'occhio sconsolato di don Giulio, il nobile decaduto che non si orienta in questo casino di nuovi costumi e di parlamentar politico, ad aprire il libro; ed è l'abbraccio del ragazzo analfabeta e ritardato e della sua cagna a chiudere, con la morale della più miserabile delle madri che pur sa e ripete il vecchio motto provvidenziale che "il cielo, dove vede neve, spande sole". Verso la fine, prima che don Giulio muoia, il suo sogno di un'ascesa al Vesuvio ci ricorda prepotentemente - lo "sterminator Vesevo" ma anche la indomita forza della ginestra - la precarietà leopardiana dell'umano: ché infine Un giorno e mezzo dice, senza forzature di sorta e con una mirabile vigoria dell'insieme e del particolare, come qui, a Napoli, ancora e sempre la natura vinca sulla cultura e sulla storia - anIL CONTISTO / che, naturalmente, quella della novità del '68. Che inatteso romanzo ha scritto Fabrizia Ramondino! tutto dentro alla storia - sua e nostra - e tutto oltre e più a fondo, senza compiacimenti decadenti e anzi, teatro per teatro, con procedimenti insiememorantiani, ma meno alti o meno gridati che in Menzogna e sortilegio, più soffusi e acquarellati, e cechoviani: la malinconia delle vite, di tutte le vite, e il peso della storia, la difficoltà del cambiamento, anche quando al singolo pare niente affatto difficile cambiare, rompere la crosta delle convenzioni, perché quella civiltà peculiare che è Napoli lo permette e concede, ma solo per meglio fagocitare nell'organico ricambio, nell'abbraccio vita-morte, nel tutto materno di un'entità chiassosa, proteica, divorante. E però non abbiamo detto "lukacsiano" per caso: perché l'ambizione dell'autrice è 19

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