Linea d'ombra - anno VI - n. 28 - giugno 1988

STORIE/PRINCIPE dentemente molto lontane), ma di quello che sarebbe successo fra poco, che forse stava già succedendo sotto i suoi occhi, attraverso piccole modifiche insignificanti: un sorriso meno luminoso, i capelli un po' più radi, i gesti, il linguaggio, il modo di camminare progressivamente acquisiti ai modelli dell'età adulta. Ai funerali, quando si era sentito mancare il respiro fino a doversi sedere annaspando, non era stato né per il dolore né per il caldo, ma perché era soffocato dall'orrore. Non aveva saputo scacciare subito il pensiero che la morte era sopraggiunta ad impedire lo scandalo inammissibile dell'invecchiamento di Stefano, che quindi poteva essere attribuita ad un fatto senza dubbio crudele ma previdente, che, per così dire, sapeva quel che faceva. Dopo di allora Giovanni era diventato indifferente al passare dei giorni e degli anni. Per questo dimenticava i compleanni e non si curava delle altre date strategiche che frazionano il tempo in segmenti. Su una pianura tutta arida non gli servivano paletti divisori e siepi di confine: quella terra non gli apparteneva e non aveva nulla da cercarvi. Ma volgendosi indietro, ai giorni dell'amicizia con Stefano, ogni segnale, ogni indicazione diventava utile, perché di là poteva partire per esplorare palmo a palmo la sola terra in cui voleva tornare ad abitare, per orientarsi in mezzo alle ampie zone buie, per tracciare sentieri che congiungessero finalmente i piccoli spazi che era riuscito a recuperare. Peter Pan, forse, non c'entrava molto. Tuttavia il test de "L'Espresso" diede esito positivo, confermando autorevolmente l'intuizione di Federico. Si conoscevano da molti anni, e perciò ognuno sapeva le debolezze, i difetti, le civetterie, le piccole miserie degli altri. Di solito, quando si ritrovavano insieme, era un susseguirsi di punzecchiature reciproche. Niente di grave; solo una contenuta cattiveria, ben avvolta in brevi riferimenti ironici, in frasi dette con ostentata indifferenza. Alla fine ognuno faceva i conti dei colpi dati e di quelli ricevuti e si pentiva di non aver trovato subito le risposte adatte, che ora apparivano facilissime. Questa volta, invece, erano tutti gentili e tolleranti. Non c'era stata nessuna intesa preventiva, neturalmente, ma era proprio come se si fossero accordati di risparmiarsi e di essere indulgenti. Anzi c'era un'intesa ancora più vasta, che avvolgeva l'intera serata e la faceva scorrere in un'atmosfera leggera, così piacevolmente normale. Era come se tutti volessero ispirarsi, ma senza affettazione, alle buone regole di comportamento che si presume reggano le serate come si deve. Lo si era visto subito, da come s'era svolto il rito dell'apertura ' dei regali (tra l'altro tutti ben scelti: un disco di Lieder cantati da Jessye Norman, l'ultimo di Miles Davis, un romanzo di un mitteleuropeo appena scoperto, vissuto in Cacania al momento giusto e perciò memorabile a scatola chiusa ... ), secondo una mescolanza molto opportuna di sorrisi, finte trepidazioni dei donatori, timorosi di aver sbagliato, apprezzamenti e persino piccoli cenni di sorpresa del festeggiato. Ma anche la tavola, preparata con cura, e il menu, né troppo ricercato né troppo andante, erano perfettamente in tono. I fumatori fumarono poco, scusandosi, e sigarette rigorosamente di tabacco. Dino rinunciò alle sue misture alcooliche postprandiali, ogni volta diverse e ogni volta micidiali, bevendo anche lui un Macallan. Dalla conversazione furono banditi (e qui l'accordo fu esplicito e solenne) politica e calcio. Per un decennio abbondante, fino al '78, erano stati tutti rivoluzionari, ognuno, però, con una sfumatura diversa. Per questo avevano litigato moltissimo, anche parecchie sere di fila. Avevano so76 prattutto litìgato, per dire la verità. Una volta che finalmente avevano raggiunto un accordo per fondare un Circolo rivoluzionario a beneficio della locale classe operaia, che dormiva purtroppo sonni riformistici, si chiesero come chiamarlo e litigarono di nuovo. Il più rivoluzionario si dichiarava Federico, l'unico che avesse letto i Grundrisse fino in fondo, raccomandandone a tutti la lettura come assolutamente necessaria. Giovanni non andò oltre il primo capitolo; di conseguenza conosceva poco i meccanismi più profondi del capitale e perciò esprimeva quasi sempre, suo malgrado, punti di vista desolatamente affini a quelli dei revisionisti. Nel '78 avevano celebrato il decennale dell'anno dei portenti con l'allegria mescolata di tristezza dei reduci, scontenti che i propri sacrifici non fossero serviti a molto ma orgogliosi di averli compiuti. Dopo rifluirono con apparente fretta (apparente perché erano in ritardo con il nuovo spirito dei tempi) su altre posizioni, litigando ancora su dove andare a fermarsi, ma ritrovandosi d'accordo nel denunciare ad uno ad uno, lucidamente, gli errori della propria generazione (su questo insistevano: era stata un 'intera generazione a sbagliare). I reduci pensavano ormai di aver fatto una guerra poco gloriosa, ma non cercavano di negare di averla combattuta (avrebbero potuto farlo benissimo: in fondo avevano soprattutto parlato e litigato), anzi continuavano ad esagerare la loro partecipazione. Solo così l'abiura era gratificante. Federico disse che bisognava assolutamente rileggere i classici del pensiero liberale (era raro che Federico leggesse un libro; in genere li rileggeva - i Grundrisse erano stati un'eccezione perché tradotti da troppo poco tempo) entusiasmandosi per Stuart Mili e Max Weber. Gli altri, però, si accontentarono di articoli e dibattiti sui giornali: si faceva prima e si raggiungeva lo stesso scopo. Solo Giovanni non sentì il bisogno di rifluire da nessuna parte. Rimase più o meno dove si trovava, forse perché distratto da altri pensieri. Contemporaneamente esplose la passione per il calcio, sommersa per troppo tempo. Disciplinatamente si divisero, ricordando simpatie dell'infanzia e dell'adolescenza, in milanisti, interisti e juventini, e diedero un significativo contributo ai festeggiamenti per la vittoria al Mundial dell '82. Giovanni, che a suo tempo si era entusiasmato poco per Mao-tze-tung, ritenne che non fosse il caso di entusiasmarsi troppo neanche per Paolo Rossi. Vide con gli altri Italia-Germania, si emozionò nei momenti cruciali e brindò a fine partita. Ma quando gli proposero di scendere in strada con un tricolore, fu molto deciso nel dire di no. Né politica né calcio, dunque. Parlarono di libri, di dischi, di film, scivolando da un argomento all'altro senza concludere su nessuno, e accalorandosi quanto bastava perché la conversazione non risultasse fiacca. Gli amici erano convinti che Giovanni attraversasse un brutto momento e volevano aiutarlo. Per questo erano così carini l'uno con l'altro. Se n'andarono all'una e mezzo, fiduciosi che da quella serata la loro amicizia fosse uscita rigenerata e che lo stato di grazia sarebbe continuato indefinitamente. Non per nulla avevano deciso che le prossime vacanze le avrebbero trascorse insieme, anche se non s'era capito bene se sarebbero andati in Grecia o in Spagna. Rimasto solo, ancora un po' euforico, Giovanni era grato agli amici per il benessere che gli avevano regalato. Erano davvero bravi ragazzi, e i loro difetti del tutto veniali. E ora, perché non sedersi in poltrona e riassaporare i momenti appena trascorsi? Così quella tranquilla magia si sarebbe stabilizzata, costituendo riserve di ottimismo tanto profonde da potervi attingere a lungo. Doveva essere

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