Linea d'ombra - anno VI - n. 28 - giugno 1988

dersi in tutto il corpo. Sarebbe successo ancora. Ogni ·volta avrebbe afferrato un'altra sfumatura, fino a recuperare l'intero arco delle espressioni di Stefano, dalla risata piena e limpidamente infantile alle leggere increspature ironiche che lui solo era capace di cogliere e di interpretare. Era una ricerca entusiasmante e difficile, che imponeva una dedizione paziente, capace di misurarsi con gli anni e di scontare rari bagliori con lunghe fasi opache. Quando Stefano era vivo, in alcune inflessioni del suo sorriso Giovanni aveva creduto di leggere anche un segno di complicità. Significavano, rivolte a lui, che Stefano era consapevole di essere amato, malgrado non fossero mai state dette parole d'amore, e che per lui andava bene così. Forse, nel ricercare con tanto accanimento, davanti a quelle foto, tutte le varianti del sorriso dell'amico, Giovanni cercava proprio una conferma che il suo amore aveva saputo esprimersi, nelle forme ritrose e oblique che sole conosceva, e che era stato accettato. "D'accordo, sto per dirti delle cose banali. Ma perché non cerchi di reagire? Fa' un viaggio da qualche parte. Prima ti piaceva tanto viaggiare! Non capisco proprio come mai ti lasci andare così". "Ma io non mi sto lasciando andare. O almeno non mi sento come uno che si lascia andare". Giovanni se l'aspettava, anche se avrebbe preferito parlare con Sandro faccia a faccia piuttosto che per telefono. Era dall'infanzia che gli accidenti della sua vita erano accompagnati dai giudizi di Sandro, da cui ricevevano come una sanzione definitiva. Dopo di allora erano giudicati, e non si sarebbe più potuto rievocarli senza che il racconto stesso risentisse di quella sentenza. Che fosse così era naturale: Sandro era saggio da sempre. E Giovanni accettava la sua saggezza perché gli sembrava altra cosa dal buon senso facilone e accomodante che spesso si finge saggezza; o forse l'accettava soltanto perché vi era abituato. "Ascolta. Vediamoci e parliamone con calma. Lo so che dipende soprattutto da me se non ci vediamo quasi mai, ma da quando ho l'ospedalç oltre alle visite ... Be', è inutile spiegarlo un'altra volta. Però abitiamo a mezzo chilometro di distanza, dopotutto. Ti va o no se ci vediamo e ne parliamo?" "Certo che mi va". "Lucia mi ha raccontato di questa strana storia che si è saputa dopo la perquisizione. Dice anche che ne parlano tutti, e puoi figurarti come". "Me lo figuro, naturalmente". "Io non so bene ... Lucia poi esagera sempre. Ho capito solo che è assurdo". "Ma, scusa, assurdo cosa?" "Insomma, Giovanni, sono pure passati quattro anni! Possibile che non ci sia nessuno e niente in questo mondo che ti interessi, che ti aiuti a ... non dico a dimenticare ... " "E a che cosa, allora?" "A ritrovare un senso. Ecco a che cosa. A ritrovare un senso". "Ma io un senso ce l'ho già". Questa volta le parole risolutive le aveva dette lui, non Sandro. Avrebbe potuto non aggiungere altro, ma era così sicuro di sé e del suo trionfo che continuò a parlare. Spiegò cosa cercava nelle foto ingrandite di Stefano, accorgendosi che la spiegazione era agevole e che anche per lui risultava limpida come non mai. Alla fine non dubitò che Sandro avesse capito. Ora doveva approvarlo. "È peggio, molto peggio di quello che pensavo. Non ti accorgi che ti stai abbandonando ad una forma ... non so come definirla ... ad una forma di stregoneria? Sì, proprio, di stregoneria". STORIE/PRINCIPE Da Giovanni non venne nessuna reazione. Sandro preferì passare ai saluti, ferma restando l'intesa che ne avrebbero riparlato, con calma, quando (e doveva essere presto) si sarebbero finalmente rivisti. Sandro non aveva capito, non aveva capito niente. Giovanni era irritato con lui e trovava che la sua pretesa di pontificare fosse ormai diventata insopportabile. "Stregoneria: è proprio una grande trovata, una grande trovata del cazzo". Questa frase gli piacque, tanto che se la ripeté più volte, accorgendosi che gli faceva passare il malumore. Dopo un po' era di nuovo tranquillo. Si spogliò, si lavò sotto le ascelle, che non gli sembravano mai a posto quanto a buon odore, si fece la barba. Intanto canticchiava le buon'è vecchie canzoni dei Beatles, quelle allegre però, come Yellow Submarine e Obladì Obladà, mentre Yesterday, per esempio, lo avrebbe reso malinconico, proprio ora che voleva sentirsi leggero e starsene immerso per tutto il pomeriggio in piccole occupazioni casalinghe, senza pensare né a prima né a dopo. Era passato a Lady Madonna. Ma non funzionava. Era inutile continuare con questa commedia: le parole di Sandro gli ronzavano dentro e non si facevano per nulla intimorire da LennonMcCartney. Tanto valeva riprendere con l'immaginazione il filo interrotto del dialogo con Sandro e mettere di nuovo alla prova le sue ragioni. Che erano le stesse di prima, però infiacchite, ripetute come una lezione imparaticcia di cui non si è del tutto convinti. Giovanni finì con l'ammettere che Sandro aveva probabilmente visto giusto. E con questo? Cosa avrebbe dovuto fare, secondo lui? Provò a figurarselo. Ma ebbe difficoltà a collocare se stesso al centro di qualche rete di rapporti stabili e impegnativi; per quanti sforzi facesse finiva sempre per ritrovarsi di lato, più spettatore che partecipe. Di una cosa era certo, tuttavia: che quella sera non avrebbe sopportato estranei. Sentiva, invece, un desiderio sempre più chiaro di circondarsi di pochi amici, quelli "storici", e di parlare e ridere e fare pettegolezzi con loro. Certo, questo accadeva di norma almeno tre giorni la settimana, ma a quando risaliva l'ultima volta che l'aveva desiderato davvero? Giovanni era abituato a subire con noncuranza serate già decise e combinate da altri da altri piuttosto che a desiderarle. Ora era diverso. Stabilì di riunire una decina di persone, non più, e di organizzare una cena coi fiocchi, prendendo a pretesto il proprio compleanno, che cadeva il giorno dopo. Qualche stupore dovettero provarlo i suoi amici nel sentirsi invitare per telefono. Il compleanno era una data che Giovanni aveva addirittura finto di dimenticare negli ultimi anni, comportandosi (lo dicevano un po' tutti, anche se come paragone non era granché originale) alla maniera di certe donne che nascondono l'età e hanno paura di invecchiare. "È la sindrome di Peter Pan", aveva invece detto una volta, più sofisticato, Federico, offrendo così anche agli altri amici la possibilità di esprimersi in modo scientifico anziché per luoghi comuni. In aiuto ai più sprovveduti, che non sapevano bene di che si trattasse e non avevano alcuna intenzione di chiedere a Federico, di lì a poco era intervenuto, per una fortunata coincidenza, un articolo.dell'"Espresso" sull'argomento, corredato ovviamente da un test. Ma Giovanni non aveva affatto paura di invecchiare. O almeno non l'aveva più. Prima della morte di Stefano il tempo gli era parso minaccioso e i compleanni temibili, e più quelli dell'amico che i propri. Era l'invecchiamento di Stefano che allora atterriva Giovanni; era il pensiero non tanto delle devastazioni della senilità (evi75

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