LASTRUTTURADEL. 11 DIZIONARIO CÀZARO'' Milorad Pavic Che cos'è il Dizionario càzaro? È, come indica il sottotitolo, un romanzo-lessico in 100.000parole. L'edizione originale è stata pub- · blicata in lingua serba nel 1984, in Jugoslavia. Il libro è diviso in tre parti - ebraica, cristiana e islamica - e la sua azione comincia nel VI secolo e prosegue fino ai giorni nostri. Gli eroi del libro cercano di scoprire, nel corso di più secoli, le tracce di un popolo scomparso, i Càzari. Il romanzo è scritto in forma di dizionario di nozioni e persone, e in modo da poter venire letto dall'inizio, dalla fine, diagonalmente (con l'aiuto di segni di riferimento come croce, luna, stella di David, triangolo, ecc.) oppure a sbalzi, ottenendo ogni volta una nuova visione d'insieme. Leggere il Dizionario càzaro diagonalmente con l'aiuto dei segni di riferimento che permettono uno spaccato attraverso le tre nomenclature - islamica, ebraica e cristiana - è il modo di utilizzare il dizionario più opportuno, se si procede per triadi: sia che si scelgano gli inizi contrassegnati da un triangolo, cui i tre dizionari si rifanno, come nel caso delle parole Ateh, Khagan, Polemica càzara o Càzaro, sia che si scelgano tre personaggi diversi ma legati da un ruolo identico nella storia della questione càzara. In questo modo, nel corso della lettura si possono riunire in un insieme le voci dei tre diversi libri del dizionario che trattano dei protagonisti della polemica càzara (Sangari, Cirillo, lbn Kora), dei suoi cronisti (Bekri, Metodio, Halévy) o dei ricercatori che si sono occupati della questione nel XVII secolo (Cohen, Massoudi, Brankovic) e nel XIX secolo (Souk, Mouavia, Schultz). Tra queste triadi vanno ricordati i personaggi che vengono dai tre "underground" islamico, ebraico e cristiano (Euphrosinia Lukarevic, Sévaste, Akchani). Sono quelli il cui percorso per arrivare fino a questo libro è stato più lungo. L'anno scorso, un giornalista parigino mi ha chiesto come mai il Dizionario càzaro, un libro così strano (è lui che l'ha detto), non fosse stato ancora tradotto in francese. Gli ho risposto come potevo: "Una bella storia non ha bisogno di una bella lingua". Più ancora, oggi ritengo che una bella lingua è necessaria solo alle brutte storie. Le storie buone trovano da sole il proprio linguaggio e il loro fraseggio, e si adattano bene a tutte le lingue. Soffermiamoci innanzitutto su lingua e frase. Coloro che butteranno uno sguardo sui miei libri precedenti vedranno che ho scritto certe poesie, e perfino parti dei testi in prosa, in lingua letteraria antica, in serbo medioevale o dell'epoca barocca. Il Dizionario càzaro non è stato scritto, beninteso, in questa lingua, ma scrivendo il romanzo mi sono servito di un piccolo trucco. Mi figuravo i lettori per i quali stavo scrivendo, molto concretamente, col loro nome e cognome. Non ho nessun motivo per lasciare questi nomi nell'ombra. Per il pubblico francese, e perfino per quello serbo, essi non significano quasi niente. Sono, tuttavia, scrittori che amavo e che desideravo pensare intenti a seguire il mio libro: lo storico conte Djordje Brankovic, l'oratore Gavril Stefanovic Venclovic, il patriarca Arsenio III Arnojevic, o Zaccaria Orfelin, pittore e poeta, tutti autori del XVII e del XVIII secolo, morti da moltissimo tempo. Pensavo: se piaci a loro, piacerai anche al lettore viziato del nostro XX secolo. Questo significa contemporaneamente che è da loro che imparavo la lingua e la frase e, in primo luogo, la frase retorica, orale, non letteraria. lo la verifico leggendola ad alta voce, e se suona bene, è buona. Diciamo qualche parola su questa frase. È per il tramite della frase che il romanzo differisce dal racconto. Nel romanzo un numero considerevole di frasi è in rapporto di mutua dipendenza. È facile notarlo se si presta attenzione, ed è qualcosa che si può anche esprimere con l'aiuto del calcolatore. La frase, nel Dizionario càzaro, possiede ovviamente questa proprietà fondamentale. Tuttavia, si tratta di un romanzo-lessico, dunque di un'opera del tipo del dizionario o dell'enciclopedia; e ho fatto molta 70 fatica per dare l'impressione che il testo che leggiamo appartiene a un'enciclopedia. Nel Dizionario càzaro si è così stabilita, parallelamente alla frase romanzesca, la frase lessicografica che è in situazione di interdipendenza con un numero relativamente piccolo di altre frasi, in generale quelle che sono collegate alla stessa parola capostipite, allo stesso articolo del lessico. E il lettore lo avverte, anche se non deve esserne cosciente. Può perfino decidere su quale dei due tipi di frase si soffermerà durante la lettura e a quale darà la preferenza. Quel che vale per la frase, vale egualmente per la struttura lessicografica del libro. Se prendiamo in considerazione la tipologia del romanzo e la posizione stilistica del romanziere moderno, constateremo inevitabilmente che "la tecnica che ci è rimasta del romanzo è divenuta un cliché, si è logorata" (George Steiner). Aggiungerò a questo che ciò che oggi è in crisi non è il romanzo ma piuttosto il realismo. Consci di questo i romanzieri cercano sbocchi a questa situazione in modi diversi. David Albahari, giovane prosatore di Belgrado, fa osservare che la prosa moderna si nasconde dietro le forme di generi che non appartengono alle belle lettere. Altri indicano il riaccostarsi tra romanzo e musica o matematiche come una fuga dalla matrice ormai consunta del romanzo del XIX secolo che ci è rimasta in eredità. Il nouveau roman francese si è reso perfettamente conto della situazione. Quanto a me, ho cercato di trovare uno sbocco accostandomi alla scultura. I critici hanno osservato che nel Dizionario càzaro, si prova la stessa impressione di quando si guarda un quadro o, meglio, una scultura; e conta poco da quale punto si comincia a guardare, si può girare attorno all'opera, osservarla da tutti i lati. Questo ci porta alla formula: il tentativo di realizzare una cosa in tutte le direzioni. O, piuttosto, somiglia al basic, la lingua del calcolatore cui pertiene un simile modo di leggere in tutte le direzioni, con una praticabilità a più strati e in più sensi. Perché non si tratta, mi pare, di cambiare il modo di scrivere, ma il modo di leggere. Non bisogna fare la letteratura della verità, ma la verità della letteratura. E per cambiare il modo di leggere bisogna anche radicalmente cambiare il modo di scrivere. Perché lo scrittore è un uomo che è emigrato dal suo mondo in quello del lettore. Fino a oggi, non mi resta nella memoria, dopo il Dizionario càzaro, che una sola cosa: il terribile sforzo da me fatto affinché ogni frase, ogni inizio, ogni particolare del libro si combinino in modo da permettere di accedere loro da ogni lato: di fronte, da dietro, circolarmente, prima o dopo qualsiasi parte del libro. Esattamente come per una scultura. E non si tratta, lo sottolineo, unicamente degli attacchi, ma di ogni parola in ognuno degli attacchi. Questo ha reso possibile, peraltro, una grande economia narrativa. Quando ebbi terminato il romanzo, credevo fosse di circa 2000 pagine. Una volta stampato, è risultato di solo 250. Ma tra le pagine non sono stati contati gli spazi bianchi perché in essi bisogna includere il silenzio attorno ad ogni articolo, le lacune tra le narrazioni e gli eroi di questo romanzo che prendono parte attiva agli avvenimenti e allargano la materia del libro fuori del quadro di quanto viene enunciato dalle parole e racchiuso all'interno del volume. L'idea di scrivere il Dizionario càzaro mi è venuta osservando con quale piacere i miei figli sfogliavano lessici ed enciclopedie. Un neuropsichiatra mio amico, il professore Vojin Matic, mi ha detto una volta che la passione per i dizionari è nel carattere dell'uomo un tratto infantile, e penso che questo sia giusto. Niente di più bello di un libro che non vi porta esclusivamente dall'inizio verso la fine, che non coltiva questa maniera di leggere consacrata da secoli e oggi in crisi. Niente di più bello di un lessico che permette di ripo-
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