Linea d'ombra - anno VI - n. 28 - giugno 1988

INCONTRI/DIANE taria: "Perdono, per aver vissuto indifferente/ Perdono, per il mio timido impegno circospetto". A proposito di questi versi, lei ha parlato di un complesso di colpa. Pensa che i poeti del Nord - Heaney, Mahon, Muldoon, lei stesso - soffrano un po' tutti di questo tipo di malessere? È inevitabile. Chiunque scriva, mentre altri lottano, sparano, vengono incarcerati, finirà per vedere la sua attività come qualcosa di secondario, come azione indiretta. Ciò che l'uomo d'azione fa, invece, sembra incidere direttamente. Ma il vero malessere, molto più profondo, sta nel fatto che tutti al Nord, protestanti e cattolici, siamo tormentati da una radicatissima fedeltà di tipo tribale verso la comunità d'origine. Gli scrittori avvertono ora il bisogno di liberarsi dagli aspetti più atavici di questa fedeltà, di allontanarsi dalla propria comunità estraniandosene. A proposito del tema del distacco e del carattere di necessità e di pena che gli sono propri, mi pare che lo stesso Heaney trovi un 'immagine straordinariamente icastica quando, in Kinship, afferma: "Mi sono liberato da tutto questo/ Come un salice piangente inclinato/ Agli appetiti della gravità". Sono versi che si attagliano perfettamente alla poesia che viene dall'Irlanda del Nord. E si riferiscono in particolar modo al fatto che l'ambiente in cui è cresciuto, le circostanze che lo hanno formato hanno anche prodotto in lui una tendenza particolare - e si t~atta di un atteggiamento che egli ha in comune con molti altri scrittori - una tendenza a considerare molto seriamente fenomeni come la politica o la prospettiva stessa del crollo di una società, e a riconoscergli lo status di preoccupazioni costanti. Mi pare che in quella poesia egli alluda a un malessere che consiste in una idea fissa, una sorta di oscuro presentimento che qualcosa di terribile possa mettersi in moto e che se ciò dovesse accadere non basterebbe una vita intera per fermarlo. Nella stessa raccolta, egli utilizza anche l'opposizione mitica fra Ercole e Anteo. Il poeta è nella condizione di Anteo: lontano dalla sua comunità, la sua forza viene meno, al modo di Anteo, quando è sollevato dal suolo. Per molti scrittori, non per tutti, questo è un problema tormentoso. Alcuni, come Paul Muldoon ad esempio, sono riusciti a trovare un modo per affrontarlo o rimuoverlo. Nella poesia narrativa di Muldoon, nei suoi versi magici, si dice che la poesia è l'unico luogo in cui vi sia libertà. Essa costituisce l'esempio che la letteratura dà al mondo catatonico - libera, mentre tutto il resto è rigido e fisso. L'affermazione di Muldoon è giustificata - e di una giustificazione ha davvero bisogno - dalla sua eccezionale perizia di sapientissimo artigiano. Tom Paulin, al contrario, è convinto che persino nella perduta comunità tribale protestante c'è stato un sogno di perfezione: quello che essa accarezzò nel XVIII secolo con gli "United Irishmen". E il tentativo di recuperare quel sogno, rinobilitandolo, per quella comunità, fa parte della sua im~ presa poetica. Ma egli ripudia al contempo il modo in cui quella stessa comunità è divenuta la comunità dell' "Orange Order'', della discriminazione, di Ian Paisley. 66 Foto di Giovanni Giovannetti/ Agenzia Grazia Neri Che cosa pensa del giudizio di Conor Cruise O'Brien riguardo al rapporto fra letteratura e politica che nell'Ulster si configurerebbe come "intersezione malsana"? Non v'è dubbio che l'Irlanda sia uno di quei pochissimi paesi in cui la gente è consapevole che ci sia - non importa se sana o malsana, ma almeno visibile - un'intersezione fra letteratura e politica. Si tratta di un fenomeno che dura da più di due secoli anche se avrei difficoltà ora a indicare uno scrittore contemporaneo e dire: "Quello è uno scrittore impegnato", nel senso in cui lo sono stati Neruda, Shelley o, per certi versi, D'Annunzio. C'è una certa ostilità negli scrittori irlandesi riguardo all'idea di includere la politica nell'immaginario poetico. L'hanno sempre vista come il regno dello squallore e del fallimento, da cui lo scrittore deve essere salvato perché possa conservare la propria autonomia. D'altra parte, esiste la ben fondata convinzione che, soprattutto dal- ! 'inizio di questo secolo, il rapporto fra letteratura e politica - piaccia o non piaccia - sia stato molto stretto e ciò ha portato gente come Cruise O'Brien ad affermare che in questa nostra cultura la letteratura ha abbracciato vari tipi di esaltazione e glorificazione della violenza e che questo sarebbe deleterio per il qui e l'ora. A me sembra che la tendenza alla sponsorizz"2ione di attività violente - che si ritrova ad esempio in certa poesia di Yeats - sia stata parte di una situazione culturale più ampia che abbracciava, oltre all'Irlanda, l'Inghilterra e alcuni paesi europei. Mi riferisco al culto della violenza che precedette la prima guerra mondiale. C'è comunque, dietro questo atteggiamento, il convincimento, divenuto fortissimo presso alcuni poeti che, per avere una sua identità, la poesia debba preservare la sua autonomia; che l'arte debba avere un suo territorio chiaramente definito e demarcato dove non possa essere strumentalizzata o tradotta in posizioni politiche da altri. Ebbene, pur comprendendo in parte questa posizione, mi pare che si sia ora giunti al punto in cui la produzione poetica cominci a mostrare la corda per mancanza di sostentamento dal qui e dall'ora. Come si pone rispetto ai poeti del Nord? Seamus Heaney ha affermato di non sapere se includer/a in quel gruppo perché lei a suo tempo non ne condivise le posizioni iniziali, soprattutto quella riguardante il "culto della poesia benfatta". Probabilmente, Seamus ha ragione. Non tanto perché mi trovavo in America quando quel gruppo si affermò, ma soprattutto perché ciò a cui guardavano con simpatia allora e da cui erano profondamente influenzati era la poesia inglese della fine degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta. Io, allora, ero soprattutto attratto dalla poesia francese e americana: René Char, Yves Bonnefoy, W.S. Mervin e Snodgrass più che Larkin e la poesia del Movement. Così, se si parla di ansia di influenza - secondo un'espressione di moda nei Paesi di lingua inglese - senza dubbio la mia "ansia" aveva radici diverse dalla loro. Tuttavia, mi considero lo stesso almeno in\ membro onorario di quel gruppo non foss'altro perché ab-

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