STORIE/REVUELTAS .. . ze e le scimmie, senza far nulla, con i pesanti e difficoltosi salti di un uccellaccioche avesse dimenticato come si vola, un anello preistorico fra i rettili e i serpenti. Durante uno di questi salti cadde, scivolò sulla superficie di ferro del corridoio e finì a cavalcionì con le gambe aperte sulla traversa della ringhiera, cosa che le impediva per il momento di precipitare dall'alto, ma che non evitava che potesse cadere nel cortile da un momento all'altro, con la metà del corpo sospesa nel vuoto. Vi fu un ruggito di paura lanciato simultaneamenteda tutti gli spettatori a cui seguì un silenzio asfissiante, strano, proprio come se non ci fosse nessuno sulla faccia della terra. Perfino gli isolati tacquero dentro la cella, pur senza aver visto, unìcamente presentendo che stava per succedere qualcosa di irrimediabile. La donna scosse le braccia in un aleggiare irrazionale e disperato. "Non ti muovere, cazzo!", spezzò il silenzio una delle scimmie e trascinò la madre fuori pericolo reggendola sotto le ascelle.Tornò a regnare lo stesso silenziodi prima, ma ora non solo per la mancanza di suonì e di voci, ma anche per i movimenti, movimenti totalmente privi di rumore, che non si sentivano, come se si trattasse di una lenta e immaginaria azione subacquea, di palombari che operassero sotto ipnosi e dove ognuno, attori e spettatori, stesse dentro lo scafandro del suo corpo, presente e distante, immobile eppure facendo scivolare i suoi movimenti fase dopo fase, a tratti, in frammenti autonomi ed indipendenti, armonìzzati nella loro unìtà esterna, visibile, non dal laccio di una coerenza logica e causale, ma al contrario proprio dal filo rigido e freddo della pazzia. Qualcosa stava succedendo in questo film anteriore all'invenzione del sonoro. Chissà che cosa disse il Comandante alle scimmie e alle donne: si fece una calma insolita e tesa, due scimmie si curvarono sul catenaccio della cella e disisolarono i tre detenuti, e tutto il gruppo - le tre donne, i loro uominì e i secondinì -, tranquillo nonostante lo sguardo da pazzo di Polonìo, di 62 Albino e perfino di El Carajo, si diresse verso le scale. Alla porta del cassone, il Comandante fece passare due secondinì e poi si girò verso le donne. Era completamente sicuro dell'efficacia del suo trabocchetto. "Qui dentro potrete parlare con i vostri prigionìeri quanto vorrete e alla vista di tutti", disse, "passate prima voi signore e poi gli uominì". Le donne obbedirono docilmente, con l'aria di una vittoria faticata. Ma non appena entrate, le due prime scimmie, con una velocità fulmi~ nante, le spinsero in un batter d'occhio fuori dal cassone, dalla porta che dava alla rotonda, chiudendo immediatamente il catenaccio dietro di loro. Erano rimaste di colpo, senza aspettarselo e senza rendersene conto, dall'altra parte della Croce, dall'altra parte del mondo. Il Comandante non fece a tempo a ridere del suo trucco che Albino e Polonìo, con El Carajo in mezzo, irruppero con scatenata e cieca violenza, seguiti inconsciamente dal Comandante e da un altro secondino. Con un solo e brusco gesto Albino chiuse il lucchetto della porta che comunìcava con la Croce. Ora erano soli con il Comandante e i tre secondini, rinchiusi nella stessa gabbia da scimmie. Quattro contro tre; o meglio, due contro quattro, data la nullità assoluta di El Carajo. "Ora la vedremo, scimmie figlie di troia", ruggì Albino mentre si toglieva la cinta per brandirla nella lotta. Un colpo in piena faccia, sullo zigomo e sul naso, gli fece sgorgare un repentino fiotto di sangue, sorprendente, come sbucato dal nulla. Polonìo ed Albino sembravano due antichi gladiatori, omicidi fino alla punta dei capelli. La lotta era silenziosa, d'agguato, precisa, senza un grido né un lamento. Colpivano a morte o a ferirsi nei punti più vivi, con i piedi, con i manganelli, con i denti, con i pugnì, per strapparsi gli occhi e far scoppiare i testicoli. Gli sguardi, gli atteggiamenti, la respirazione, -il calcolato movimento di un braccio, l'avanzare o il retrocedere di un piede, consacrati interamente alla tesa volontà di un solo ed unìvoco fine implacabile, trasudavano morte nella sua presenza più completa, più incredibile. Le donne, impotenti, dall'altro lato delle inferriate, gridavano come demoni, pigliavano a calci il secondino che stava più a tiro, e ,strappavano i capelli a quelli che per un momento finivano vicino, tirando ciocchele cui radici sanguinavano con pezzi biancastri di cuoio capelluto. La madre, in ginocchio, sbatteva la testa contro il pavimento, in una specie di orazione impazzita e stravagante, mentre El Carajo, piegato fra le sbarre, raggrinzito in un tentativo feroce di ridurre al massimo il volume del suo corpo, ululava lungamente, non faceva altro che ululare. Dal Comando arrivarono altre scimmie, più di venti, munite di lunghi tubi di ferro. Il problema era introdurli, tubo dopo tubo, fra le sbarre, da un'inferriata all'altra della gabbia, e con l'aiuto dei secondini che erano rimasti nel cortile della Croce, mantenerli stabili, con due o tre uomini appoggiati ad ogni estremità, in modo da poter innalzare barriere successive in lungo e in largo al rettangolo, nei più diversi ed imprevisti piani e livelli, a seconda di quel che richiedesse la necessità della lotta contro le due bestie, e nello stesso tempo facendo attenzione a non rallentare o annullare l'azione del Comandante e delle tre scimmie, in un diabolico succedersi di mutilazioni dello
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